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Tesoro mi si è ristretto il business

Apparente momento di affanno per l'industria dei videogiochi: un classico per il passaggio generazionale.

DIARIO di Andrea Pucci   —   26/02/2006
Tesoro mi si è ristretto il business

eggendo gli articoli riportati qui sotto la sensazione è che niente stia andando per il verso giusto in questo mondo di videogiochi. Il fatto è che stiamo attraversando un periodo di transizione mai vissuto prima. Proviamo a capire come si è arrivati a questa situazione.
In principio c'erano l'Amiga, l'Atari 8700, il Commodore 64 e gli scacciapensieri. Il mercato dei videogiochi praticamente non esisteva. Non si poteva parlare di un'economia se non per i coin-op da bar, i primi Asteroids, Bubble Bobble, Space Ace.
Poi sono arrivati i personal computer e i floppy disk. Il fenomeno di Doom, Duke Nukem & compagnia bella. Lo shareware insomma e le prime avventure grafiche, Indiana Jones su tutte. Si cominciava a delineare un modello di business atipico, fatto di lunghi periodi di investimento e violente fiammate di introiti. Fiammate intense e brevi come fuochi di paglia. Le software house nascevano e morivano nell'arco di una giornata. Chiunque con il pallino del videogioco poteva farsi la sua software house. Era un modello economico primordiale, molto in stile far west. In quegli anni consolidavano società come Activision, LucasArts, Sierra e Atari.
Contemporaneamente dall'altra parte del mondo i giapponesi, che non sono stati mai molto avvezzi al gioco su PC (troppo gaijin come intrattenimento), fin dal 1983 avevano una sorta di monopolio sull'intrattenimento domestico: Nintendo, a partire dal suo Famicom, noto all'ovest come 8 bit, seguito a ruota da Sega con il suo Mega Drive. Mentre in occidente copiavamo le versioni shareware di Doom, nella terra del Sol Levante si svegliava un leviatano e, come in una sorta di big bang primordiale, dava vita in modo definitivo a quello che oggi conosciamo come il business dei videogiochi. Sto parlando di Ken Kutaragi, figura atipica della cultura giapponese data la sua essenza molto indipendente, fuori dagli schemi ed egocentrica. Kutaragi si è riservato uno spazio nella hall of fame di tutte le hall of fame per aver inventato la PlayStation e aver portato contemporaneamente guerra alla Nintendo e trasformato il brand Sony da un'istituzione grigia e monolitica ad un marchio sinonimo di tecnologia d'avanguardia e intrattenimento digitale.
A Tokyo era il 3 dicembre 1994. La storia dei videogiochi sarebbe cambiata per sempre. Nell'arco dei dieci anni successivi Sega con il defunto Dreamcast, Microsoft con l'Xbox e di nuovo Nintendo con il Game Boy prima e il GameCube dopo si sono succedute e combattute per guadagnarsi un posto nella hall of fame. Tutte, indifferentemente hanno contribuito a trasformare un'attività da nerd in un settore da 10,5 miliardi di dollari, competitivo con quella della musica e del cinema.

Se volessimo individuare delle transizioni storiche nei racconti qui sopra, viste con gli occhi di occidentale, sicuramente individuerei quattro grandi momenti:
1) il passaggio dalle piccole console primordiali e coin-op al gioco su PC (1985-86)
2) la morte dei coin-op e il passaggio dal gioco su PC (inteso come principale base di sviluppo e creatività videoludica) alle console di prima generazione (1993-94)
3) il passaggio dalle console di prima generazione alla seconda generazione (1999-2000)
4) oggi, il passaggio dalla seconda generazione alla terza generazione di console.
Nel primo e nel secondo passaggio non si può assolutamente parlare di crisi da transizione. Il mercato dei videogiochi come ho spiegato prima era ancora primordiale, qualunque azione avrebbe avuto come conseguenza l'espansione, non la contrazione.
Una prima crisi, se vogliamo datarla, va ricondotta alla fine degli anni '90. La PlayStation 1 aveva portato con sé un'ondata di euforia senza precedenti. Se solo guardassimo al mercato italiano, nelle seconda parte degli anni '90 avevano aperto la maggior parte dei negozi di videogiochi, portando l'intrattenimento dentro tutte le case. Similarmente all'estero. L'esaurimento dell'onda della PlayStation 1 e il mancato decollo del Sega Dreamcast intorno al 1998/99, in un mercato all'apice di un grande periodo di crescita internazionale, portò con sé una discreta contrazione, sia presso gli sviluppatori, che si erano gettati a capofitto sullo sviluppo per la PS1, sia nel tessuto commerciale, con una chiusura a ripetizione dei piccoli negozi specializzati. Da questa prima crisi si uscì con il lancio della PlayStation 2, seguita a ruota da Microsoft Xbox, Nintendo con il Game Boy Advance e il GameCube, grazie ad un investimento di marketing senza precedenti, teso ad allargare ancora di più la base di installato e non a concorrere nelle case dei soliti aficionados.
L'amatissimo (dalle software house e dalle major) mass-market ha però delle controindicazioni: si dimentica presto delle novità. E il riflusso a cui stiamo assistendo oggi è la conseguenza di questo allargamento della base al mercato di massa, i cui movimenti anche di pochi punti percentuali possono mettere in ginocchio il più grande dei giganti.

Come uscirne

L'origine di questa crisi ha però molteplici inneschi, dove il ricambio generazionale gioca un ruolo importante ma non unico. Dovremmo anche considerare la crescita esponenziale del cellulare come piattaforma di gioco che tende a spostare il pubblico marginale mass market verso questa forma "economica" di intrattenimento elettronico (un gioco per cellulare costa 5 euro contri 50/60 di quelli tradizionali). Oltretutto il mercato dei giochi per cellulare non ha portato sangue fresco al sistema classico, ma è tuttora in mano agli outsider e a microaziende di dimensione poco più che familiare esterne all'industry. Va detto che l'acquisizione di Jamdat da parte di Electronic Arts è un segnale di convergenza tra i due settori.
La tipologia di videogiochi, sempre più profondi, complessi e tecnologicamente impegnativi, necessita capitali e tempi di sviluppo eccessivi. Per non parlare del bisogno di adattare un videogioco a molteplici piattaforme (dalla PlayStation 2 al cellulare) con sforzi post-produttivi non indifferenti.
E' evidente quindi che l'attuale "crisi" è figlia di molteplici fattori, ma sinceramente eviterei facili allarmismi. Ci sono necessità di cambiamenti e di ripensamenti su alcuni fronti, ma i margini di crescita sono ancora enormi.

P.S.: Se siete interessati ad approfondire la storia dei videgiochi vi consiglio questa voce su Wikipedia. Ci sono delle differenze sostanziali con questo editoriale, non tanto nella datazione quando nella scelta della terminologia. Per ovvie ragioni di spazio ho dovuto semplificare e sintetizzare una storia molto più lunga e sfaccettata.

Le puntate precedenti del Diario del capitano

Se vi siete persi le puntate precedenti del Diario del capitano (oltre 1200 editoriali), ecco le coordinate per rintracciarle:

- successive al 3 maggio 2004
- dal 2000 al 4 aprile 2004

Ecco alcuni dei titoli e notizie apparsi in giro ultimamente sull'industria dei videogiochi:


"Activision affronta nuove perdite di posti di lavoro" GamesIndustry, 21 febbraio

"Un'industria fuori dal gioco" Washington Post, 23 febbraio

"Take 2 affronta nuove azioni legali di gruppo" GamesIndustry, 16 febbraio

"Atari pianifica la vendita dei suoi studi di sviluppo" MCVUK, 17 febbraio