Link
La prima cosa che ci preme far notare è anche la prima che probabilmente avrà catturato la vostra attenzione durante le sessioni di gioco: l’interazione di Link col mondo che lo ospita. Ogni sviluppatore che si accinga a creare un titolo in terza persona piuttosto che in prima ha l’ulteriore difficoltà di non far sembrare ridicolo il modo in cui si influenzano reciprocamente il personaggio e l’ambiente. Zelda, che da sempre cerca di essere il più credibile possibile, aveva già raggiunto in questo senso una qualità eccezionale con Wind Waker; fortunatamente con TP Nintendo si è spinta ancora oltre. L’aspetto migliore in questo ambito è probabilmente la gestione dei movimenti degli arti inferiori di Link, che si adattano alla superficie in tempo reale: quando si trova con un piede sopra una panca e con uno a terra, ad esempio, la seconda gamba rimarrà distesa mentre la prima si piegherà posando il piede sopra la piattaforma. Seppure non sia ancora perfetto, lo stesso sistema è stato applicato alle scale: quando Link sale e scende riconosce i vari ostacoli e adatta il piede all’angolazione dello scalino. Non sono soltanto le gambe a muoversi, ma anche le caviglie, infatti se mai vi capiterà di trovarvi con uno stivale in discesa e con uno su una piattaforma piana potrete notare che Link asseconderà la pendenza ponendo una gamba all’indietro, col piede perpendicolare al pendio, e l’altra piegata in avanti per bilanciare il movimento.
Fauna
Era lecito aspettarsi una cura del genere per il protagonista, molto più sorprendente è invece quella riservata agli animali e alla vegetazione che ricopre il mondo di Hyrule. Prima degli altri ovviamente è necessario parlare del lupo e di Epona, rispettivamente forma alternativa e cavalcatura di Link. La bestia risvegliata dal crepuscolo è animata tanto bene quanto la controparte umana, essendo anch’essa realistica e soprattutto capace di comunicare tutta la furia che contiene: guidarla significa sentirsi un lupo, significa fendere il vento balzando ferocemente, vedendo una preda in ogni nemico, significa sentirsi veramente un umano nel corpo di un animale. Il sonoro e le animazioni contribuiscono grandemente a questa sensazione, soprattutto considerando che come Link anche il lupo si unisce con l’ambiente come se fossero una cosa sola, ancora una volta all’insegna dell’estrema coerenza. Questo tema lo affronteremo più avanti quando verrà il momento di parlare del modo di narrare di Zelda, ma è inevitabile accennarlo ora: Nintendo non esplicita la rabbia del lupo con dei video, la fa scorrere nel sangue del giocatore, gliela comunica come solo un videogioco può fare: una volta azzannato un nemico non vedrete la semplice animazione del morso ma dovrete scaricare la vostra ferocia su di esso, pigiando A ripetutamente, perché ad ogni pressione corrisponderà un morso, e ogni morso aumenterà in voi la sensazione di comandare, o di essere, una bestia. Tra i dettagli più convincenti, oltre alle zampe che si adattano anch’esse come le gambe alle superficie (che era una cosa maggiormente difficile da implementare, ma funziona perfettamente), ci sono i diversi modi di arrampicarsi del lupo, con le zampette posteriori che rapidamente sbattono su e giù, le varie tipologie di scontro con le pareti in base all’intensità della corsa, il movimento del muso nel momento in cui sposta gli oggetti, li afferra o addirittura li sbatte qua e là (cosa che attua coi ratti), esattamente come accade nella realtà. Per concludere l’argomento non potevamo non citare i tre anelli di catena che sono animati diversamente in relazione all’andatura del lupo.
Anche il modo di arrampicarsi è stato studiato minuziosamente, infatti Link si comporterà diversamente in base alle dimensioni dell’ostacolo che si troverà di fronte. Quando incontrerete una piccola barriera, più o meno all’altezza del ginocchio, il vostro alter ego la supererà senza quasi fermarsi, facendo un piccolo balzello; se l’ostacolo sarà alto (circa) fino al mento di Link, allora si arrampicherà con un solo braccio; se invece lo supererà per dimensioni allora allungherà le braccia e si isserà con difficoltà verso la cima, se necessario compiendo un balzo preliminare. Se vi arrampicherete su una scala a pioli o su un mucchio d’erbacce l’animazione del personaggio sarà diversa, e così anche quando getterete oggetti a terra: in base al peso di questi ultimi varierà il modo di lanciarli di Link. Senza tediarvi ulteriormente possiamo solo sottolineare che questa cura si estende praticamente ad ogni aspetto del gioco: quando tenderete l’arco l’animazione di Link sarà anatomicamente perfetta, così come quando cavalcherete o farete qualunque altra azione, addirittura vi accorgerete che il personaggio scivola in due o tre modi diversi in relazione alla pendenza della discesa. Tra tutte queste meraviglie è doveroso segnalare anche due mancanze: la prima, citata già in precedenza, è la difficoltà che ha il personaggio nel riconoscere, nel momento in cui sale delle scale poco canoniche (tipo quelle nel regno Zora, leggermente tondeggianti), l’inclinazione delle stesse; la seconda, e sicuramente più evidente e notata, è la legnosità con la quale è animata la corsa di Link. Sebbene anche visivamente il personaggio sia pregevole e apprezzabile in tutte le sue movenze, a presentare dei problemi è proprio l’animazione che tutti noteranno: in questo caso il busto rimane troppo rigido, come se stesse camminando. Tutto ciò per dirvi che nemmeno TP, probabilmente in questo campo il punto più alto raggiunto da un videogioco, è perfetto.
Epona non fa eccezione, e come gli altri due personaggi controllabili è stata creata con maestria. Il controllo era già preciso all’epoca del Nintendo 64, ma questa volta è molto più realistico: nei movimenti lenti si vede chiaramente che voi non comanderete direttamente Epona, ma le braccia di Link che le indicano la direzione attraverso lo spostamento delle redini. Il cavallo ha ben cinque diversi modi di incedere: la rotazione da fermo, che avviene deliziosamente solo con le zampe anteriori, con le posteriori che si limitano a fare dei piccoli passi per mantenere l’equilibrio; il passeggio, col quadrupede che danza sulle punte spostando Link su e giù; il trotto, quando comincia a prendere velocità; la corsa, ovvero la velocità massima ottenibile attraverso la semplice inclinazione del control stick; il galoppo, infine, quando deciderete di spronare la vostra cavalcatura facendogli fare uno scatto, obbligando Link ad appiattarsi sulla criniera. I movimenti dello stesso fantino sono gestiti in maniera sublime, non c’è un solo elemento che non sia animato adeguatamente, dallo spostamento del suo corpo a quello della spada e dello scudo che porta con sé, che sbatteranno più o meno intensamente in rapporto al ritmo tenuto dal cavallo. Potrete essere buttati giù da Epona, definitivamente o parzialmente (in questo caso Link cercherà di rimettersi in sella, con un’animazione notevole), e addirittura potrete salirci, oltre che scenderci, in due modi differenti.
Non solo il lupo e il cavallo, ma anche tutti gli altri animali che compongono l’universo del gioco danno l’impressione di essere vivi e implicitamente comunicano il presentimento di trovarsi in un mondo realmente esistente. I primi animali con cui farete conoscenza (non letteralmente, perché col lupo ci potrete discutere solamente nelle fasi avanzate) sono le capre gestite da Link, che potrete accarezzare oltre che scatenare: se le colpirete con la spada, infatti, non resteranno immobili ma cominceranno a correre ovunque senza freni. Le galline sono sicuramente più sorprendenti, perché, oltre che camminare in giro per gli affari loro, oltre che essere animate perfettamente, oltre che permettere di planare come nei vecchi episodi, stavolta nuotano anche, e lo fanno sontuosamente. Se mai avrete voglia di provarci, cercate di afferrarne una e tiratela sull’acqua: non solo galleggerà, ma muoverà le zampe realisticamente (osservatele) fino a riportarsi a riva. Dello stesso livello sono le rane che balzellano sulla riva del fiume, tanto inutili quanto deliziose da osservare mentre si muovono senza una precisa ragione, così come gli scoiattoli che si aggirano per la foresta. Un discorso a parte meritano i cani, probabilmente privilegiati da qualche script importato da Nintendogs: non si spiega altrimenti il livello di dettaglio e realismo raggiunto da queste creature che, nonostante siano carine, non hanno alcuna importanza per il gioco; camminano, corrono, frenano, vi seguono, vi puntano sbattendo la coda, potrete persino prenderli in braccio e lanciargli l’osso per farvelo riportare. Anche i gatti sono praticamente perfetti, aggraziati e felpati come solo questi animali sanno essere, ogni parte del corpo si muove come farebbe nella realtà; si vocifera che sia anche possibili farli cadere nell’acqua, con relativa centrifuga di pelo una volta tornati in superficie. Ci sono oche di due diversi tipi che popolano il laghetto facendosi gli affari loro, entrando e uscendo dall’acqua, sbattendo qua e là le zampe palmate; nel lago e nei fiumi, ovviamente, ci sono anche i pesci. La pesca di TP è più un gioco nel gioco che un minigame, tanto è elevata la cura riposta nella realizzazione di questa disciplina: non potevano quindi essere fatti male i vari tipi di pesce che abitano Hyrule, dai Lucci alle Trote Phetide. Questi esemplari ondeggiano sinuosamente sotto la superficie del lago, saltano e si divincolano una volta afferrati, sono insomma ricostruiti perfettamente; cosa che, essendo uno Zelda, era legittimo attendersi. Una volta indossati gli stivali di ferro, capaci di tenervi ancorati al fondale, rimarrete stupefatti dalla bellezza del panorama subacqueo: i pesci più grandi infatti verranno accompagnati da decine e decine di esemplari molto più piccoli, che si muoveranno a branchi e vi nuoteranno attorno. Senza entrare nel campo dei nemici, ci sono alcuni volatili da citare: i corvi e i condor. I primi, che vi attaccheranno se vi avvicinerete troppo, si trovano frequentemente negli alberi spogli di Kakrico; i condor potrete incontrarli al lago Hylia, voleranno alti sopra le vostre teste, animati con maestria e sempre pronti ad essere colpiti dal giocatore sadico (perché loro, per quanto angoscianti, non vi sfioreranno). Ci sono altri animali e insetti che popolano Hyrule, uccellini che si aggirano qua e là senza meta, farfalle che si posano sui fiori solamente per alimentare in voi la sensazione di respirare l’aria di quel mondo: tutti elementi che esprimono la dolcezza e la cura che hanno portato alla creazione di Twilight Princess, e che non ci sogneremmo mai di aver descritto alla perfezione, sia per il loro realismo che per la loro quantità; Zelda è bello anche per questo, perché si ha sempre la sensazione, ogni volta che si accende la console, di potersi trovare di fronte a qualche dettaglio, per quanto piccolo, capace di sorprenderci.
Mondo
Hyrule questa volta ha raggiunto delle dimensioni enormi, paragonabili, naturalmente come vastità, a quelle degli rpg occidentali. Il mondo è organizzato in alcuni grandi blocchi di territorio, collegati da ponti, strade e cunicoli: l’esplorazione quindi non è del tutto libera ma distribuita a zone; detto questo, la credibilità di Hyrule ha pochi eguali nonostante i limiti tecnici imposti dall’hardware del Gamecube. Ciò che impressiona maggiormente è che Nintendo, nonostante abbia incrementato a dismisura la vastità del mondo e la quantità di oggetti che lo compongono, è riuscita a non inserire i caricamenti: ci sono delle zone buie di un secondo nel passaggio da un territorio ad una città, o da un villaggio a un dungeon, però la mappa è esplorabile quasi completamente senza interruzioni e soprattutto non ci sono mai barre di caricamento che avrebbero rallentato l’esperienza di gioco. Oltre a questo c’è da segnalare che il pop-up, nonostante l’orizzonte sia molto lontano in varie occasioni, è pressoché inesistente: potrete inquadrare i nemici da distanze notevoli e pure colpirli con la freccia, se vorrete e ne sarete capaci. Vista la grandezza del territorio fortunatamente è stata conferita ad Epona la capacità di galoppare, il che garantisce all’esplorazione di non risultare quasi mai tediosa, anche perché, come abbiamo specificato prima, l’interazione è gestita grandiosamente: erba da strappare con uno scatto, nemici da falciare, zolle che fanno saltare, il tutto senza nessuna forzatura nei confronti del giocatore – a parte, naturalmente, il confine della locazione. Lo stacco tra una zona e l’altra è gestito sapientemente, senza tagli drastici: si passa da zone erbose a desertiche con una lenta gradazione in modo che tutto risulti credibile.
Il maggior pregio di Hyrule è ancora una volta la sua coerenza: pochi sviluppatori riescono a creare un mondo che sia allo stesso tempo appassionamene dal punto di vista ludico e realistico come strutturazione. Quello di Zelda è sia una sorta di enorme dungeon, perché contiene segreti dispersi in ogni dove, dagli insetti nascosti sulle cime degli alberi alle caverne sotterranee, sia un territorio vivo, credibile, suddiviso in varie tribù. Ogni razza è animata differentemente dalle altre, ha i suoi comportamenti, il proprio modo di agire, le sue particolarità: tutto ciò non è un elemento fine a se stesso, ma influisce anche sull’architettura delle zone abitate, vista la composizione del villaggio dei Goron o di quello degli Zora. La montagna della morte è organizzata in cunicoli e vie strette, mentre il villaggio degli uomini-pesce è composto da strutture ampie, longilinee, sopra e sotto la superficie acquatica, in modo da assecondare le peculiarità degli abitanti - così la situazione di presenta dal punto di vista degli sviluppatori, mentre volendosi immergere nel mondo di Hyrule è esattamente il contrario, ovvero sarebbero i vari personaggi ad aver costruito le città in base alle loro attitudini. Anche lo stacco tra mondo e dungeon, ben marcato nei precedenti episodi della serie, stavolta è stato annullato: a parte qualche eccezione i sotterranei, o quelli che siamo abituati a catalogare come tali, sono la logica continuazione della zona che li introduce. La fisica del gioco è come al solito di grande livello e soprattutto funzionale al gameplay, vista l’importanza data ad ogni singolo fattore: il peso specifico attributo ai vari oggetti, ad esempio, oppure il realismo dei movimenti effettuati in acqua. I materiali in Twilight Princess, come accade in realtà, hanno una consistenza diversa: se andrete a sbattere contro dei cancelli di legno, ad esempio, quelli non si limiteranno a rimandarvi indietro come siamo purtroppo abituati a vedere in fin troppi giochi, ma continueranno ad oscillare per qualche secondo; le pietre che una volta alzate costringono Link a muoversi più lentamente rispetto a quando solleva un vaso; gli oggetti che, una volta tirati in acqua, affondano – o nel caso delle casse di legno galleggiano – secondo il loro peso. Finalmente anche le bombe sono soggette alla forza di gravità, e lasciandole su un pendio noterete che rotoleranno giù; sarebbe impossibile enarrare distintamente ogni elemento, sia perché sarebbe inutile sia perché sono troppi: come ultima curiosità, stavolta per gli appassionati di lunga data di Zelda, è bello segnalare che finalmente i vari cartelli, oltre a poter essere tagliati, si possono raccogliere e lanciare sull’acqua – dove ovviamente galleggeranno seguendo la corrente – oltre che scaraventare contro una parete, così da suddividerli in pezzi ancora più piccoli.
Nonostante l’atmosfera cupa e avvolgente che permea l’intera esperienza, il gioco non ha perso una delle sue componenti fondamentali, ovvero la follia. Se si potesse scegliere il più grande cambiamento apportato da Aonuma alla serie, probabilmente sarebbe proprio il lunatismo donato ad alcuni dei personaggi che popolano il mondo di gioco. L’apice di questa concezione di Zelda è stato raggiunto sicuramente attraverso Majora’s Mask, dove ogni abitante faceva i fatti suoi nell’arco dei tre giorni che ospitavano l’avventura: ovviamente non erano tutte occupazioni normali, ma contribuivano ad alimentare l’aura onirica che avviluppava Termina. L’attenzione rivolta ad ogni singolo individuo, oltre ad aver fatto di Majora lo Zelda più atipico, lo rese anche il titolo col mondo più vivo e realistico assieme a Shen Mue di SEGA. Twilight Princess non fa parte degli episodi alternativi, ma è un gioco classico della saga, erede del primo per Nes, di A link to the Past e di Ocarina of Time: nonostante questo il numero degli abitanti ben caratterizzati è sicuramente superiore a quello degli Zelda appena elencati. Sebbene le sub-quest legate ai singoli individui siano poche e oltretutto organizzate a domino, la maggior parte della gente ha un profilo grandemente particolareggiato: i personaggi sopra le righe sono davvero molti, dall’inizio alla fine, da Birbo a Midna, passando per Xenia, Telma, il responsabile del circo e quello dei cannoni, quello del negozio di bombe e il principe Zora; insomma, l’impronta di Aonuma è evidente anche stavolta. Nonostante quindi le quest “emotive” siano poche, l’attenzione rivolta ai singoli abitanti, in modo da far sembrare vivo il mondo, è stata anch’essa eccezionale: la stessa Hyrule, benché sia una questione meramente scenica, appare come una città realmente abitata, coi tanti membri del popolo che fuggono velocemente da una parte all’altra dell’agglomerato urbano.
Story-Telling
E’ opinione comune che Zelda abbia una brutta storia: in realtà non è che sia scadente, semplicemente non ha un intreccio complesso. Il gioco Nintendo è sempre stato basato su una forte e semplice simbologia, una simbologia minimalista che comunque non ha mai mancato di coinvolgere i tanti giocatori che l’hanno conosciuta col passare degli anni. Esclusi sporadici episodi, la saga non ha mai cercato di stupire con colpi di scena, ne tantomeno con la complessità della trama: da quando è arrivato Aonuma, piuttosto, è riuscita a trovare una propria dimensione attraverso le storie dei singoli personaggi, che contribuiscono a dare l’impressione che il mondo sia vivo e a intrappolare ancora di più il giocatore nei panni di Link.
Ciò che rende peculiare Zelda fin dalla sua nascita è sempre stato il suo modo di narrare, che ha affinità con altre opere d’arte: un buon fumetto per essere tale deve mostrare il più possibile, deve dialogare col lettore attraverso le immagini omettendo, ogni volta che sia possibile, le parole. Ciò che ha fatto Miyamoto attraverso il videogioco, ovviamente con Zelda, è la stessa identica cosa che ha fatto Bushmiller col fumetto: entrambi hanno dato vita a delle opere che giocano con la posizione del fruitore delle stesse. Nancy, in Italia chiamata Zoe, era spesso posta di schiena, ai margini della vignetta, in modo che il lettore entrasse nei suoi panni, vedesse quello che vedeva lei, provasse insomma le sue stesse sensazioni. In questo modo Nancy era sì un personaggio autonomo, ma era anche il lettore stesso: la medesima cosa accade in Zelda. Link in italiano significa collegamento, è proprio questa la sua funzione: il fatto che non parli, la sua purezza incontaminata, la cronica scarsità di dettagli sulla sua vita passata, sono tutti elementi inseriti per far sì che il giocatore si immedesimi col suo alter ego. Nonostante viva in quel mondo da anni, Link si sorprende sempre quando trova qualcosa, come se lo vedesse per la prima volta, come se non avesse abitato ad Hyrule prima di allora: tutto ciò per creare un ulteriore parallelismo con chi lo comanda. In Zelda Link procede scoprendo il mondo attraverso di noi, facendo scomparire assieme al giocatore le varie nubi che circondano il suo villaggio. Se Link scopre qualcosa, il giocatore scopre qualcosa, se il giocatore scopre qualcosa, Link scopre qualcosa. Twilight Princess rischiava di essere un’eccezione, fortunatamente non è stato così: nonostante ci fosse la necessità di contestualizzare maggiormente la presenza di Link nel villaggio, visto che questa volta il tono è più realistico, i dettagli forniti e le sorprese non sono state così tante da alterare lo storico equilibrio che contraddistingue la serie. Link è un pastore, ha un cavallo di nome Epona e un’amica chiamata Ilia: questo è l’incipit del gioco, è il passato del protagonista ante-Twilight Princess, e tutti questi elementi sono chiariti fin dalla prime fasi. L’innato potere di Zelda di far desiderare al giocatore cioè che Link deve fare, e soprattutto di non chiarificare mai il limite tra comandante e comandato, è rimasto forte e intatto, malgrado questa volta si sia rischiato più che in passato, soprattutto nella prima parte del gioco.
Assurdo criticare la regia di Zelda, cosa che purtroppo si fa troppo spesso: se si desidera che i videogame raggiungano prima o poi la maturità che hanno altri mezzi di comunicazione, allora è necessario comprendere che non è la regia di Zelda ad essere scarsa, perché in Zelda la regia la fa il giocatore; non avrete mai filmati in Computer Grafica che mostrino un paesaggio sconfinato, perché questa serie parla da sempre attraverso i mezzi che le competono, perciò quella scena dovrete, se vorrete, perché potrete, costruirvela da soli. Naturalmente ci sono dei video d’intermezzo che narrano l’evolversi della storia, ma ci sono nella stessa misura delle parole nei buoni fumetti: ovvero, il minimo indispensabile. Questi filmati in Twilight Princess sono stati curati più che in passato, in modo da essere più coinvolgenti e belli da vedere, ma non creano mai uno stacco tra le fasi di gioco e quelle osservate: la grafica e le animazioni sono esattamente le stesse che si ammirano durante la parte esplorativa. La volontà di accostare le due sezioni è evidente, tanto che anche gli abiti di Link cambiano in base a quelli che indosserà appena prima che parta la scena: addirittura, qualora portasse gli stivali d’acciaio, si sentirà il rumore degli stessi durante il filmato.
Dungeon
Wind Waker era carente dove solitamente ogni Zelda eccelle, ovvero nella qualità dei dungeon, e per questo è stato spesso contestato dagli appassionati. Memori degli errori passati, con Twilight Princess gli sviluppatori si sono impegnati a fondo per dare vita al migliore gioco della serie anche e soprattutto in questo campo: dopo quattro anni di sviluppo, fortunatamente ci sono riusciti. Come detto in precedenza una delle novità più rilevanti è proprio la cura con la quale è stato gestito il passaggio dalle zone esplorative ai sotterranei; ma andiamo con ordine. Il primo dungeon, che come tema ha la foresta, non si discosta molto da quelli apprezzati nel corso degli anni in Zelda: gli enigmi strizzano continuamente l’occhio all’appassionato – o lo tediano, dipende dai punti di vista – e anche l’ambientazione è abbastanza scontata. Il “Santuario della Foresta” è un tempio classico, anche nella strutturazione, che purtroppo non ha nemmeno l’ombra dell’atmosfera spettrale ed esoterica dello storico Forest Temple di Ocarina of Time. Come in ogni peggiore dungeon di Zelda c’è un rompicapo principale, quello che trovate appena prima del boss, e una serie di sotto-enigmi sparsi qua e là. Sono comunque lodevoli e divertenti le parti che sfruttano le nuove capacità del boomerang, come l’enigma delle torce che si possono sia accendere che spegnere, e il boss finale, non difficile ma ben congeniato; quest’ultima è una caratteristica costante di Twilight Princess. Il secondo dungeon, ambientato nella Death Mountain, lascia già intravedere le potenzialità e le novità introdotte dal gioco: la prima cosa che lascia a bocca aperta è che non ci si rende conto di essere entrati in un sotterraneo, essendo inserito perfettamente nello scenario che lo ospita. Gli enigmi sono più complessi che nel primo e il design è costantemente alto dall’inizio alla fine: ben bilanciato, mai banale, è perfetto per la posizione che deve ricoprire. Il terzo è un capolavoro, piccolo ma geniale. Come nella miniera anche in questo caso l’entrata è stata ideata in modo che non si avverta alcuno stacco, tanto che c’è una parte introduttiva che come essenza è a metà tra il lago Hylia e il dungeon marino. Ciò che rende speciale questo sotterraneo è la sua architettura; Zelda non mostra, Zelda fa provare: per comunicare lo stato confusionale di Link non vengono usati simboli sopra la testa del personaggio, semplicemente si fa perdere il giocatore all’interno del dungeon. Le stanze non sono tante, il sotterraneo è piccolo, ma la possibilità di ruotare la stanza centrale, la sua composizione a cilindro, la simmetria tra le varie parti della stessa non può non creare disagio nella mente di chi tenta di raggiungere la porta del boss, che ironicamente è stata posta subito sotto gli occhi del giocatore. Questa meravigliosa costruzione si conclude adeguatamente con un boss tanto incantevole quanto semplice. Il quarto è anch’esso di una bellezza disarmante, assieme al terzo e al settimo il migliore del gioco, ognuno per motivi differenti. Il dungeon è classico, perché è un tempio, però in questo caso, al contrario che in quello della foresta, la sua presenza è giustificata dalla locazione. Straniante, sabbioso, arido e spettrale, questo sotterraneo parte bene fin dall’inizio grazie all’atmosfera particolare, creata anche dai nemici che lo popolano. La prima parte è bellissima, con alcuni enigmi molto impegnativi, abbastanza geometrica, richiede l’utilizzo dei poteri del lupo oltre che delle armi di Link; fino a metà è una creazione di eccellente artigianato, ma solo attraverso l’arrivo dello spinner, l’oggetto che si trova dentro il tempio, riesce a spiccare il volo e ad inserirsi tra i migliori dungeon dell’intera serie. Inattesa, adrenalinica e coinvolgente, la sezione finale è un crescendo continuo, fino ad arrivare al boss finale, maestoso e realizzato magnificamente, giusto epilogo del tempio.
Il quinto è l’estremizzazione del concetto introdotto attraverso il secondo e il terzo sotterraneo, perché in questo caso non solo l’entrata non comporta un drastico cambiamento rispetto allo scenario circostante, ma anzi la costruzione è ben visibile dall’esterno: per la prima volta in uno Zelda, un dungeon è rappresentato da una casa. I proprietari dell’abitazione, una coppia di Yeti, vi affideranno una serie di sottomissioni (soprattutto la moglie) da svolgere all’interno del palazzo nordico. Visivamente la villa è molto eccentrica, decisamente diversa dalle altre abitazioni di Hyrule. Per quanto l’atmosfera sia particolare e la contestualizzazione atipica, il dungeon è assieme al primo uno dei più scontati: alcuni enigmi sono difficili, l’arma è nuova, ma è tutto molto geometrico e gli spunti geniali non sono molti, senza contare che il boss è probabilmente il peggiore del gioco da un punto di vista specificatamente ludico. Prima di parlare del sesto, meritano una menzione d’onore le Lost Woods di Twilight Princess: al contrario di quelle di Ocarina, dove la sensazione d’incanto e follia era comunicata attraverso i vari cunicoli bui, in questo recente episodio il giocatore viene indotto davvero a perdersi all’interno della foresta. Nel gioco per Nintendo 64 se Link sbagliava sentiero veniva riportato all’entrata, a simboleggiare il fatto che si fosse smarrito, mentre in Twilight si perde realmente attraverso una struttura circolare piena di zone che mutano continuamente da accessibili a precluse. Tutto questo costituisce l’introduzione al sesto dungeon, ambientato nel Tempio del Tempo ammirato in Ocarina of Time – per ulteriore informazioni, controllate il box. Anch’esso piuttosto piccolo e composto da enigmi abbastanza semplici, non è sicuramente il migliore del gioco, sebbene sia innegabile la sua particolarità. La struttura è anomala nonostante la costruzione sia classica: bisogna salire in cima al tempio, trovare l’arma che consente di muovere le statue, scendere l’intero palazzo con una di esse fino al punto di partenza, dal quale si potrà accedere alla stanza del boss. Un percorso sicuramente originale, capace di rendere unico e divertente un dungeon che altrimenti non si sarebbe discostato molto dal primo. Ad arricchire l’intera esperienza c’è un boss finale studiato molto bene, anche se eccessivamente facile. Il settimo è ambientato in cielo, ed emblematicamente è la posizione che gli spetta: molto probabilmente è il migliore dell’intera serie – ovviamente prendendo in considerazione gli episodi tridimensionali, un confronto diretto con quelli 2d sarebbe abbastanza difficoltoso. L’ambientazione è avulsa dalle altre e lunatica, così come la musica che aleggia in sottofondo, ma ciò che rende delizioso questo dungeon è la sua struttura, l’intrecciarsi perfetto delle stanze, l’architettura surrealista di questa città eterea. Uccelletti che camminano sulle pareti, pavimenti inesistenti, sezioni cilindriche di vari piani, giardini costruiti sopra le case tondeggianti, il tutto valorizzato dai migliori rompicapo dell’intero gioco. La stessa arma che rende così speciale e unica l’esplorazione della zona, capace di comunicare l’altitudine del tempio, non è altro che un hookshot reinventato come meglio non si poteva fare. Il boss è la degna conclusione di un dungeon praticamente perfetto, molto appassionante e bello da vedere. L’ottavo e il nono, per quanto interessanti e coinvolgenti, non si possono considerare dei veri e propri sotterranei: molto più brevi degli standard della serie, sono comunque ben strutturati e creati con sapienza, soprattutto la stanza coi lampadari del nono e l’enigma che cela la chiave del boss nell’ottavo. Finora non abbiamo parlato del sistema di combattimento, sicuramente quanto di più preciso e pulito si sia visto finora in un gioco d’avventura. Le interazioni tra Link e i nemici sono state create puntigliosamente, e gli scontri sono stati resi più liberi di quanto non fossero in Wind Waker: se in quest’ultimo le azioni speciali si attuavano con la semplice puntuale pressione del tasto A, in Twilight Princess si eseguono manualmente; non solo, nonostante ci siano tante mosse da sbloccare, quasi nessuna di queste è necessaria a completare il titolo, perché è stata data la massima libertà al giocatore: ognuno troverà il suo stile e prediligerà determinate armi piuttosto che altre. Dove i combattimenti scarseggiano è nella sfida, visto che i nemici sono fin troppo facili e tolgono poca energia: questo è, senza ombra di dubbio, il difetto principale di TP.
Midna 64
La storia di Zelda 64 è così complessa che richiederebbe un articolo a parte, qui ci limiteremo a dare le informazioni legate a Twilight Princess. Il progetto iniziò nel 1994 ed era qualcosa di immenso, tanto che lo stesso Ocarina, considerato da molti il miglior gioco della storia, era solo una versione tagliata e rimodellata di Zelda 64. Le parti asportate sono poi state utilizzate nei vari giochi della saga, e anche in quest’ultimo episodio ne troviamo le tracce: innanzitutto la capacità di Link di fischiare con gli steli d’erba, ma anche il sesto e il settimo dungeon, quello del Tempio del Tempo e quello della città volante, che si vocifera fossero stati tagliati nel passaggio da Zelda 64 a Ocarina of Time. Se il settimo non ha molti punti in comune con Ocarina, a parte un legame concettuale, il sesto rimanda direttamente al Temple of Time del gioco per Nintendo 64; anche la musica è la stessa. Probabilmente purtroppo nessuno saprà mai la verità, era doveroso però segnalarvi questi dettagli. Se l’argomento vi incuriosisce potete approfondirlo andando ai link seguenti: Immagini Zelda 64 - Storia Zelda 64 - Storia Zelda TP Beta
Finale
Un paragrafo a parte merita indubbiamente il finale del gioco, carico di riferimenti e simbolico come da tradizione. In Wind Waker Ganon per la prima volta svestiva i panni del nemico malvagio, indossando quasi quelli della vittima: nel monologo finale si poteva intravedere nelle sue parole la vecchia Nintendo che, avendo perso un’altra battaglia, annegava assieme ad Hyrule, lasciando ai giovani il compito di trovare un nuovo mondo da conquistare; mondo rappresentato, come abbiamo ormai scoperto, da Nintendo DS e Wii. In Twilight Princess la simbologia è evidente fin dall’inizio, e la scena è traumatica: la prima parte del boss finale è rappresentata da Zelda. Molti si saranno stupiti, si saranno imbarazzati a combattere colei che hanno salvato tante volte: lo scontro è così coinvolgente ed emozionante che difficilmente si riesce a pensare al suo significato, che invece è piuttosto chiaro. L’obbiettivo del team di sviluppo è stato specificato fin dall'inizio: superare Ocarina of Time. Il fantasma dello Zelda uscito nel 1998, leggenda divenuta leggenda, è stato sempre presente tra le tantissime persone che hanno preso parte a quest’ultimo progetto, Aonuma in primis. E’ normale così che abbiano inserito uno scontro dall’alto valore allegorico: Midna contro Zelda, Twilight Princess contro Ocarina, Nintendo contro sé stessa. La battaglia prosegue con Ganon, ed è assolutamente meravigliosa: da giocare, da vedere e da vivere, con le tre cose che si fondono magicamente insieme. La simbologia continua ad essere forte dopo lo scontro, con la doppia identità della Twilight Princess – Midna e gioco stesso. La piccola principessa del crepuscolo, che si credeva morta, è sopravvissuta alla battaglia, ovvero allo sviluppo del gioco, e ora che il mondo è salvo, ora che lo sviluppo è finito, si può ammirare in tutta la sua celestiale bellezza: Midna muta la sua forma, diventa una fanciulla strana e splendida, ma dopo la foga ci rendiamo conto che adesso, a gioco finito, non possiamo interagire con lei, ma solo osservarla in tutta la sua grazia. Ci ha accompagnato per tutta l'avventura, ma solo ora abbiamo il tempo di ammirarla per quella che realmente è, solo ora abbiamo tempo di capire quanto sia stato bello Twilight Princess. E le parole che pronuncia appena prima che parta il filmato conclusivo, “sei rimasto senza parole di fronte alla mia bellezza?”, apparentemente insensate, sono devastanti e struggenti per chiunque abbia la sensibilità adeguata a comprenderle. Midna parla a Link, ma lui è rimasto per tutto il tempo senza parole, muto… chi è in realtà Link? Siete voi. Midna, la principessa del crepuscolo, si sta rivolgendo direttamente al giocatore, rafforzando il legame tra sé stessa e lo Zelda al quale dà il nome. Dopo l’emozionante filmato che mostra i tanti personaggi incontrati durante l’avventura, arriva l’ultima scena, che probabilmente saprete già qual è e ormai avrete intuito cosa possa significare: Midna sparisce, la Twilight Princess se ne va, Twilight Princess si conclude.
Avvertenza: Se non avete giocato e/o finito Twilight Princess e non volete anticipazioni di alcun tipo, vi consigliamo di non proseguire nella lettura di questo articolo.
Twilight Princess non ha causato discordia tra la comunità videoludica: al contrario del suo predecessore, Wind Waker, il giudizio è stato sostanzialmente unanime. Rare eccezioni a parte, è stato ritenuto dalla critica l’apice raggiunto dalla serie e, conseguentemente, del genere di appartenenza. Per motivi di spazio e di tempo però pochi articoli sono riusciti a cogliere l’essenza di questa più recente opera Nintendo, ci sono stati più giudizi che motivazioni, più sentenze che discussioni. Lo scopo di questo approfondimento è quello di illustrarvi perché questo gioco è speciale, cos’ha di diverso rispetto agli altri, cosa lo rende quello che è: tutto ciò attraverso un’analisi del titolo fondata su basi oggettive ma che, naturalmente, è anche frutto di considerazioni personali. Più che la spiegazione, termine che sarebbe eccessivamente presuntuoso, quella che state per leggere è la nostra interpretazione di Twilight Princess.