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Il dottore del deserto

Ovvero Milestone, il Qatar, Valentino Rossi e la MotoGP

SPECIALE di Matteo Santicchia   —   30/03/2014

Lo scorso weekend siamo volati in in Qatar insieme a Milestone in occasione della prima prova della nuova stagione MotoGP 2014. I ragazzi italiani hanno mostrato tutte le novità del loro nuovo titolo motociclistico, una scelta azzeccata per farci vivere le emozioni del Circus delle due ruote. In attesa della scadenza dell'embargo per la pubblicazione del nostro provato - che arriverà questa notte e sarà ricco anche di alcune interessanti curiosità sullo sviluppo - vi proponiamo un piccolo speciale sulla trasferta, sulle stranezze, più che bellezze di Doha, e soprattutto sulle sensazioni che si provano a vedere e sentire dal vivo i cavalli indomabili delle rombanti moto da gara.

Tutte le emozioni del weekend motociclistico in Qatar nel nostro speciale

Città vecchia e nuova

La nostra tre giorni è iniziata venerdì 21 marzo, quando siamo arrivati allo strano aeroporto di Doha verso ora di cena. Diciamo "strano" visto che, una volta atterrati, praticamente nel mezzo della città, ma con vista mare, si è costretti a percorrere davvero molta strada a bordo del pulmino per arrivare al terminal, osservando un panorama decisamente sgombro di aerei, hangar e mezzi vari. Fa un'impressione strana vedere così poco movimento in giro e tanto spazio deserto in mezzo al deserto (scusate il gioco di parole).

Il dottore del deserto

Ma tutto cambia una volta sbrigate le formalità di sbarco quando il traffico serale ci ha bloccato per una buona mezzora in mezzo a decine di giganteschi SUV bianchi, il mezzo locale di locomozione per eccellenza. Poco male, la gita per arrivare in albergo ci ha permesso di costeggiare il piccolo golfo cittadino perfettamente tondeggiante che delimita idealmente la città "vecchia" da quella nuova. Una città nuova che stupisce per la sua skyline iper moderna: West Bay è un vero e proprio cantiere a cielo aperto, decine di grattacieli in costruzione che sembrano poter spuntare da un momento all'altro stile Sim City, mentre quelli finiti, sede di alberghi, uffici e ministeri rubano la scena con architetture davvero incredibili, dove gli architetti hanno dato briglia sciolta alla loro fantasia. Uno spettacolo sia di giorno sia di notte, quando le luci e i neon li colorano, dando magari maggior risalto a particolari della tradizione locale che si innestano alla perfezione nella modernità più spinta. Ci sarebbe stato spazio anche per provare a fare una camminata in spiaggia, o meglio in quelle poche pezzature rimaste libere dalla cementificazione selvaggia, ma vista la vicinanza del nostro albergo alla zona delle ambasciate (Egitto, Arabia, Pakistan) era tutto uno spuntare di barbute e armatissime guardie private al solo provare a mettere un piede sulla sabbia. Peccato. Va bene una cultura nuova con le sue mille contraddizioni, va bene il lato turistico di una città comunque affascinante, ma il cuore del press tour sono state ovviamente le due serate passate al circuito di Losail, il "giocattolino" privato di uno dei figli dell'emiro.

Il dottore del deserto

Inutile dire che anche qui le stranezze - o meglio, le peculiarità - non sono mancate. Intanto il solo arrivare in pista è stato uno spettacolo nello spettacolo. Usciti dalla città, attraversando i quartieri residenziali con le case del tutto simili a piccoli castelli circondati da alti muri, ci siamo inoltrati nel deserto. Un deserto che non è quello romantico di Lawrence d'Arabia, ma una brulla e brutta pietraia marroncina, in cui la vista arriva a scrutare un'orizzonte sterminato data la mancanza di colline. A dirla tutta le colline c'erano, ma erano solo enormi cumuli di terra proveniente dagli scavi per le fondamenta in città, portata lì da decine di camion che formavano una coda chilometrica immersa in un polverone rischiarato solo dalle luci dei fari.

Il dottore del deserto

Forza Vale!

Arrivati a Losail, cittadina dove c'è la sede del tracciato, diventa ben chiaro il termine di "cattedrale del deserto". Intanto c'è lo scheletro tondeggiante di quello che a breve diventerà il modernissimo (e immerso nel verde!) "palazzetto" dello sport polifunzionale mentre, praticamente rischiarata a giorno, c'è la pista vera e propria. Centinaia (o forse migliaia) di luci illuminano il tracciato, il paddock e i box, mentre tutto intorno è il buio assoluto.

Il dottore del deserto
Il dottore del deserto

Un effetto davvero straniante, ma mai quanto quello del circuito nella sua globalità. Chi ha visto un Gran Premio, chi è stato a Misano, Monza o al Mugello sa bene cosa significhi il weekend di gara. Un caos tremendo, migliaia di spettatori, traffico impazzito, baracchini ogni dove, un frastuono totale dovunque tra paddock, motorhome, e zona sponsor. A Losail non c'è nulla di tutto questo. L'atmosfera è tranquilla e rilassata, quasi "familiare". Una sola tribuna lungo il rettilineo, mentre il paddock è una piccola stradina dietro i box della Moto2 e della MotoGP, dove si affacciano le zone private dei team. Zero glamour e zero opulenza. Non ci sono i motorhome ma solo una fila di scarni prefabbricati da emergenza ambientale che ospitano i piloti e i tecnici. La Moto3 addirittura non ha box, ma solo dei gazebo del tutto simili a quelli che si vedono nelle sagre o quando c'è da firmare per qualche referendum nelle nostre città. Davvero strano. Una logistica del genere però avvicina i fan ai piloti e non è raro incontrarli in giro più disponibili del solito. Insomma, un'atmosfera lontana anni luce da quella delle affollatissime corse europee; quasi per "pochi intimi", davvero coinvolgente e vecchio stile, dove le umbrella girl spiccano nei loro abiti succinti, belle come non mai. E le moto? Esagerate. Velocissime e rumorosissime. Il primo impatto è stato con le Moto3, quelle piccoline, "solo" 250 cm³ di cilindrata, guidate spesso da ragazzini non ancora maggiorenni.

Il dottore del deserto

Fanno davvero paura, arrivano a velocità folle alla prima staccata e si buttano in curva quasi a toccare terra. In TV non si capisce bene cosa significhi quanto appena scritto, il primo pensiero è "questi sono pazzi". Poi tocca alla Moto2 e le stesse sensazioni raddoppiano, incredibile. Si nota chiaramente la velocità più alta con cui arrivano al punto di staccata. E poi tocca alle MotoGP. Le altre categorie sembrano quasi ferme accanto a questi veri e propri mostri dai decibel oltre la soglia del dolore. Terrore, altro che paura! La gara l'abbiamo seguita rimanendo sempre alla prima curva dietro il guard rail, sperando in tanti sorpassi. C'è stato il boato quando Valentino, dopo una rimonta rabbiosa, ha girato primo dietro Marquez: peccato non aver visto la battaglia finale all'ultima curva. Ma le emozioni non sono mancate, soprattutto quando i commissari hanno dato il permesso per l'invasione della pista, per godere al meglio della festa del podio. Un vero e proprio tripudio tra bandiere italiane e spagnole, con il pubblico della tribuna che si è riversato sul rettilineo e la security che faceva non poca fatica per scongiurare l'invasione anche della corsia dei box. Peccato non aver ascoltato il nostro inno; sarebbe stato il massimo vedere i tantissimi italiani presenti cantarlo a squarciagola. Sarà per la prossima volta.