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ETROM: L'Essenza Astrale - Approfondimento

Breve storia di un gioco, e di una società, impossibili da realizzare.

APPROFONDIMENTO di La Redazione   —   12/09/2007
ETROM: L'Essenza Astrale - Approfondimento
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La nascita dal kaos...

Come da titolo, Etrom è un progetto razionalmente impossibile da realizzare. Non lo dico per vantarmi o millantare doti sovraumane del team che lo ha sviluppato, ma “in Verità vi dico” che proprio non è possibile, conti alla mano, fare ciò che abbiamo fatto.
Provate ad andare da un producer con un Business Plan simile a quello ricostruibile dalla storia dello sviluppo di Etrom e vedrete cosa, con volto paonazzo (dalle risate compassionevoli o dalla rabbia), vi dirà! Il progetto Etrom, a livello di risorse in senso lato disponibili, è paragonabile ad una città costruita con un martello dall’incudine instabile e quattro chiodi arrugginiti potenzialmente portatori di tetano.
Ciò detto, tentiamo di supportare queste affermazioni introduttive fendendo le tempestose nebbie del passato…

Correva l’anno 2000 ed ero un giovane di belle speranze neolaureato in Storia, dotato di altisonante lode e specializzazione “Medievistico-Economico-Militare”.
Se il Destino, il caos o chi per lui, non avesse fatto franare la cattedra del mio professore-relatore, quell’anno avrei fondato, in collaborazione con l’Università di Siena, una società specializzata nella realizzazione di opere multimediali d’ambito storico-archivistico-museale. Ma il D.., quel d.....o , aveva altri progetti per uno che, nonostante avesse fatto gli studi “seri”, segretamente sognava, sin da tenera età, di fare il Game Designer, lo Scrittore, il Regista, il Generale, e, compatibilmente alle parti ancora libere, Dio. All’età di 10 anni ero venuto a contatto con la fantastica realtà dei Wargames (da tavolo). In una sequenza formidabile conobbi e divorai Risiko, Axis & Allies, Panzer Krieg e, dulcis in fundo, World in Flames, di cui sono ancora profondamente innamorato. A 12 anni, la rovina: Dungeons and Dragons.
A 14 ero Dungeon Master di sistemi RPG da me creati o modificati. Dai 15 in poi la droga gaming-narrativa, in tutte le sue forme, era ormai penetrata troppo a fondo per poter essere estirpata: incredibili Universi e personaggi, di altri autori o creati dai quattro neutrini folli che chiacchierano nel mio cranio, affollavano in modo stabile la mia vita real-surreale.
Ma acceleriamo e ritorniamo al 2000, quando ero un personaggio doppia classe storico-dungeon master di discreto livello. La strada universitaria, come dicevo, fu irrimediabilmente fatta saltare in aria da guerre intestine nel dipartimento di storia (strano che accadano simili cose nelle luminose istituzioni della cultura!).
Piuttosto che rimanere ad elemosinare uno sgabello marcio alla mensa delle grandi menti che custodiscono il Sapere, decisi a quel punto di tornare alla natìa città di Bari: Terra di Santi, Navigatori, Commercianti, Pistoleri, Imperatori dimenticati e Polpi.

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Nuovamente il caso, o chi per lui, volle a quel punto che un amico di amici mi chiedesse di partecipare, in qualità di storico e sceneggiatore, ad un progetto per la realizzazione di un cartone animato d’ambito medievale. Purtroppo questo progetto naufragò nel nulla, ma in compenso conobbi meglio l’amico di amici e lui mi presentò un folle gruppo di giovani virgulti che in Puglia (in Puglia!?!?! non ci potevo credere!!) stava tentando di fare qualcosa nel settore Videogames (Videogames in Puglia!?!? Già in Italia non ci credevo, in Puglia poi, dico io, ma siamo impazziti!?!?!). L’incontro fu amore a prima vista: il gruppo di pazzi stava cercando un Manager & un Game Designer e io stavo cercando un gruppo di pazzi pronti a credere che io fossi sia un Manager, sia un Game Designer.
A quel punto eravamo 3 giovani ventenni di belle speranze: io, Luciano Iurino, grafico per chiamata e vocazione sin dall’età di otto anni, quando fu catturato dall’estatica bellezza dei fosfori verdi di un monitor di un 8088, e Cristian Convertino, musicista sin prima della nascita e joker informatico dai poteri medianici (non citerò in questa sede altre tre persone che inizialmente fecero parte del gruppo e che successivamente, per varie divergenze, ne uscirono). A nostro vantaggio avevamo determinazione senza pari, a nostro svantaggio, un discreto curriculum di sfighe innate e il fatto che nessuno fosse figlio di un ricco petroliere.

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Orgoglio Nazionale

Al momento di quella fatidica riunione di menti creative il folle dungeon master che albergava in me era convinto della superiorità culturale greco-latino-imperial-romanico-rinascimental-illuministico-romantica italico-europea che scorreva nelle sue vene. Da sempre, quel folle, si domandava: ma perché i videogames li devono fare solo americani, giapponesi e alieni infiltrati nella popolazione?!? E affermava inoltre: se ci sono riusciti altri esseri umani a sviluppare videogiochi, anche noi possiamo sviluppare videogiochi!
Tutto è possibile, Noi tutto possiamo!
Il folle dungeon master doveva ancora imparare molte cose…
L’amore, dicevamo, sbocciò subitaneo, e la promessa che scaturì fu una robaccia pesante tipo matrimonio. Dopo qualche mese di rodaggio con una ditta individuale a mio nome, fondammo nel febbraio 2001 la P.M. Studios S.r.l. L’investimento basico, oltre i magnifici costi legal-notarili di costituzione, fu meno di un milione di vecchie lire e i Pc personali messi in società. Sede operativa: un antro oscuro, fumoso, orribile e meraviglioso.
2001… quale anno migliore per dar vita a una società dell’allora definita “New Economy”? Nonostante il crollo dell’economia mondiale seguito/svelato al/dal 11 settembre, la neonata società iniziò col piede giusto, ponendosi obiettivi precisi e razionali: sviluppare servizi e prodotti multimediali ad ampio spettro per accumulare sufficienti risorse finanziare atte ad iniziare la creazione di un “vero” videogame. Oltre a lavori web di ogni tipo in principio mettemmo a segno un bel colpo realizzando due progetti per un importante ente nazionale: Il Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise. In tre, più un altro grafico, sviluppammo un videogioco educational e un software di navigazione in realtà virtuale del Parco che ebbero un ottima riuscita e crearono una decente base finanziaria per concepire il primo videogioco vero.

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Soli...

Correva l’anno 2002 e la P.M. Studios, su suggerimento dell’oggi defunta Trecision S.p.a., con cui siglammo un accordo di collaborazione, si lanciò nello sviluppo di Kien, un Action-Platform con elementi Rpg, di stile grafico Manga Super Deformed, per la console portatile Game Boy Advance ( Kien ). Non l’avessimo mai fatto! Il team era composto dai tre soci lavoratori più un grafico e un programmatore alle prime armi nel settore videoludico (e prima di trovare quest’ultimo abbiamo valutato personaggi incredibili…). La media giornaliere di ore passate in ufficio per Kien, non esagero, era di 14-15, e le nottate che ho fatto per centrare le milestones fondamentali è meglio che non le ricordo. Risultati finali di Kien dopo un anno mostruoso di lavoro senza ferie? L’Orrore! La Trecision S.p.a., il succitato business partner che avrebbe dovuto occuparsi di trovare un publisher al titolo che proprio loro ci avevano consigliato di sviluppare (“Secondo noi sviluppare un titolo action-platform-rpg sul GBA sarà un successone”, questo più o meno quello che dissero dall’alto del megapalazzo extralusso che affittarono dopo aver trovato un Finanziatore prima che l’età dell’oro della new economy svanisse con un orrendo boato), drammaticamente chiuse i battenti, lasciandoci nel mare magnum della nostra inesperienza commerciale. La voglia di disperarsi era tanta, ma almeno il titolo era finito, avevamo un prodotto che necessitava solo di trovare un editore che lo distribuisse senza dover sborsare un centesimo per supportare rischiose attività di sviluppo. Trovammo un publisher?

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La resa non esiste!

Inizialmente riuscimmo in vari, rocamboleschi modi, a far pervenire la demo a tutti i più grandi editori mondiali, i quali però cominciarono a cantare una mostruosa filastrocca congiunta: “Bellino questo giochetto qua, peccato che la licenza non ha...” - ergo, no licenza (esempio di megalicenza: spiderman, batman etc.), no publisher, no party… e sei fottuto.
Chi ha avuto la pazienza di leggere sin qui, a meno che non sia un dannato di questo settore o un SuperNerdInformato, deve sapere che un piccolo sviluppatore indipendente, su console, non può in nessun modo fare a meno di un editore accreditato dalle tre grandi superpotenze dell’entertainment videoludico: Sony, Microsoft, Nintendo. I giochi su console sono infatti strettamente controllati dalle case produttrici degli hardware su cui girano, che da un lato fanno si che i software siano di semplice e lineare accesso agli utenti, e da un altro decidono, con potere assoluto, scalfito al massimo dal grande arcano definito Mercato, chi è dentro e chi è fuori. Che fare di Kien a quel punto? Che fare con la società prosciugata di tutte le sue risorse finanziarie, fisiche e spirituali? La resa non era un’opzione possibile, piuttosto avrei ucciso con le mie mani chiunque avesse tentato di fare un passo indietro. Stringemmo i denti e sviluppammo altri progetti e servizi multimediali per fare nuova cassa, continuando in contemporanea la proposizione di Kien a Publihser di media portata.
Nell’anno che seguì, sempre senza ferie, firmammo e rompemmo, per incredibili inadempienze di vario genere, ben tre contratti di edizione per Kien e ci beccammo oltre 100.000 euro di cambiali e assegni scoperti da società per cui avevamo sviluppato i famosi servizi e prodotti multimediali. Ciononostante, non tutto era andato nel peggiore dei modi, non tutti i clienti ci avevano rifilato bidoni d’immonda immondizia, qualcosa in banca era rientrato. Kien inoltre, per quanto de facto unpublished, era arrivato molto vicino alla release e per questo era stato pre-recensito da alcune testate giornalistiche ottenendo voti tra il 6 e il 7.
La P.M. Studios, un minimo, era riuscita a far girare il suo nome in vari settori dell’entertainment digitale.

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Un nuovo inizio

Ah, poi quasi dimenticavo, in quel periodo tentammo di accedere ai finanziamenti europei su base regionale o nazionale. All’epoca eravamo convinti che una giovane società di giovani, dello svantaggiato Sud Italia, di Bari, meritevole d’aver creato lavoro, nuove professionalità e prospettive per i soci lavoratori e vari collaboratori esterni, non poteva che avere tutti i giusti requisiti per essere meritocraticamente supportata dallo Stato… No! Errato, errato ed errato! Se non addirittura ingenua, stupida e dannosa come convinzione.
Nel Mondo Reale, in particolare in Italia, i meriti generalmente sono un optional, un vezzo da indossare al massimo durante un’inutile cerimonia ufficiale. Ciò che conta sono i soldi che hai, il potere che hai ereditato per diritto divino di nascita, le amicizie e le parentele importanti, nonché la clientela di cui fai parte. Vabè, ma qui stiamo divagando in un altro campo minato… Torniamo alla nostra storia. A quel punto eravamo ad un bivio: continuare a lavorare per vivere nel settore multimediale generico o vivere per lavorare nel mondo dei videogames.
La scelta più sensata era la prima, quindi scegliemmo la seconda.
Ok, si fa un altro videogioco, ma quale? Per il GBA nemmeno per sogno, sia per le delusioni, sia perché tanto i soldi per una licenza non c’erano, sia perché detestavamo il concetto di sviluppare l’idea di qualcun altro. Una piccola società indipendente con i piedi per terra dovrebbe tentare di fare qualcosa di non troppo grande, determinando un progetto in base a qualche solida ricerca di mercato… fu per questo che decidemmo di fare esattamente il contrario, un grande progetto sospinto principalmente dalla passione creativa.
Scartammo ogni tipo di console sia per i costi troppo elevati dei kit di sviluppo, sia per non doverci trovare di nuovo vincolati ad un publisher autorizzato dalla triade per pubblicare il nostro gioco. Il mercato PC, nonostante stesse secondo gli analisti di settore perdendo terreno, ci sembrò l’unica, democratica, semi-libera, via percorribile.

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Il fenomeno-problema dei giochi su licenza si era ormai allargato a macchia d’olio in ogni direzione, realizzare nuove I.P. (Intellectual Property) con la P.M. Studios, priva d’ogni conoscenza significativa nel mondo dell’entertainment, era pura follia. Quindi decidemmo di farlo: avremmo creato una nuova I.P. internazionale, un nuovo Brand ramificato in più mondi della comunicazione e dell’intrattenimento, avremmo creato non soltanto un nuovo videogioco, ma un Universo! Esaltazioni e follie creative a parte, la società continuava ad avere alcuni barlumi di razionalità, per cui uno sguardo alla realtà del mercato fu dato con una certa attenzione. Nella prima fase d’ideazione tentammo di fondere le opportunità del mass market con le idee libere e selvagge delle opere artistiche. E questo è stato forse uno dei più grossi errori mai fatti. Passione creativa e razionalità commerciale, in particolare in fase di concept, mal si coniugano. Il prezzo di questo errore concettuale sarebbe stato molto alto.
Durante i primi anni della società non avevo mai smesso di fare il Dungeon Master di un agguerrito gruppo di amici, utilizzando sistemi di mia creazione sempre più raffinati.
Lo sviluppo completo di Kien inoltre, grazie soprattutto agli elementi bilanciati RPG al suo interno, era stato un buon primo passo per testare concretamente alcune tabelle e dinamiche di mia invenzione in un gioco orientato all’azione. Da molto tempo sognavo di strutturare in modo approfondito un Mondo coerentemente organizzato, molte bozze erano già pronte.
In ambito videogames, nel genere RPG, il best-seller Diablo aveva segnato il passo.
Molti cloni erano già usciti con alterne vicende, ma, in apparenza, dai pochi dati reperibili in questo settoraccio, anche i cloni avevano ottenuto, in media, performance commerciali discrete. Gli appassionati degli Action-Rpg punta e clicca sembravano una bella massa da colpire. D’altro canto tutti i titoli Action-Rpg avevano ambientazioni molto simili, se non stereotipate: il Bene contro il Male in un bel mondo Fantasy, colorato e infestato da elfi, orchi, cavalieri e simili…

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Multi I.P.

Per farla breve, frullammo tutte queste considerazioni con altre svariate elucubrazioni che censuro per non scrivere un papiro più lungo di quello che già sto scrivendo, e le fondamenta di Etrom si levarono al cielo. La linea fondamentale di sviluppo era tracciata.
Etrom sarebbe stato una nuova, vincente e poliedrica I.P., costituito da un Fumetto, un Romanzo, un Gioco di Ruolo da Tavolo, e, fulcro principale, un videogame Action-Rpg punta e clicca alla Diablo, con Backround Techno-Fantasy (un mix tra medioevo fantasy e fantascienza d’orwelliana memoria con influssi bladerunnereschi e "robaccia" del genere), dotato di alcune interessanti innovazioni di Gameplay. Detta così, sembra proprio una base fantastica da cui partire. E in effetti lo fu, per cinque minuti. A livello di risorse umane per realizzare i testi e il design complessivo del progetto c’ero io, per la grafica 3D Luciano coadiuvato da un nuovo grafico (Il Mitico Donzen/Luca Eberhart), musiche e declinazioni multimediali Cristian, due nuovi compagni d’arme erano saliti a bordo per realizzare Concept Art, Artworks e il fumetto e l’engine 3D?!?! Non avevamo uno straccio di esperienza in ambito di sviluppo pratico di software 3D real-time, ma ciononostante creammo il sito ufficiale del progetto e con un po’ di testi e di grafica annunciammo al Mondo intero l’esistenza di Etrom!
L’annuncio fu un indiscutibile successo. Migliaia di persone intasarono per giorni il sito, il contatore saltò, tutti i siti di videogames maggiori riportarono la nostra prima press-release. D’improvviso sembravamo una solida società che stava sviluppando un gioco incredibile. A due giorni dal lancio mi arrivò una email a cui inizialmente non potevo credere. La lessi due volte per mettere a fuoco il mittente e le sue richieste: un manager dell’Electronic Arts preposto all’acquisizione di nuovi titoli mi scriveva per chiedermi se Etrom fosse ancora disponibile per il Mercato Europeo o Statunitense!!!

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Nasce la squadra

Il primo passo di Etrom era andato oltre ogni aspettativa, ma il secondo non poteva ancora funzionare. A parte quel sito e circa 300 pagine di Design scritte giorno e notte col sangue, purtroppo di “concreto” non avevamo nulla da far visionare al publisher più grande del Mondo. L’EA, pur apprezzando l’impostazione generale del progetto, ci disse di farci risentire ad uno stadio avanzato di sviluppo. Verso la fine del 2003, da un punto di vista tecnologico, eravamo drammaticamente a 0. Scartammo l’idea di acquistare un engine 3D commerciale perché all’epoca ci sembrò troppo costoso e poco efficiente come soluzione.
E poi sarebbe stato troppo semplice prendere una tecnologia già fatta. Potevamo percorrere un sentiero breve? Naaaa. Trovammo un altro pazzo e mezzo da inserire nel team. Arruolammo Dario Pelella, programmatore-pazzo-pazzo con svariati anni di esperienza nel settore videogames, frustrato dall’aver visto tutte le sue produzioni realizzate in Italia non avere quel respiro internazionale che probabilmente meritavano, e Stefano Cristiano, mezzo-pazzo studente imberbe d’informatica dalle potenzialità esplosive.

A quel punto il Team “Nave dei Folli” era al completo:

1 Game Designer/Sceneggiatore/Managing Director/Producer (io)
1 Lead Artist (Luciano Iurino)
1 Lead Programmer (Dario Pelella)
1 Programmatore aggiunto part-time (Stefano Cristiano)
1 Programmatore/Scripter-Musicista-Tripla Classe (Cristiano Convertino)
1 Grafico Personaggi (Donzen-Luca Eberhart)
2 Artisti 2D part-time (Antonio Appio e Mauro Fanelli)

E l’animatore? Mancava l’animatore… non vi dico cosa abbiamo passato prima di trovare un altro folle marinaio part-time: Edoardo Pili, l’animatore. Con un team pomposo, quasi spropositato, quindi, pianificammo e schedulammo tutto lo sviluppo del videogame.
L’idea di fondo era di non competere sulla tecnologia con altri titoli, ma tentare di far breccia con i contenuti e il gameplay. All’epoca ero davvero ingenuo, credevo che pubblico, editori e critica avrebbero apprezzato contenuti diversi dai soliti. Pensavo, addirittura, che la tecnologia fosse un mezzo, e non un fine. Pazzo! Non c’è nulla che fa più hype markettaro di un MegaSuperEngineStramegaGalattico costato uno sproposito di milioni e realizzato da programmatori blasonati. Fa niente che la maggioranza di quelli che osanneranno il gioco x, realizzato con la tecnologia y, in realtà non capiranno un granché di quella megatecnologia, l’importante è che si dica in giro che con quella tecnologia si apriranno nuovi orizzonti nell’Universo dei videogiochi.
E a dir il vero l’atteggiamento/gara da parte del Mondo del marketing “a chi la spara più grossa” non riguarda solo la tecnologia.

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Sotto il profilo tecnico la nostra drammatica realtà fu che tutto lo sviluppo sarebbe stato una semplice, quanto massacrante, rincorsa ad una tecnologia che funzionasse. Per quindici mesi abbiamo lavorato come bestie, ancor più del passato, sacrificando tutto sull’altare di Etrom. Gli stipendi in compenso, ovviamente, erano da sogno (nel senso che ce li sognavamo!).
Le difficoltà da superare, oltre quelle strettamente aziendali, sono state innumerevoli.
Il primo obiettivo è stato dotarci di strumenti efficienti in grado di costruire le varie parti del gioco da assemblare nella seconda parte dello sviluppo. Per quanto complessivamente i task, guardandoli adesso, siano stati realizzati in ottimi tempi, all’epoca sforammo svariate date che ci eravamo prefissati. I tagli al design si susseguirono in modo brutale e spietato.
Il budget del progetto era a dir poco esiguo, i costi fissi erano ineliminabili, e tutte le nostre risorse erano al 100% impegnate nello sviluppo di Etrom, sin dal principio fu necessario chiudere e vendere il videogioco il prima possibile. Dopo aver accumulato una certa esperienza apparve chiaro che gli editori, di tutte le dimensioni, nei confronti di una piccola e sconosciuta azienda come la nostra, erano disponibili a valutare solo progetti che fossero in avanzatissima fase di sviluppo. Dopo circa 10 mesi avevamo una demo accettabile.
Nemmeno a farlo a posta, pochi giorni prima dalla chiusura della demo, fui contattato da un manager della Ubisoft che, dopo aver visto il sito ufficiale, si era detto interessato a valutare in concreto il gioco. Quel dannato sito e le press release funzionavano! Peccato che dopo aver visionato la demo, sia Ubisoft, sia EA, ricontattata ad hoc in quell’occasione, ci dissero che, nonostante il progetto fosse interessante, non risultava adeguato ai loro standard, e che quindi passavano la mano; ci esortavano però a ricontattarli in futuro su altri progetti. Dannazione! Cosa non aveva funzionato?
Ad una prima analisi, richiedendo ulteriori spiegazioni ai suddetti manager, le motivazioni principali erano d’ordine tecnico, ma in realtà, come avremmo scoperto in seguito, c’erano anche altri problemi che affliggevano il videogame di Etrom. Come prima accennato nostro intento principale era di creare un Diablo 3D con storia e ambientazione originali, più qualche innovazione nel gameplay. Con un mix di questo genere avremmo voluto catturare sia i giocatori di Diablo, sia i giocatori di RPG più esigenti. In teoria, noi, io in particolare, saremmo stati più “adatti” a rivolgerci a nicchie di folli RPGisti, ma inesperienza volle che tentassimo di creare qualcosa che potesse riunire un po’ tutti gli amanti di giochi fortemente narrativi dotati di elementi RPG.
Sbagliatissimo! Incrociando i Target Audience abbiamo attirato, ma anche purtroppo scontentato un po’ tutti.

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Innovazioni e errori

Le innovazioni che riuscimmo ad inserire in Etrom si limitarono al fucile da cecchino in prima persona, il movimento furtivo che consente di passare alle spalle dei nemici senza essere scoperti, il Mech da Guerra, le Trasformazioni del personaggio, e, dramma dei drammi, la telecamera di gioco completamente libera. Quest’ultimo elemento, facente parte della sfera dei controlli di gioco, è stato uno degli elementi più criticati da pubblico e giornalisti di settore. In realtà il sistema punta e clicca, in un ambiente 3D, coniugato con la telecamera completamente libera, è di forte impatto negativo.
In prima istanza è una scelta completamente nuova, e per questo spiazza, in seconda, nonostante non impedisca di giocare, necessita di un tempo di adattamento decisamente più lungo rispetto a sistemi collaudati come quello ad esempio di Dungeon Siege.
Svariati giocatori sono riusciti ad attraversare tutto il Mondo di Etrom senza problemi con i controlli di gioco che abbiamo creato, ma senz’ombra di dubbio bisogna ammettere che la nostra “creatività” in quest’area del design è stata errata. Modificare gli standard dei controlli di gioco è molto pericoloso, e va fatto solo se realmente cambia, in modo efficiente e immediato, l’esperienza di Gameplay dei giocatori.
Altro, enorme, problema di Etrom, che abbiamo purtroppo pagato caro sulla nostra pelle, è stato l’assenza d’immediatezza. In un Mondo che gira veloce, velocissimo, in cui il tempo libero è sempre di meno, in un Mercato che sforna e offre migliaia di titoli all’anno, tutti, o quasi, siano essi manager editoriali, giornalisti, hardcore gamers, casual gamers, alieni infiltrati, vogliono essere convinti e catturati da un gioco in non più di trenta secondi!
Etrom, sia per storia, sia per ambientazione, sia come suddetto, purtroppo, per i controlli di gioco, è stato costruito per essere scoperto con lentezza.
Tutti quelli che hanno apprezzato Etrom hanno come minimo superato le dieci ore di gioco, leggendo con attenzione tutti i lunghi testi del Diario, gustandosi appieno gli sviluppi narrativi.

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Potendo tornare indietro avrei modificato la fase introduttiva e i controlli di gioco in modo da essere più in linea con le non trascurabili aspettative della maggioranza del pubblico. Dopotutto essere immediati non significa necessariamente sacrificare le restanti parti del gioco. Ma torniamo alla narrazione dei fatti storici. Dopo aver realizzato la prima demo decente, e aver ricevuto ahinoi lo stop di Ubisoft e EA, tentammo di proporre Etrom ad un amplissimo spettro di editori. Avevamo bisogno di firmare un contratto e far tornare soldi in cassa. I contatti furono moltissimi, e con alcuni di essi avemmo la possibilità anche di firmare subito, ma ad una durissima condizione: nessuna advance.
Dovevamo finire il gioco con le nostre risorse, consegnarlo, e spartirci 50/50 (nel migliore dei casi) i ricavi con l’editore. All’epoca eravamo convinti che simili contratti non potessero essere accettati, avere solo royalties significa ottenere pagamenti molto lontani nel tempo, difficili da controllare e molto incerti. In teoria, avendo potere commerciale, si può riuscire tranquillamente ad ottenere condizioni più sicure, ma noi, tanto per cambiare, eravamo solo una piccola software house al primo videogame di rilievo. Convinti che Etrom meritasse di più non firmammo con nessuno e decidemmo di finire il progetto con le nostre forze.
E probabilmente non fu un male, dato che uno degli editori con cui fummo molto vicini alla chiusura di un contratto, qualche mese più tardi fallì, lasciandosi alle spalle debiti orrendi con altri sviluppatori indipendenti. In quel momento non sarebbe stato male aver potuto beneficiare di qualche prestito con le banche, ma l’Italia, per chi non lo sapesse, ha un dinamico sistema bancario che presta i soldi ha chi ce li ha, o può potenzialmente averli mediante amicizie politiche. Ci svenammo e andammo avanti.
Durante l’estate 2005 raggiungemmo la versione Beta. Tutte le risorse, di ogni tipo, erano davvero esaurite. I contatti con gli editori erano sempre uguali, se volevamo pubblicare dovevamo piegarci integralmente alle loro condizioni. A quel punto sarebbe stato saggio accettare, per cui non accettammo e andammo avanti per la nostra strada.

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Looking for Gold!

Pressati da un caldo pugliese disumano e dai debiti accumulati durante lo sviluppo, l’estate 2005 fu l’apoteosi della follia lavorativa. Bisognava chiudere il progetto, dovevamo raggiungere il Gold Master a qualsiasi costo e iniziare a vendere, o morire.Con una serie di mosse strategiche riuscii a trovare i contatti e i possibili canali di distribuzione di Etrom in Italia per il Q4 2005. Avevamo l’incredibile possibilità di stampare e pubblicare direttamente noi il nostro amato progetto! Potevamo controllare le vendite e incassare gli utili in tempi accettabili.E per fortuna ci riuscimmo. Il 16 novembre 2005 il faccione demoniaco di Etrom era sugli scaffali di tutti i più grandi centri di distribuzione italiani di videogames, prezzo lancio € 29,90! La soddisfazione era immensa, ma il prezzo da pagare fu altissimo. Per riuscire a centrare quell’obiettivo, in particolare in termini temporali, dovemmo chiudere il gioco senza andare per il sottile. Tutte le rifiniture non potevano essere realizzate, tutte le innovazioni furono limitate o tagliate, ogni possibilità di Multiplayer definitivamente cancellata. L’unica cosa che importava era il gioco “funzionasse”. E in effetti funzionava, anche i testers ce lo confermavano. Etrom aveva una sua coerenza complessiva di buon livello, lo svolgimento narrativo e di gameplay non era immediato, ma affascinante, il gioco riusciva a catturare gli utenti che si abbandonavano alle sue oscure ambientazioni, la durata totale di gameplay superava le 50 ore. Tuttavia Etrom, alla fine, non era quello che sarebbe dovuto essere. Il sistema RPG era ridotto all’osso, nulla di pallidamente confrontabile al manuale inedito che ho sulla mia scrivania, gli oggetti e gli equipaggiamenti dovevano essere di più e meglio differenziati, il level design necessitava di maggiore varietà di situazioni, le trasformazioni dovevano aggiungere elementi di gameplay significativi, grafica ed effettistica avrebbero dovuto avere più tempo per tornare su quanto sviluppato, dialoghi e momenti narrativi necessitavano di una regia (e di animazioni! Avevamo bisogno di più animatori!
O almeno di uno non part-time!) più complessa, varie caratteristiche del gameplay come il respawn, il salvataggio libero, alcune parti dell’inventario, i controlli di gioco, andavano riviste e riorganizzate sotto il faro di una lucida analisi da affrontare con calma. Ma la calma non ci fu, con il nuovo anno giungeva una nuova tempesta!

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Comunque, mentre sviluppavamo nuovamente applicazioni a largo spettro per fare cassa, io continuai il piazzamento del videogame di Etrom in tutto il Mondo, in tutte le modalità possibili. Nel corso del 2006 firmai ben 18 contratti di edizione/distribuzione di Etrom, sia di tipo retail-distribution, sia on-line/digital delivery-distribution. Fra le più grandi soddisfazioni ci fu la firma con Gamespy/Direct2Drive e Totalgaming, due grandi portali internet americani.
Uno dei migliori contratti fu invece quello firmato con Logrus International/1C per il mercato russo, in particolare perché 1C è il leader indiscusso della distribuzione in Russia. Tutto, in teoria, sembrava andare nella giusta direzione, ma non era così. Etrom soffriva ancora dei problemi suddetti, ma soprattutto, non aveva mai beneficiato di una buona, complessiva e intensa campagna di Marketing e Pubblicità. Nonostante fossimo impegnati con altri lavori rilasciammo nel corso dell’anno 2 patch per risolvere i bug maggiori che di volta in volta uscivano e migliorare le mancanze del gioco, ma una seria ristrutturazione non è stata mai possibile. La frammentazione dei contratti con editori di piccole-medie dimensioni (grandi portali per l’on-line distribution a parte) riusciva a portare il gioco un po’ dappertutto, ma non lo spingeva in modo adeguato. Le release del 2006 sono state inoltre impressionanti, in quell’anno sono usciti: Oblivion, Titan Quest, Gothic 3, che in quanto RPG/Action-Rpg, nonostante fossero molto differenti, sono stati considerati concorrenti alla nostra produzione. Per certo sia stata una grande soddisfazione vedere in alcuni momenti, su grandi portali come Direct2Drive, l’immagine di Oblivion, grandissimo gioco realizzato con svariati milioni di Dollari, affiancato da Etrom, il nostro primo videogame per PC realizzato con svariati centesimi di Euro, sangue e dolore, il nostro svantaggio era evidente.

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La parola al pubblico

Nel corso del 2006, e molto in ritardo sugli scaffali in america nel Q1 2007, Etrom ha così raggiunto giocatori e giornalisti di settore totalmente sprovvisto di una campagna mediatica che lo potesse supportare e presentare al meglio delle sue possibilità. Abbiamo dovuto imparare a nostre spese che scarsa immediatezza di gameplay, scarsi investimenti pubblicitari e scarsa notorietà del team di sviluppo sono tutti elementi molto sfavorevoli.
Etrom ha ricevuto recensioni con voti che vanno da 2 a 9: una incredibile divaricazione! Sfortunatamente la media che risulta è 5, un voto che influisce in modo negativo sulle vendite post-release, incidendo in particolare sulle decisioni di acquisto dei retailer e dei grandi gruppi di distribuzione. Ho apprezzato critiche positive e negative, se ben argomentate. Ho letto molte recensioni e commenti davvero interessanti di molti giocatori sul forum del sito ufficiale di gioco e altrove, ma complessivamente sono rimasto molto sorpreso dai meccanismi che sottendono il giudizio di un videogioco, che io considero un’opera creativa di alto livello e non un pezzo d’ingranaggio di una industria standardizzata. E’ incredibile l’influenza effettiva del marketing, in senso lato, sulle “major reviews” in generale, e su una gran massa di giocatori in particolare. Esistono per fortuna svariate eccezioni, sia tra i giornalisti, sia tra i giocatori, ma in generale mi sento di dire che il metro di giudizio di entrambe le categorie è drammaticamente superficiale e spietato (trenta secondi + spot tv per sparare sentenze!). Colpito da milioni di pubblicità, migliaia di release, miriadi di immagini, pressioni e informazioni, l’utente finale difficilmente va in profondità ai giochi che affronta, quasi mai comprende, o lontanamente gli interessa comprendere, il duro, complesso lavoro che sta dietro le quinte.
Qualche cinico, saccente manager del marketing/comunicazione, o del settore magno definito commerciale, potrebbe dire che l’unica cosa importante è vendere. Non è importante cosa o come si vende, l’ossessione centrale dev’essere vendere, vendere e vendere, poco conta cosa pensa o sa davvero l’utente che compra, l’importante è che compri. Se da un lato quest’impostazione, da un punto di vista aziendale, non sia sbagliata, dal lato creativo è un’aberrazione inconcepibile, ma ahinoi, alla fine di una produzione il potere è in mano al commercio e non alla creatività pura. Spero che in futuro questi Mondi abbiano la capacità di comunicare di più.

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Etrom Worldwide

Ahimè, tutte queste verità le ho scoperte solo dopo tutte le release di Etrom, altrimenti avrei curato, sin dal principio del progetto, alcuni aspetti, sia di gameplay, sia narrativi, sia distributivi, in modo differente. Comunque, nonostante tutte le tempeste affrontate a quasi due anni dalla prima release, Etrom parla ben 6 lingue (Italiano, Inglese, Francese, Tedesco, Russo e Polacco) e ha superato le 50.000 copie vendute nel Mondo, piccoli numeri se confrontati con quelli dei grandi publisher, ma sufficienti per far sopravvivere una piccola azienda che ha dovuto fare tutto, ma proprio tutto, da sé.
Realizzando ora vari covermounts (uscite in allegato con giornali) contiamo di raddoppiare questi numeri, per raggiungere quanti più giocatori possibile. Le altre declinazioni del progetto, fumetto interattivo a parte, sono ancora in lavorazione dato che ad esse ho potuto dedicare troppo poco tempo per renderle effettivamente pubblicabili, ma presto conto di rilanciarle con forza intraprendendo nuove alleanze. Il futuro è difficile e incerto, ma la voglia di combattere non finirà mai, piuttosto si morirà in battaglia. Essere indipendenti, anche se su una nave tutta buchi, non ha prezzo. La concorrenza è agguerrita, i costi di sviluppo nell’Est del Mondo sono un decimo rispetto a quelli americani ed europei, per cui gli investimenti, quando ci sono, tendono ad andare lontano da realtà come la nostra.
Tuttavia nuove realtà stanno nascendo, nuove opportunità, in particolare connesse alla rete, si stanno creando. Alcune idee potrebbero fare, in alcuni casi, la differenza.

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Due progetti, nel Mondo di Etrom, sono attualmente in fase di sviluppo, ma per ora non posso dire di più. Speriamo che l’esperienza accumulata ci faccia raggiungere, sotto tutti i punti di vista, risultati sempre migliori.
Ringrazio di cuore chiunque abbia avuto il coraggio di sorbirsi tutte queste confuse, folli pagine di Micro-Storia di una sconosciuta azienda Sudrona-Italiana.

Salutamus!

P.S. Ah, quasi dimenticavo, se tra i lettori c’è qualche ricco uomo d’affari che è interessato a investire qualche spicciolo in Videogames roventi di passione creativa, questa nave di folli non sarà così folle da rifiutare il suo “vil danaro”.
Sviluppare senza avere l’inferno finanziario alle calcagna potrebbe essere una novità niente male…

Un nome, una garanzia

Nato a Bari il 5/4/1975, Fabio Belsanti è Amministratore Unico e Lead Designer della P.M. Studios S.r.l.. Laureato in Storia presso l'Università di Siena (1999), ha pubblicato il libro "Voci dell'Abisso" (Palomar,1999) e scritto varie recensioni storiche per quotidiani e riviste online. Nel 2001 ha fondato la P.M. Studios S.r.l. curando al suo interno tutti gli aspetti manageriali e progettuali.

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Problemi, problemi e ancora problemi!

Non avemmo il tempo di goderci qualche giorno di riposo natalizio, con Etrom sotto l’albero, che i problemi d’ordine aziendale tornarono alla carica. Subito dopo la prima release italiana Etrom doveva trovare la sua strada per il resto del Mondo. Il buon andamento complessivo del videogame in Italia influenzò positivamente i contatti che avevamo con vari editori, ma a quel punto, prima di uscire su altri mercati, avrei voluto eliminare tutte le sopraccitate mancanze, che tra l’altro mi furono anche fatte notare dai primissimi giocatori italiani.
Ahinoi non fu possibile. Orribili errori di gestione finanziaria del nostro commercialista (che ora non è più il nostro commercialista!) avevano aggravato le nostre non floride condizioni economiche. Al principio del 2006 avevamo bisogno di liquidità immediata. Dovemmo quindi, nostro malgrado, lasciare e vendere Etrom così com’era e occuparci di lavori che potessero portare soldi nel più breve tempo possibile. Nella tempesta fummo in parte fortunati.
L’IBM notò le nostre doti di sviluppatori proprio grazie alla release di Etrom e c’ingaggio per realizzare un videogame storico-educational grazie a cui potemmo chiudere le falle finanziare. In quel periodo iniziammo anche a sviluppare giochi per cellulari, avendo l’ottima opportunità di creare i primi tre numeri del fumetto interattivo di Etrom. La prima release di questa parte del progetto, realizzata anche con il supporto della prima donna salita a bordo della nave, Giorgia Arena, fu ottima, superando, solo in Italia, le 20.000 copie vendute.
Ahinoi, in quella prima release, avevamo contrattualmente una royalties da fame. Quando riuscimmo successivamente, con altri distributori, ad ottenere royalties maggiori, le vendite calarono. Dannazione!