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Sessanta Euro alla cassa

I giochi costano troppo? Troppo poco? Troppo medio? Un editoriale d'approfondimento per discutere della faccenda

APPROFONDIMENTO di Mattia Ravanelli   —   06/12/2010

Piove, governo ladro. Inflazione del 44.7% dal 1995 a oggi (Fonte), governo ladro. WipEout costava (29 settembre 1995, lancio di PlayStation anche in Italia) 149.000 lire. Gran Turismo 5, che ricopre oggi come oggi lo stesso "ruolo" nel listino delle proposte natalizie di Sony, ovvero quello del leader, può essere trascinato fuori dai negozi per 60 Euro. Facciamo 70 Euro e chiudiamo il discorso? Facciamoli, okei. Ergo? Ergo non è cambiato nulla dal 1995 a oggi, dove diavolo è finito quel 44.7% d'inflazione (tutta italiana, certo)? Altrove. I videogiochi costano troppo? A volte. I videogiochi costano troppo poco? A tratti. Il problema, in questo momento, non è quanto costi un videogioco, ma come quest'ultimo continui a essere ostinatamente proposto attraverso le solite, vecchie, autostrade: negozio specializzato, grande distribuzione e rivenditori online (qui siamo già nel nuovo millennio, va bene, concesso). Possibile che non si possa fare altro?



 Possibile sì, e infatti sta succedendo.

Sessanta Euro alla cassa

L'eredità più significativa che la ex-nuova generazione di console si lascerà alle spalle, quando finalmente si deciderà a tirare le cuoia, sarà proprio l'integrazione ormai inarrestabile con un mondo digitale. Scomparso il "lucid dream" di Peter Moore, scomparsa insomma l'idea balzana e da periodo d'oro dell'epoca dot.com di un'utenza artigiana che fa cucire al fratellino l'abito personalizzato per lo skater di Tony Hawk 12, da rivendere poi ad altri utenti sfortunati... scomparsa questa prospettiva, segnalata da Microsoft come il panorama auspicabile e preferibile per la sua neonata Xbox 360 (ai tempi), è rimasta la realtà. Una realtà fatta di download digitali e di frazionamento dell'offerta. Ma è ancora troppo poco.


L'autore

Mattia Ravanelli scrive di videogiochi, nel bene e nel male, dal 1996. Ha collaborato con e coordinato svariate realtà editoriali, nel bene e nel male, tra cui: Game Power, Zeta, PlayStation Magazine Ufficiale, Nintendo la Rivista Ufficiale e GamesRadar.it.

E' solo una questione di prezzi?

Insomma, la questione vitale, fondamentale e forse addirittura interessante è: possibile che, con tutti i nuovi metodi che avrebbero per venderci un gioco, continuano in quasi tutti i casi a farlo attraverso una scatola di plastica e previo esborso di 60 Euro? Sì, è possibile perché finché il giocattolo non è rotto, meglio tenerlo da conto ed evitare di aggiustarlo. Il giocattolo, naturalmente, non è rotto: a dirlo sono i dati di crescita del settore, che anno dopo anno continuano a scaldare il cuore dei vari Riccitiello, Kotick e quanti altri.


 Questo naturalmente non toglie che, dal punto di vista dei giocatori, ovvero degli utenti finali, qualcosa si possa e si debba fare. Un esempio? Di recente il minuto team di sviluppo di Super Meat Boy (validissimo gioco di piattaforme vecchio stile pensato per le piattaforme di distribuzione online) ha ammesso di aver proposto appositamente il proprio gioco a un prezzo "premium".

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Fin dall'inizio. L'idea del Team Meat, per l'appunto responsabile dello sviluppo e della produzione indipendente del gioco, era di partire con uno scontrino elettronico di 1200 Microsoft Points emesso dal Marketplace di Xbox 360 (pari a circa 15 Euro), passando sotto Natale a 800 "punti", per promuovere il prodotto sfruttando le festività e il torrone. Bene, Team Meat ha deciso (bene) di premiare, al contrario, chi si fosse gettato subito sull'acquisto di Super Meat Boy, indicando a Microsoft 800 MP come prezzo al pubblico. Una piccolezza? Forse, e forse anche no. Attirare i giocatori verso un nuovo titolo, tanto più se il franchise è nuovo di pacca, non è cosa facile. Due anni fa Electronic Arts, analizzati con relativi sudori freddi i primi risultati al botteghino di Dead Space e Mirror's Edge, sostenne che ormai era tardi: a tre anni dalla "nascita" della nuova generazione di console (Xbox 360 viene lanciata nel novembre 2005) non è più tempo per provare a promuovere nuovi "brand". Pensate ora che ne sono passati cinque e di fronte ne abbiamo, con tutta probabilità, almeno altri due...


Qualche alternativa?

Come promuovere l'acquisto di giochi nuovi, quindi?

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Anche con un prezzo pensato appositamente. L'industria discografica americana, quando funzionava, funzionava così: il nuovo album te lo porti a casa a circa 15 dollari, quando poi entra in catalogo, allora torna al prezzo "base" di circa 20 verdoni. Perché non tentare lo stesso approccio con i videogiochi? Sia quando a venderli è il cassiere elettronico di PSN, di WiiWare, del Marketplace, che quando a ospitarli è lo scaffale del grande magazzino di elettronica. 

Rimaniamo per un istante ancora nel mondo dell'ormai morente industria discografica. Per non scomparire malamente è ovvio che anche i grandi colossi della musica stiano provando ad abbracciare filosofie di distribuzione digitale impensabili fino allo scorso decennio. Arriva così, finalmente anche in Italia con il lancio di Windows Phone 7 e il relativo software Zune, un sistema "flat": paghi una cifra di ingresso fissa e ti scarichi tutto quello che vuoi... fintanto che continui a pagare. Sony sta provando qualcosa di simile con il suo club PlayStation Plus, che permette di godere di alcuni giochi gratuitamente ogni mese, con dei limiti importanti: a sceglierli è Sony stessa. Ma è comunque qualcosa.


In generale la discussione su come vendere i videogiochi in maniera nuova, interessante e magari utile per entrambe le parti (chi vende e chi acquista) è assolutamente aperta. Buona parte dello scontro ideologico si gioca, probabilmente, tra la fiducia in un mercato totalmente libero e, invece, la fiducia in un mercato controllato. 



Sessanta Euro alla cassa

Totalmente libero è il panorama dipinto dall'App Store di Apple o, da secoli, dal mercato per personal computer. Sebbene ci siano dei "blocchi", ovvero delle "taglie di prezzo" prefissate sull'App Store di Apple, è vero che chiunque possa scegliere quella che preferisce per il proprio titolo. Scelta coraggiosa? Indubbio. Scelta intelligente? Parliamone: oggi mettere il piede nell'AppStore per iPhone e iPad vuol dire trovarsi infilati in gironi danteschi di dramma e perdizione. C'è tutto, c'è il contrario di tutto e c'è pure la via di mezzo indefinita. Risultato? Square Enix butta fuori quello che a tutti pare un buon gioco, Chaos Rings (voto medio Metacritic: 95/100, Fonte), a dieci Euro e... e iniziano gli insulti. Dieci Euro sono troppi, secondo tanta, tantissima gente che frequenta abitualmente il mercatino Apple. Se dieci Euro per un buon videogioco sono troppi, non si andrà molto lontano, finiremo soffocati dalle mezze cosette da un'euro e spicci. Per intenderci: Rage Mutant Bash TV di id Software è appena stato lanciato: 1,59 Euro per 700 MB di download. Largamente prescindibile.

Senza via d'uscita

Il mercato controllato invece? Quello funziona che Sony, Microsoft e Nintendo si portano a casa circa 12 dollari su ogni gioco venduto a 60 (almeno così sostiene quel disperato di Pachter, facciamo finta di credergli, Fonte), 12 vanno al negoziante (sarà...) e quel che rimane va suddiviso tra sviluppatore, spese di marketing e profitto nudo e crudo. Anche se i dati fossero validi unicamente per il mercato USA, non è questo il punto.

Sessanta Euro alla cassa

Il punto è che quanto costa un videogioco lo decidono Sony, Microsoft e Nintendo: non è che vai a Redmond, col tuo bel Gioco di Guida Superpiù per Xbox 360 e gli dici: "bella oh, io questo lo sparo fuori a 35 dollari!". No. Lo spari fuori a 60. 

Quale delle due filosofie protegge maggiormente il giocatore? Il far west di Apple o la dittatura delle Tre Sorelle? Più in generale: bisognerà davvero aspettare di vedere i primi segnali di crisi per poter assistere a qualche novità degna di nota nel modello dei prezzi e della distribuzione digitale? Qualcosa è stato fatto, certo, ma manca ancora molto.
 D'altronde l'industria dei videogiochi rimane, nel mondo dell'entertainment, quella con minore capacità di far fruttare il proprio prodotto. Cinema e musica hanno la possibilità di realizzare profitto in differenti momenti con lo stesso prodotto, i videogiochi no. O non più. Il discorso è vecchio come il mondo: un album musicale si vende "completo", ma anche con i singoli. La band genera introiti andando in tour e/o vendendo merchandising. Incamera quattrini anche grazie ai passaggi radiofonici dei propri pezzi o concedendone lo sfruttamento proprio all'interno di film, serie televisive o spot pubblicitari. Hollywood può contare su: distribuzione nelle sale, vendita alle televisioni via cavo/satellitari, distribuzione di Blu-ray e DVD, giusto per citare solo i passaggi più ovvi. I videogiochi, invece? 60 Euro alla cassa.

Le opinioni, le valutazioni e le critiche espresse in questo articolo sono frutto di considerazioni personali dell'autore e non rispecchiano necessariamente il giudizio della testata Multiplayer.it.