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Vita, morte e miracoli... di Doom

Doom e la rivoluzione della visuale in prima persona, tra innovazioni tecnologiche e meccaniche classiche ancora capaci di distinguersi dalla concorrenza

RUBRICA di Mattia Armani   —   19/04/2013

Doom è un giro all'inferno, un pezzo di storia, un capolavoro, un rantolo capace di farti girare all'improvviso, sorpreso da quel rumore troppo vicino alle orecchie per essere fasullo e confuso da un mondo capace di catturare e stupire davanti alla magnificenza dell'orrore. Era il 1993 e la grafica 3D era ancora figlia di un escamotage, poco più di un parallasse sfruttato in maniera intelligente. Ma la percezione è ciò che conta, soprattutto quando si parla di grafica, e nel nostro caso questa è stata stravolta e strapazzata dal connubio tra 3D e azione dinamica in prima persona. Faccia a faccia con i mostri, tanto da segnare l'inizio di una svolta decisiva per l'intero mercato videoludico. Ma non è stata la botta tecnologica l'unico elemento a decretare il successo dello shooter id Software. All'epoca, infatti, c'erano titoli che sfruttavano una sorta di modello free-to-play, offrendoci demo decisamente più ampie di quelle odierne. Stiamo parlando delle famigerate versioni shareware, grande strumento di diffusione del gaming su PC: quella di Doom includeva ben tre capitoli del gioco andando a regalare al pubblico un vero e proprio mini titolo di altissimo profilo.

Dentro l'orrore

Nel 1993 Doom rappresentava la grande novità del mondo dell'intrattenimento elettronico e i due John (Carmack e Romero) erano coscienti dell'enorme potenziale del titolo. Non a caso id Software ha pubblicizzato il lancio dello shooter con dichiarazioni roboanti, sicura di avere tra le mani una ricetta da gran gourmet. E così, nell'incontro tra hype, gratis, nuovo, bello e dinamico si è verificato uno dei lanci di maggior successo di sempre. Un evento capace, quando il mondo videoludico era decisamente più piccolo di oggi, di rallentare la rete, di generare code nelle sale informatiche delle università e, da lì a breve, di portare diverse compagnie a formulare il divieto esplicito di caricare il titolo sui computer di lavoro, vista l'incapacità dei dipendenti di trattenersi dal giocarlo. Quindici milioni è la stima delle copie shareware riversate su dischetti e scaricate da una folla di entusiasti che di certo non sono rimasti delusi. Un vero e proprio successo da rockstar, sottolineato da una colonna sonora che ha pescato a piene mani proprio dall'hard rock evitando, probabilmente per poco, numerose denunce per plagio. Ed è così che Doom ha imposto un nome, un gameplay e uno stile all'intero mondo vidoludico portando id Software verso un altro successo chiamato Quake e verso l'era dei motori su licenza, di cui Carmack è stato tra i primi protagonisti. Ma Doom può sfoggiare molte altre medaglie. Innanzitutto c'è la grafica tridimensionale, non autentica e in realtà avvolta su un solo asse, ma dannatamente credibile per l'epoca. Da menzionare, poi, l'uso di una libreria di suoni royalty free, che ha ridotto notevolmente i costi di sviluppo nonostante l'elevato tenore della produzione. Arriviamo quindi al multiplayer, grezzo ma trascendentale, che ha visto sorgere il nome deathmatch per definire le competizioni basate esclusivamente sull'uccisione degli avversari. E concludiamo con il modding, una delle molte anime del gaming su PC, che ha consentito a Doom di evolversi e di ottenere un miglior supporto multiplayer, una vera mira tridimensionale e molte altre chicche che si sono aggiunte anche in tempi recenti.

Vita, morte e miracoli... di Doom

Esempi dell'eccellenza raggiunta dalle produzioni fan made sono Brutal Doom, giunto all'ancora più sanguinosa versione 1.8, che si occupa di ricordarci che il titolo fa parte dei giochi condannati dalla società per la troppa violenza. Oppure Doom The Mercenaries e la sua modalità cooperativa, tipica degli shooter moderni. La connessione della serie con il mondo delle mod arriverà fino a Doom 3, che pure ha avuto la sua dose di attenzioni. D'altronde, nonostante la grafica sia evidentemente invecchiata, l'illuminazione del titolo è ancora coinvolgente come poche altre e si apprezza in opere come The Dark Mod, che punta a riportare in vita Thief. Una risorsa da tenere assolutamente in considerazione se il quarto capitolo della saga stealth dovesse deludere. Tra le ultime testimonianze del successo duraturo creato allora, al tempo della prima uscita, c'è ovviamente il film. Opera curiosa ma incapace, tranne per qualche minuto di prodezza registica in prima persona, di rievocare i fasti della serie videoludica.

L'anima di Doom

Doom così come il seguito Doom II è un gioco in cui tutti i proiettili contano. Una formula fatta di impatti pieni e di armi dalle meccaniche estremamente variegate ma funzionali, capaci di esaltare l'abilità del giocatore o di consentire la schivata, premiando non solo la mira ma anche la capacità di muoversi con destrezza. È un titolo che mostra l'importanza del map design e della sfida, senza avvolgersi negli stratagemmi narrativi ma utilizzandoli contestualmente, scena per scena. Non a caso il protagonista è Doomguy, il giocatore, senza un'identità vera e propria, senza segreti da nascondere ma con molti misteri da scoprire. Nei libri dedicati a Doom il nome è Flynn Taggart ma la sua missione non cambia, prevede la scoperta di sfrontati esperimenti umani che consentono a orde di orribili mostri di riversarsi nel nostro piano d'esistenza.

Vita, morte e miracoli... di Doom

Molti, guardando oggi un qualsiasi capitolo della serie, lo valuterebbero come un titolo povero, tutto corridoi e angoli bui. Ma quegli angoli sono lì per un motivo e lo spawn dei mostri è studiato con attenzione per creare una serie di sfide sempre diverse. Una cura che sfugge a produzioni iper blasonate come i moderni military shooter il cui single player, accessorio del multiplayer ma non per questo da sacrificare una volta messo in produzione, è uno showcase di situazioni esteticamente entusiasmanti ma ludicamente povere. Certo, sono titoli che hanno altri pregi e altri orizzonti ma non è un caso che il mito di Doom sopravviva ancora oggi dopo innumerevoli porting, trasposizioni e riedizioni, a ben nove anni di distanza dall'ultimo capitolo che è stato recentemente riproposto con la BFG Edition. Nel frattempo John Romero ha ridimensionato la sua criniera e John Carmack non ha più il primato dei motori grafici che è stato conquistato dalla grande rivale, Epic. Carmack, in ogni caso, è sempre considerato un'autorità in campo informatico ma tanti mettono in dubbio la sua capacità di sorprendere. Soprattutto dopo il tonfo di Quake 4 ed Enemy Territory, sviluppati altrove su tecnologia id, e RAGE, un buon titolo che visivamente punta su feature speciali che purtroppo sono poco visibili e vendibili. In sostanza è stato Doom 3 l'ultimo successo, e non certo indiscusso, della compagnia. Mentre i primi due capitoli sono simili tra loro, anche tecnologicamente, Doom 3 è uscito dopo diversi anni, con una formula fedele alla serie ma al contempo profondamente diversa dal patriarca. Di mezzo, ovviamente, c'è un corposo salto estetico che ha visto id Software puntare su mostri sinuosi e su un sistema di illuminazione di primissima qualità.

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Questi due elementi si sono rivelati piuttosto esosi in termini di risorse hardware ed ecco che il gran numero di nemici dei primi Doom, ereditato nel frattempo da Serious Sam, ha lasciato il posto a poche creature decisamente più robuste. Un cambiamento che ha scatenato qualche perplessità, mentre la troppa oscurità ha portato più di un giocatore a definire il titolo monotono. In ogni caso la rinnovata capacità di infondere tensione ha permesso a Doom 3 di distinguersi dalla concorrenza e di mantenere intatto il proprio onore. Ma l'anima di Doom sopravviverà alla prossima generazione? Come ben sappiamo, il mondo videoludico è cambiato e la concorrenza è sempre più agguerrita. L'horror è stato conquistato, almeno su PC, dalle avventure in prima persona, mentre il genere FPS è esploso in mille varianti che occupano stabilmente le prime posizioni in quasi ogni tipo di mercato, incluso quello mobile. Ma Doom 4 è in sviluppo ed è probabile che id Software, silenziosa da troppo tempo anche a causa di tanti ripensamenti e problemi, sia in procinto di mostrarci qualcosa.

In attesa di un nuovo Doom

È possibile che il Quakecon 2013 segni il momento in cui vedremo Doom 4, diventato nel frattempo un progetto next-gen. Probabilmente proprio per quest'ultimo motivo lo sviluppo è stato azzerato nel 2011. In ogni caso il nuovo capitolo, nella peggiore delle ipotesi, è in sviluppo da circa due anni. Un tempo comunque sufficiente per tirare fuori qualcosa di spessore anche dal punto di vista tecnologico. E quest'ultimo punto è senza dubbio rilevante visto che per il primo e per il terzo episodio, e per l'identità della stessa id Software, l'avanzamento tecnico è una componente fondamentale per garantire quell'effetto sorpresa che aumenta il coinvolgimento, lo stupore e l'orrore. Tre elementi determinanti per far sì che il giocatore tema le orribili creature che affronta, rese magistralmente imprevedibili nel terzo capitolo della serie e che dovranno esserlo ancora una volta se il quarto dovesse seguire la strada battuta allora.

Vita, morte e miracoli... di Doom

La speranza dunque è quella di vedere finalmente sfruttato il motore Id Tech 5 o, anche meglio, di veder spuntare un id Tech 6 che sia capace di riportare id Software ai fasti di Quake e di regalarci tonnellate di nuove feature. Con pochi dubbi in proposito, presumiamo che Doom 4 avrà un comparto multiplayer ed è probabile che questa volta non sia un contentino, ma vada a colmare una lacuna pesante per la software house che ha inventato gli FPS. Quake Live, infatti, è indubbiamente agli sgoccioli e non solo per una questione di invecchiamento del motore grafico. Purtroppo id Software, nel semplificarne il gameplay per renderlo più appetibile, è riuscita ad aggiungere problemi su problemi e non ha comunque reso la formula più accessibile per i nuovi giocatori. E poi nel DNA di Doom ci sono tracce importanti di multiplayer vista l'importanza che ha avuto nel rendere palesi numerose potenzialità del gioco online. In ogni caso, anche se Doom dovesse accollarsi l'eredità multiplayer di Quake, la campagna sarà comunque l'elemento di punta e speriamo che id Software continui sulla strada del first person horror, magari cambiandolo o rivoluzionandolo quel tanto che basta da allontanarsi da esperienze che saprebbero di già visto. Le strade possibili sono diverse ed è difficile prevedere cosa ci troveremo per le mani dopo il reset del 2011. Possiamo comunque esplorare qualche possibilità basandoci sul brand e sull'evoluzione degli shooter in questi ultimi venti anni.

Vita, morte e miracoli... di Doom

La prima è un titolo ancora più horror, più incentrato sulla tensione e sugli spazi bui. La seconda è un Doom vecchio stile con grandi spazi alternati a cunicoli, un po' come l'inferno del terzo capitolo ma con più nemici e, si spera, maggiore interattività con l'ambiente. L'ultima possibilità, tra quelle da noi considerate, è un mix della formula classica con gli sparatutto ad ampio respiro dove l'azione solitaria si alternata a grandi battaglie in una vera e propria guerra tra demoni spaziali e umanità. Un'impostazione del genere potrebbe non essere la più fresca, ma preserverebbe il tema centrale della serie consentendo a id Software di affrancarsi da un'impostazione distintiva ma ormai difficile da sostenere. Si tratta, ovviamente, di mere supposizioni. L'unica cosa certa, ma il dietro-front di Doom 3 BFG qualche timore lo scatena, sembra essere il supporto per il visore Oculus Rift che, tra l'altro, pare aver restituito linfa vitale e voglia di sviluppare a John Carmack. E i successi di Carmack sembrano essere dipesi molto dalla possibilità di portare qualcosa di nuovo e di memorabile. Ebbene, la realtà virtuale è senza alcun dubbio tra le prossime conquiste del mondo videoludico e i prossimi anni potrebbero essere proprio quel tanto atteso trampolino verso il futuro.