Premessa doverosa: sono uno di quelli che diversi (tanti) anni fa sfogliava le pagine di Consolemania e leggeva di un semisconosciuto Winning Eleven, di provenienza Giapponese e sviluppato da un team vicino ma differente rispetto a quello che gli aveva regalato, ancora prima, i vari International Super Star Soccer su Super Nintendo.
Sono uno di quelli che ha giocato Goal Storm, la prima versione occidentale dove l'Italia era rappresentata dagli oramai storici Riggio (Baggio) e Coliuto (Ravanelli), e che cominciava ad assaporare un videogioco che andava oltre le dinamiche offerte da ISS, FIFA e da tutti gli splendidi arcade che popolavano le sale giochi.
Sono uno dei puristi della croce digitale che da PlayStation a PlayStation 3 è rimasta praticamente la stessa, facendo fatica ad accettare stick analogici più o meno riusciti come quelli in seno alle stesse console Sony o migliori su Gamecube e Xbox 360.
Sono uno di quelli che si faceva pippe videoludiche su ogni versione di Winning Eleven tra regolari, J-league e Final, che vedeva differenze microscopiche anche tra le versioni Asiatiche ed Europee, considerando queste ultime sempre un gradino sotto.
Insomma, sono un malato di calcio guardato, giocato e videogiocato, che vedeva nella simulazione di Konami quel porto sicuro per ricominciare ad ogni edizione la trafila di tornei solitari e tra amici, conscio di rimanere soddisfatto di tutte le migliorie proposte sistematicamente.
Con il passaggio all'attuale generazione di console ho subito un paio di colpi negativi che attribuivo ad un periodo di appannamento, in attesa della pronta riscossa. Eccoci quindi arrivare a Pro Evolution Soccer 2010, che ho giocato in queste due settimane pesantemente al pari di un certo FIFA 10.
E' encomiabile il tentativo di Konami di cambiare stile ad ogni episodio, la cura riposta nella realizzazione dei giocatori, dei volti, di tutti quegli aspetti che solo un appassionato di calcio può notare e apprezzare in quanto cercano di restituire l'atmosfera di una partita reale. Eppoi c'è la Champions League, bellissima, con le musiche ufficiali, la presentazione sul campo, i telecronisti che mi aumentano l'hype, le statistiche, la vincita impareggiabile della coppa con il mio Napoli, che rischio di vedere solo in forma videoludica.
FIFA 10 ha quei menu bruttini sempre uguali da qualche anno, ha le divise che sembrano annacquate e dei calciatori migliorati ma sempre tendenti al cadaverico in una buona parte dei volti.
Eppure, per la prima volta in assoluto, pad alla mano mi trovo con una risposta ai comandi superiore, in un contesto dove sento la partita viva, simulativa, senza troppe concessioni a movimenti fantasiosi, dove non ci sono binari, dove vado ovunque mi pare, dove online spesso e volentieri è come se stessi giocando con un amico a casa mia, dove ho tante modalità multigiocatore.
Ed ecco che di colpo Pro Evolution Soccer mi diventa un arcade, divertente e sempre valido per carità, ma dove faccio sempre più fatica ad accettare compromessi e costrizioni, che mi fanno sentire poco libero in campo e scomparire quelle sensazioni che invece vivevo fino a qualche tempo fa, e che ora ritrovo sull'altra sponda, che mi ha riacceso quella scintilla quasi spenta lo scorso anno.
Per me, da appassionato quale sono, è finita un'epoca.
(E n'è cominciata un'altra)