ad interrogarsi curiosi sul misterioso universo dell'altro sesso ma chiusi nel proprio snobante esclusivismo ludico
L'antefatto
nella lotta, nello sport... in tutto ciò che implicasse competizione e dinamicità, squadra e gerarchia. Le bambine, da parte loro, giocavano a fare le piccole dame, a cullare e vestire le bambole, a cucinare dolcetti e ad intrecciare braccialetti.
Ognuno in un mondo a sé, a volte ad interrogarsi curiosi sul misterioso universo dell'altro sesso ma entrambi chiusi nel proprio snobante esclusivismo ludico.
I videogiochi entrano nelle case
Poi, improvvisamente, c'è stato l'avvento di un nuovo panorama ludico: quello dei videogiochi.
I primi ad entrare nelle nostre case furono Commodore e Nintendo, e per la prima volta non avevano sesso. I genitori inconsapevoli, incapaci di applicarli alle tradizionali etichette, li approcciarono incuriositi, mettendoli nelle mani della loro progenie ed aspettando di vedere cosa sarebbe accaduto. Quello che accadde fu che il mondo si spaccò in due.
“Roba da maschi”
I videogiochi entrano nelle case
I bambini, forti della loro abitudine a fare gruppo, cominciarono a giocare.
Le bambine, più abituate ai giochi solitari o con l'amichetta del cuore di turno, meno avvezze agli esperimenti da piccolo elettricista/meccanico/chimico dei loro antagonisti, si trovarono presto emarginate e diffidenti di fronte alla nuova meraviglia dell'intrattenimento, lasciando campo libero ai propri fratelli, maggiori o minori che fossero.
“Roba da maschi”.
Un'industria dedicata alla massa
Ed in effetti tale rimase, complice anche l'industria videoludica che plasmò i suoi prodotti intorno alle esigenze di un pubblico maschile. Perchè insomma, siamo onesti: ad una ragazza non interessa mica tanto di eroine e comprimarie dai sempre più strabordanti ed esposti culi e tette virtuali. Ne' possiamo essere attratte da emulazioni sportive che non ci appartengono nemmeno nella vita reale, o da mirabolanti ginnastiche dei pollici che ci permettano di padroneggiare qualche astrusa combo e assurgere così all'Olimpo dei record.
Un'industria dedicata alla massa
Noi andiamo in cerca di emozioni, di avventure, di immagini e dinamiche che stuzzichino la nostra sensibilità, la nostra passione, il nostro talento. Ma grazie alla buona sorte, l'industria videoludica rimane pur sempre un'industria, e ci ha regalato, complice la diffusione di massa delle nuove tecnologie, una tale varietà di titoli e di generi da non escludere più nessuna tipologia di utente. Salvando qualche eccezione, sui nostri scaffali oggi non si trovano titoli identificabili con un'utenza "maschile" o "femminile", la scelta è vastissima ed ognuno può trovare il suo genere, il suo livello di difficoltà, il suo universo videoludico.
noi andiamo in cerca di emozioni, di avventure, di immagini e dinamiche che stuzzichino la nostra sensibilità, la nostra passione, il nostro talento
Non solo Videogiocatori, ma anche Videogiocatrici
Ed allora perchè, chiederete voi, le ragazze non giocano?
E chi lo dice, vi rispondo io?
Le ragazze giocano. Eccome se giocano.
Solo che non lo dicono. Non partecipano alle agguerrite discussioni sui forum in cui ci si dimena nella corsa alla console più potente, all'analisi del framerate, del gameplay, della potenza di calcolo, del pixel shading e di tutto ciò che da sempre ha caratterizzato l'approccio maschile allo svago. Le ragazze giocano.
Ah, beh, certo, le ragazze giocano ai Sims, a Nintendogs, guardiamole con affetto, non sono in grado di comprendere la mentalità del videogioco, è un'arte che non fa per loro, sentirle parlare di tecnologie e meccaniche di gioco stona almeno quanto immaginare una ragazza in tuta da meccanico e con le mani sporche di grasso. Siate onesti, quanti di voi si fiderebbero a far riparare la propria auto da una donna?
Mi permetto di essere altrettanto onesta: essere una videogiocatrice è estremamente difficile.
le ragazze giocano. Eccome se giocano
Non solo Videogiocatori, ma anche Videogiocatrici
Il mondo non ci contempla. I media e l'industria ci scoraggiano. Il marketing è muy macho. In più, entrare in contatto con il mondo dei videogiochi è davvero difficile. Spesso dobbiamo aspettare che il fratello di turno abbia finito la sua sessione di gioco e sia uscito di casa per poter timidamente prendere il pad in mano e scoprire che sensazione ci dia. E rassegnarci a giocare da sole, a sentirci negare l'accesso ai ristretti
circoli esclusivi che non ci ritengono competitive, quando invece nulla ci impedisce di prendere uno shotgun e farvi saltare in aria con la stessa soddisfazione e la stessa abilità che vantate di possedere. La verità è che ogni ragazza è una potenziale videogiocatrice, con le stesse, identiche potenzialità di un videogiocatore.
Sappiamo metterci la stessa passione, la stessa capacità, forse addirittura maggior tenacia, perchè si sa, la testardaggine è femmina.
Il problema di videogiocare al femminile
Ma siamo poi sicuri che siano solo queste le ragioni che hanno creato questa difficoltà di approccio delle donne al mondo dei videogames? Quali sono i motivi per cui le giocatrici non ammettono di esserlo e vivono i loro momenti di svago nell'anonimato e nel silenzio?
Io credo che si sia instaurato uno strano meccanismo che attribuisce dei connotati, delle etichette al videogiocatore nelle quali l'utenza femminile non vuole riconoscersi. Come se in qualche modo la videoludicità appartenesse indelebilmente a delle realtà prettamente maschili, in alcuni casi addirittura legate ad un presunto infantilismo e sicuramente a delle situazioni di aggregazione quasi di branco, alle quali le donne faticano ad associarsi, come per timore di perdere la propria femminilità, di essere costrette a vedersi cucire addosso i panni del "maschiaccio", della ribelle, della destabilizzata. E di varcare così il confine dell'appartenenza ad un mondo conosciuto per scivolare in un altro al quale non apparterrebbe mai fino in fondo, finendo in un limbo che la renderebbe priva di punti di riferimento fissi nel labile equilibrio della vita relazionale secondo i canoni che la società ci ha insegnato a riconoscere.
Nulla di più lontano dalla verità.
i sentimenti, le emozioni, le esigenze di una videogiocatrice sono assolutamente identici a quelli di un videogiocatore
Donne fino in fondo
Le donne che giocano sono donne, come in qualunque altra realtà, e non dovrebbero aver paura di parlarne, di uscire allo scoperto, di reclamare il diritto e la voglia di partecipare attivamente ai propri svaghi ed alle proprie passioni, rivendicando attenzione da parte dell'industria videoludica che troppo spesso le ignora o le fornisce prodotti sviluppati e concepiti da uomini, che dovrebbero rispecchiare l'animo delle donne ed a volte sono invece umilianti nella loro semplicità e linearità, impregnati di colori pastello e frivolezze che ci vorrebbero forse ispirare sentimenti e chissà quali tenerezze d'animo da romanzo Harmony.
I sentimenti, le emozioni, le esigenze di una videogiocatrice sono assolutamente identici a quelli di un videogiocatore. Forse è arrivato il momento di smettere di fare il gioco delle parti e cominciare ad accettare questa semplice, banale verità.
L'antefatto
C'era una volta, tanto tanto tempo fa, un mondo in cui i genitori tramandavano ai propri figli le tradizioni ludiche. I maschietti avevano i loro giochi e le femminucce ne avevano altri. Non c'era nessuna confusione, non ci si poneva interrogativi, il gioco faceva parte della crescita e come tale indirizzava i giovani virgulti sul binario che li avrebbe guidati all'acquisizione del ruolo che avrebbero dovuto interpretare per tutta la loro vita adulta. I bambini si fortificavano nello spirito, temprandosi e confrontandosi nei giochi di guerra,