Che fine hanno fatto? è una rubrica a cadenza regolare che cerca di riportare alla luce quei franchise che per un motivo o per un altro sono caduti un po' nel dimenticatoio, raccontandone la storia, con la speranza di rivederli prima o poi sui nostri schermi.
Lost Odyssey è stato a suo tempo uno di quei progetti di grande caratura che pur meritando a nostro parere tutta l'attenzione di ogni appassionato di Jrpg è finito misteriosamente per essere quasi snobbato dalla massa. Un vero peccato, perché seppur con qualche difetto, era un titolo che ha permesso a suo tempo agli appassionati di riassaporare nello splendore dell'HD tutto il gusto della vecchia scuola di Sakaguchi, con più di una strizzata d'occhio ai vecchi Final Fantasy, come per esempio il capitolo VIII per il design di alcuni personaggi. Un prodotto quindi principalmente indirizzato agli appassionati dei tempi che furono, ma anche per chi voleva riscoprire un genere che ha fatto epoca.
Ma fu proprio questo, per alcuni, il suo limite, al pari di un livello di sfida ritenuto basso a causa del fatto che una volta raggiunto un certo livello coi propri personaggi, non era eccessivamente complicato venire a capo dei nemici, anche di quelli più grossi; e ancora, per "colpa" di missioni secondarie talvolta poco ispirate e per una trama bella ma a cui forse mancava l'acuto. La storia narrata in Lost Odyssey, in realtà dal nostro punto di vista lunga e appassionante sebbene piuttosto canonica, era incentrata sulla figura di Kaim, un immortale che aveva perduto la memoria e che veniva coinvolto lungo il suo viaggio per riacquisirla in un'avventura che avrebbe intersecato le sue vicende con quelle di altri personaggi e di una serie di eventi tragici. Il tutto veniva raccontato nel perfetto stile Sakaguchi, con ritmi dilatati, lunghi filmati video o con elementi di testo (molto interessanti e talvolta commoventi quelli "particolari" legati ai Mille anni di sogni, scritti da Kiyoshi Shigematsu) e dialoghi fitti fra i protagonisti (la versione nostrana godeva tra l'altro di un ottimo doppiaggio in italiano), accompagnati nel loro incedere dalla colonna sonora del compositore Nobuo Uematsu, autore in passato delle musiche tra le altre di Final Fantasy VI, VII, VIII o di quelle di Chrono Trigger.
Il vecchio, caro stile giapponese
Dal punto di vista del gameplay, caratterizzato come detto in apertura articolo da uno stile tradizionale, nel gioco c'erano città e dungeon da esplorare, sidequest, level up e quant'altro, oltre al classico party da formare, nel dettaglio composto da cinque elementi suddivisi fra mortali e immortali, da disporre poi su due linee sul campo di battaglia durante uno dei tanti combattimenti casuali, per sfruttare al meglio il cosiddetto wall system. Era un sistema di difesa che teneva conto dei punti ferita dei personaggi in prima linea e calcolava un punteggio necessario per difendere dagli attacchi i membri del gruppo della fila posteriore, generalmente i più deboli.
Questa trovata non era di quelle particolarmente innovative o complesse in termini di strategia, ma donava lo stesso qualche variante tattica interessante agli scontri, che risultavano quindi a nostro parere mai banali o noiosi, spingendo il giocatore a cercare la combinazione migliore all'interno del suo party in rapporto ai mostri affrontati e alle abilità e alle specifiche di ognuno degli eroi. Questi ultimi avevano dei parametri parecchio differenti a seconda della loro natura: gli immortali erano per esempio limitati nell'apprendimento delle abilità, che funzionavano solo se assorbite dai loro compagni mortali. Dopo aver selezionato una abilità da imparare (magia bianca 1, magia nera 2 etc), si andava in combattimento e, realizzati un certo numero di punti esperienza, questa entrava a far parte del patrimonio dell'immortale, che la poteva equipaggiare in uno degli slot abilità disponibili. I personaggi potevano inoltre essere potenziati anche tramite l'utilizzo di svariati anelli dalle caratteristiche differenti. Questi accessori a loro volta venivano rafforzati nell'effetto sul campo tramite un minigioco che consisteva nel pigiare il tasto dorsale RT per far apparire sullo schermo un indicatore circolare durante per esempio un attacco eseguito dal personaggio controllato, per poi rilasciarlo al momento della sovrapposizione dello stesso con un altro cerchio concentrico del target nemico.
In futuro, chissà
Era un sistema che si rivelava fin da subito divertente e gratificante, oltre a tenere sulle spine il giocatore in combattimenti che, per forza di cose, potevano protrarsi molto a lungo. Gli effetti scatenati dalla riuscita o meno della cosa (poteva dare esiti dal Bad al Perfect) variavano poi in relazione agli anelli equipaggiati, i quali potevano essere di diverse fattezze e capacità, ed essere assemblati utilizzando una serie di oggetti reperibili durante l'avventura.
Altra caratteristica interessante sempre legata agli immortali era il fatto che essi non potessero ovviamente morire durante uno scontro, ma al massimo ridursi a uno stato comatoso, per così dire, che passava poi dopo qualche turno, con un lieve recupero di punti vita. Insomma, combinando assieme tutti questi elementi si aveva un JRpg classico con una spruzzata di elementi abbastanza originali che rendevano di fatto la giocabilità impegnativa in giusto (almeno, lo ribadiamo, fino a quando i personaggi non venivano livellati troppo), ma in grado di offrire un'enorme soddisfazione. Questo è quanto. Lost Odyssey doveva essere un progetto a lungo termine, nel senso che doveva dare il la a una vera e propria nuova serie. Così purtroppo non è stato e anche se le tracce di un suo possibile secondo episodio sembrano essersi perdute fra le nebbie di quell'immaginario Limbo dei videogiochi dove vanno a finire i titoli ideati ma mai realizzati, la nostra speranza è che prima o poi Mystwalker, conscia delle potenzialità del titolo e della fame di giochi di ruolo tradizionali da parte del pubblico, decida di riprendere in mano il progetto e di regalarci un secondo capitolo del suo tradizionale JRpg.