Il concorso Le Realtà in Gioco, iniziato il 14 giugno scorso, ha raccolto il lavoro di circa 140 aspiranti scrittori nella forma di altrettanti racconti dedicati all'incontro tra mondo reale e contesto videoludico.
I risultati hanno toccato ambiti molto diversi, dal diario alla fantascienza più spinta, e hanno spinto Multiplayer.it Edizioni a lanciare una nuova editoriale, dedicata ai giovani scrittori, che parte proprio con il volume Le Realtà in Gioco: Storie Straordinarie per Vite Ordinarie. Si tratta di un'opea corposa composta da ben 33 racconti. Di questi, 16 sono stati selezionati dalla Giuria Tecnica e dalla Redazione e 10 direttamente dai lettori attraverso il sito dedicato. Gli ultimi 7 sono invece stati appositamente scritti da altrettanti autori già affermati che hanno deciso di cimentarsi nella sfida. Il volume verrà presentato al Salone del libro di Torino 2013, venerdì 17 maggio alle ore 18 presso la Sala dell'Area Book To The Future, Pad. 2, alla presenza degli autori, Luca Crovi ed alcuni degli scrittori emergenti selezionati.
I sette autori VIP sono: Tullio Avoledo, scrittore affermato, ha già affondato la sua penna nell'universo videoludico con il romanzo "Le Radici del Cielo" ambientato nell'universo di Metro 2033. Luca Crovi, celebre speaker radiofonico, si è recentemente lanciato nel mondo della scrittura con "Noir, istruzioni per l'uso". Alessandra Contin, giornalista tech, è alla sua terza esperienza come scrittrice. Massimo Gardella, scrittore e musicista, ha ricevuto la menzione speciale della giuria al Premio Scerbanenco 2012. Roberto Recchioni, celebre sceneggiatore e fumettista che molti lettori di Multiplayer conoscono bene. Paolo Roversi, affermato giallista affezionato alla figura dell'hacker. Simone Sarasso giallista, insegnante di scrittur creativa e sceneggiatore per il piccolo e il grande schermo. Matteo Strukul ideatore del movimento lettario Sugarpulp e scrittore affermato.
Di seguito un estratto del racconto scritto da Tullio Avoledo che mescola cosplay, videogiochi, slang e deriva violenta della società in un evidente omaggio ai capisaldi della fantascienza moderna.
Kosplay
Vorrei averla kwi davanti a me kwella stronza ministra di un sakko di anni fa, kwella che diceva a Vatti e agli altri della sua Gehenneration di non essere choosy. Choosy un kazzo. Vorrei vederla kwi lei, seduta su 'sta sedia, mentre la trukkatrice mongola la spalmazza tipo di trukko e dice Sai, io ho fatto il trukko a Lara Kroft. E che fosse l'urLara o una delle sue decinaia di inkarnazioni va' a saperlo, anche se è poco truffolo sia la Kroftona originale, quella megafiga ke ha bagnato i sogni di un kasino di nerd e nerde ke adesso sono allo Spizio.
Vatti ha tipo kreduto alla ministronza, e ha viaggiato il mondo, al tempo in kui i dinosauri ankora usavano tipo Google azziké Hoogle e Big Steve era più o meno vivo e diceva cose tipo Crescete e moltiplicatevi e stay hungry, stay foolish, e in kwuesto è stato tipo un profeta, perké la fame c'è alla grande e anche la pazzia, perké altrimenti kosa ci farei kwi ai provini notturni per Fallout 3 Reloaded? Uno stomako ke brontola komanda alla grande sul cervello, non c'è lotta, anke se una voce dentro di te kontinua a dirti ke stai facendo una kazzata grossa tipo come il kannello di Pompeo Durhammer.
Vatti ha provato tipo una decina di mestieri prima di trovare kwuello ke l'ha fatto morire: addestratore interinale di Shamu l'Orca allo zoo di Berlino. Klaro ke non era mika tipo l'orca originale, ma tutti sulle kartoline la kiamavano Shamu l'Orca.
Vatti ha lavorato allo zoo tipo dieci giorni prima ke kwella puttana di un'orka lo mangiasse. Cioè, non è ke l'ha mangiato veramente. L'ha tipo morso e inghiottito e sputato, tipo in mezzo minuto. Kwindi non era neanke hungry, la stronza. Hanno scritto sul tabellone una cosa tipo ke La Direzione Si Scusava Per L'Incidente e Offriva Pop Corn Gratis Per Tutti all'Uscita e hanno infilato Vatti in una plastic bag e la plastic bag in un forno e la musika d'organo era tipo registrata e il sakko kon papà dentro è scivolato nelle fiamme tipo varo di una barka come kwella ½affondata a Fiumicino dove vivo io.
Mentre la trukkatrice mi lavora gwardo la tele. Assassin's Kreed 14, kwello in Cindia, dove Nelson Mandela Kremaster viaggia tipo dietro nel tempo e inkontra Siddartha. Non è un Kosplay. È un gioco-gioco, ma la grafika è fikissima.
Kome ke dici, ke non kapisci?
Se uso l'italiano standard inizio Ventunesimo va meglio?
Sì?
Ne conosco altre quattro: Bimbominkia anni Venti, Ambient, Disneytype e Sparacazzate, che era la lingua ufficiale del Partito del Grande Lekkagnokka.
No, scherzo. Inglese, va bene. Inglese e Bimbominkia. Sarei di madrelingua Bimbominkia, per via di Mamma, appunto, per questo credo si chiami madrelingua, ma la Corporation di Mamma era la Soylent, che è tipo molto attaccata alle tradizioni e preferiva che noi bambini venissimo educati in italiano standard. Però Mamma era una testa dura e così ci ha fatti bilingui, io e i miei fratelli, Tanya e Jericho Echo Echo Echo.
Sì, si chiama proprio così.
La macchina battezzatrice ha chiesto a Vatti, cioè, a Papà, di digitare ancora il nome, ma ogni volta che Papà lo faceva la macchina diceva INPUT ERRATO. Finché, dopo il terzo tentativo, si è mangiata la tessera di Papà e abbiamo dovuto salire tipo sei piani di scale e far battezzare mio fratello a mano. Quelli manco sapevano come fare. Vivevano in un posto sporco e puzzolentissimo, uno degli uffici di una volta dove stanno ancora gli impiegati umani, mentre al piano di sotto ci sono quei bei saloni di plastimarmo luccicante, con le macchine tipo d'oro e cromate. Gli impiegati vivono ai piani alti, dove non arriva più la corrente. Dormono nei loro uffici di una volta, e scrivono con la matita su fogli di carta. Hanno delle cose rotonde chiamate timbri. Prendono il timbro, aprono una scatoletta bassa dove c'è una specie di cuscino nero umido, appoggiano il timbro sul cuscino e poi lo schiacciano su un foglio di carta così vecchio che è giallo invece che bianco. Dopo mettono il foglio in un contenitore tenuto insieme con lo scotch e ti dicono felicitazioni, signori. E così Jericho Echo Echo Echo comincia il suo meraviglioso viaggio nella nostra Democrazia Sostenibile. In mezzo all'odore di cavoli bolliti e calzetti bagnati. O viceversa. Cavoli bagnati e calzetti bolliti.
Invece io e Tanya siamo state battezzate a macchina.
Una volta il battesimo era una cosa che si faceva in chiesa, ma adesso lo fa lo Stato, tipo in subappalto. La Chiesa fa tipo i matrimoni, i funerali e tutto quello che ci sta in mezzo, ma non il battesimo, perché quello è il momento in cui lo Stato ti controlla i cromosomi, e se ti dice male vai nello Scarico, per cui la Chiesa ha detto che in questa cosa non ci vuole entrare, e semmai i bambini vengono ancora a lei, ma dopo.
Io dovevo chiamarmi Jeep, per via di una sponsorizzazione che c'era quando sono nata, ma poi l'offerta è scaduta e allora papà ha optato per Fanoni, che è il nome dei denti della balena. Papà è sempre stato fissato con i cetacei, e penso che perciò sia molto ironico che proprio un cetaceo l'abbia spedito nella grande discarica celeste. Credo però che la fissa del nome Jeep gli sia rimasta, perché se prendi le iniziali dei quattro nomi di Jericho Echo Echo Echo vedi che viene fuori JEEE.
Mamma stava ancora smaltendo i postumi della festa di benvenuto alle emorroidi, quando Papà le ha detto come mi aveva battezzato. Gli ha tirato dietro una bottiglia mezza piena di Ron Chavez Aniversario. Per fortuna era di plastica. Papà ha svitato il tappo, si è fatto un sorso e poi ha proposto a Mamma, ancora sderenata e tutta sottosopra per il parto, di fare a metà col nome. In pratica, poteva aggiungere cosa voleva, prima o dopo il nome Fanoni.
Mamma, per dispetto, ha scelto Margherita, che è tipo il nome di una qualche nonna che lei aveva avuto una volta. I Bimbominkia hanno di queste ricadute sentimentali.
Se uno adesso mi chiama Fanoni, tipo, gli infilo lo stivale in gola. Con tutta la gamba dietro.
Se mi chiama Margherita, l'altro stivale.
Margherita Fanoni: due stivali due, con un salto tipo Brucelee Reeves.
Chiamatemi Margo.
È il nome che mi sono scelta.
Il mio nome da Kosplayer.
L'ho usato la prima volta a sedici anni, quando dovevo saldare il debito delle tasse scolastiche, e ho giocato un livello di Pac-Man.
Prima di entrare nell'arena il Censore mi ha chiesto:
Nome e Cognome?
E io: Margo.
Margo e poi cosa?
Margo e basta.
E lui ha tippato sul suo pad le parole: Nome: MARGO - Cognome: EBASTA.
Manco fossi una testariccia bantù, invece di una rossa con tipo due galassie di lentiggini sulle guance.
Poi lui si inginocchia, perché all'epoca ero alta un metro e un cazzo per via dello sviluppo ritardato, e mi fa: Allora, signorina Ebasta, adesso tu ti infili in quel bel costumino da ciliegia, entri in quel tunnel e cominci a correre.
Corro e basta?
Lui mi ha guardato un attimo perplesso, poi ha detto: Beh, sì.
Io da Mamma, oltre che il pelo rosso e la pelle di latte, ho preso anche le gambe lunghe, lunghissime. Ero più gambe che altro, da bambina. Di sicuro non avevo cervello. Due centoni di tasse abbuonate in cambio di un giro di Pac-Man. Un vero affare.
Sì, come no.
Ho capito che non era per niente un affare quando sono saltata fuori dal tunnel e mi sono trovata nel corridoio nero del gioco. C'erano file di lucine piccole piccole proiettate a mezz'aria, e le pareti sembravano tipo velluto nero. Io ero vestita da ciliegia, e il costume mi impediva parecchio i movimenti. Me l'avevano detto, ma non pensavo fosse così lento.
Ho cominciato a muovermi. Cioè, a provarci.
Il Censore mi aveva spiegato che il costume biometrico mi permetteva di fare passi solo di una certa misura, e un tot di passi al minuto. Perciò dovevo stare attenta alla direzione che sceglievo, perché se sbagliavo e incocciavo nel Pac-Man, allora erano guai.
Che tipo di guai?
Facile. L'ho scoperto meno di un minuto dopo, quando una ciliegia come me è apparsa all'incrocio del corridoio. Si muoveva normale, ma ho visto gli occhi del Kosplayer dentro il costume, un cinese giovane coi brufoli. Gli occhi erano grandi come piattini, dilatati dalla paura.
Dev'essere terribile, ho pensato, provare a correre e trovarsi bloccato nel costume, che ti costringe ad andare al suo passo, con quell'andatura scanzonata e ignara.
Ignara di cosa?
Beh, ma del Pac-Man, no?
Il bionte giallo alto tre metri apparve alle spalle della ciliegia. Mosso dai suoi algoritmi di intercettazione spalancò la bocca, scattò in avanti e trangugiò il cinese in un boccone.
Tutto qui: un attimo prima c'era, e un attimo dopo non c'era più.
Niente schizzi di sangue, o plastiche in frantumi. Il bionte ingurgita tutto nel suo ventre a fusione e rilascia energia nella griglia: un processo pulito e immediato. Così un disoccupato si trasforma in energia, con un jingle allegro.
Poi Pac-Man cambia direzione e si volta verso di me. Guardo le palline luminose sparire nella sua bocca che si apre e si chiude. Decidendo d'istinto, scatto a sinistra. Mossa sbagliata, direbbe chiunque. Immagino che lo stia pensando anche il Giocatore che muove il mostro. Ma io con la coda dell'occhio ho appena visto un grappolo d'uva passare in uno dei corridoi laterali. Era a destra, ma se il mio prodigioso QI non mi inganna...
Bingo!
Pac-Man si accorge del bersaglio viola, che vale 1.000 punti contro i miseri 150 della mia ciliegia. Punta immediatamente in quella direzione, lasciandomi libera di scappare.
Una volta un hacker, che cercava di impressionarmi perché glielo facessi infilare nella mia ciccina adolescente, mi ha detto tipo che a questo mondo nessuno è davvero sicuro: tutto quello che puoi fare per salvarti è essere un po' più sicuro del tuo vicino. Questo vale per la pirateria informatica come per la vita in genere. Così, invece di cadere nel panico e mettermi a correre come una scema in giro per il labirinto nero, ho cercato di immaginare dove potevano stare i bersagli più appetibili per il Pac-Man, e me lo sono tirato dietro fino a portarlo a tiro degli sfigati. Mentre il Pac mangiava, io svicolavo via, verso nuove e più grandi avventure.
Adieu ananas.
Adiós banana.
La fine del livello è arrivata con un colpo di gong in sensorround.
Ce l'avevo fatta.