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Diario del capitano

DIARIO di La Redazione   —   14/11/2001

Diario del capitano

Stamattina abbastanza presto guardavo, come ogni giorno, il telegiornale concentrato sulla "liberazione" di Kabul, capitale dell'Afghanistan, oppressa da anni di oscurantismo religioso. Come risultava dalle immagini e dalle parole del giornalista, le prime cose che i cittadini hanno fatto dopo la fuga degli oppressori, è stato, incredibilmente, non fare chissà cosa di eclatante, ma tirare fuori dalla soffitta radio, musica, jeans, tagliarsi la barba, buttare la kefia. Le donne sono tornate a vedere la luce del sole in strada. Rendiamoci conto a che punto di oppressione si era arrivati da quelle parti. Sono piccole cose, ma espressioni di libertà che, quando manca, fa diventare anche un paio di jeans sinonimo di "liberazione". Ora, con i Talebani quasi fuori dalla porta, mi viene da chiedere perchè un regime, per quanto autoritario, possa arrivare a privare i suoi cittadini (sudditi?) anche delle piccole gioie, come per punirli di un crimine mai commesso. Opprimere, schiacciare e annullare sono boomerang. Impossibile riuscire a soffocare ogni istinto di ribellione, far dimenticare che c'è una vita diversa da quello di schiavo. Nessuna dittatura, nessun regime è sopravvissuto a sé stesso. E le immagini di quella gente felice per strada ne è, ancora una volta, testimonianza.