Siamo tornati con una nuova puntata della rubrica nella quale ci impegniamo a suggerirvi un libro, un film e un album musicale che potrebbero essere nelle vostre corde qualora abbiate apprezzato un determinato videogioco. Dopo Until Dawn e Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, è giunto il momento di fare un leggero passo indietro e ripescare uno dei prodotti di punta di questo 2015, che la scorsa primavera ha fatto parlare molto di sé. Stiamo ovviamente parlando di Bloodborne, la più recente tra le opere nate dalla mente creativa di Hidetaka Miyazaki, con la quale l'approccio tipico dei Souls games è stato declinato in chiave parzialmente inedita, avvalendosi di un combat system più spregiudicato e di un controverso nuovo universo di riferimento, che attinge a piene mani dalla letteratura dello scrittore H.P. Lovecraft.
La principale fonte d'influenza di Bloodborne deriva dai testi di H.P. Lovecraft.
Il libro: Il dominatore delle tenebre
Viste le premesse, la scelta di un libro da accostare al titolo di From Software è sicuramente la più telefonata, ma anche la più logica. Bloodborne è talmente intriso di influenze lovecraftiane da essere fin troppo semplice individuarne riferimenti, derivazioni e citazioni di ogni sorta. Meno ovvia invece è l'individuazione dell'opera più adeguata tra le molte compatibili con le tematiche prese in considerazione nel gioco. Ecco perché la nostra scelta è ricaduta su qualcosa di abbastanza eterogeneo come Il Dominatore delle Tenebre, raccolta dei migliori racconti nati dalla penna dell'autore di Providence e proposta sul mercato italiano da Feltrinelli a partire dal 2012.
Il lavoro di adattamento è stato realizzato da Sergio Altieri e l'antologia si compone di due parti: la prima sezione, intitolata Storie dell'Abisso, raccoglie racconti molto noti come Il Colore dallo Spazio, Herbert West e Il Dominatore delle Tenebre, mentre nella seconda metà viene dato spazio ai miti di Chtulhu, con il filone legato agli oscuri e scritti come L'Ombra su Innsmouth e L'Entità sulla Soglia. La collana in questione viene interpretata come lo sdoganamento definitivo di Lovecraft anche nel nostro paese, in qualità di autore fondamentale nella letteratura del novecento. Non è infatti un caso che nella medesima collana siano presenti anche geni indiscussi come Maupassant, Goethe o Dostoevskij. Venendo alla sostanza dei richiami rinvenibili in Bloodborne, la principale chiave di collegamento riguarda l'approccio all'intuizione. Così come in Lovecraft molti dei soggetti delineati vengono condotti alla follia dopo aver raggiunto una maggior consapevolezza del cosmo, nel videogioco questa prossimità metafisica è motivo di deformazione materiale dell'essere umano e della sua trasformazione in bestia. La narrazione ermetica e fortemente simbolica attraversa entrambe le esperienze, rende indispensabile leggere tra le righe, aguzzare l'intelletto per cogliere quello che non viene spiegato a chiare lettere, mentre in altri momenti non si può far altro che lasciarsi trasportare dall'ignoto. Ignoto che peraltro, in entrambe le esperienze, non risulta essere del tutto comprensibile per l'uomo, incapace di mettersi sullo stesso piano di quei Grandi Esseri che vengono descritti come superiori e onnipresenti, talmente distanti nella percezione da non poter essere compresi. E su questo punto si innesta un altro trait d'union tra i due materiali, ovvero il fallimento della scienza, che in Bloodborne viene chiaramente ascritto alle contrapposte fazioni della Chiesa della Cura e della Scuola di Mensis, con tutto quanto ne consegue in termini di mitologia.
Il film: Il patto dei lupi
Supponiamo che alcuni di voi abbiano potuto pensare a Van Helsing come al più naturale degli approdi per richiamare la caccia alle bestie perpetrata dai cacciatori di Yarnham. Sicuramente meno conosciuto, ma ancora più affine, è però Il Patto dei Lupi, pellicola del 2001 che è stata scritta e diretta dal regista e sceneggiatore francese Christophe Gans. Per inciso, anche nel curriculum dell'autore d'oltralpe non mancano riferimenti alla letteratura in esame, basti pensare che il film horror Necronomicon (1993) trae evidente ispirazione dall'omonimo romanzo del già citato Lovecraft.
Tornando al Patto dei Lupi, l'opera è ispirata al mito della cosiddetta "Bestia del Gevaudan", una misteriosa creatura che, a cavallo tra il 1764 e il 1767, avrebbe ucciso oltre cento individui in una regione della Francia meridionale. Nell'estate del 1764 Re Luigi XV organizza una grande caccia e incarica Gregoire de Fronsac, eroe delle guerre franco-indiane, di svolgere attività d'indagine per venire a capo della faccenda. Dopo essere giunto nella regione al fianco del compagno d'armi Mani, il cacciatore comprende che il lavoro da portare a termine è complesso, anche a causa delle trame ordite da alcuni nobili e abitanti dei villaggi, che potrebbero essere a conoscenza degli inquietanti eventi. Nel cast segnaliamo Vincent Cassel (Giovanna d'Arco, Ocean's Twelve) nel ruolo del cacciatore Jean-Francois de Morangias, mentre Monica Bellucci interpreta Sylvia, una prostituta italiana che giocherà un ruolo piuttosto centrale ai danni di altri personaggi. Uno dei tratti distintivi del film è legato alla sua varietà stilistica, che lo colloca a metà strada tra il genere thriller, l'horror e le derive fantasy. A ben vedere i parallelismi con Bloodborne sono estetici, ancor prima che contenutistici, ed appaiono evidenti già solo prestando attenzione alla locandina del film, sulla quale sono raffigurati gli attori Samuel Le Bihan (Gregoire de Fronsac) e Mark Dacascos (Mani). Come avrete osservato, i cappelli e il bavero dei cappotti sono con tutta evidenza identici alla skin più nota che è stata accostata alla figura del Cacciatore, fin dai tempi del primo reveal - sotto il nome in codice Project Beast - da parte di From Software. Proseguendo oltre, non mancano nemmeno chiare ispirazioni mitologiche, come avviene pure in Lovecraft e di rimando in Bloodborne, mentre la bestia che infesta i villaggi circonda con un potente alone di mistero l'intera vicenda, facendole assumere contorni soprannaturali.
L'album: Lateralus
Se in materia ludica la complessità contenutistica dei lavori di Miyazaki si traduce in una varietà di sfumature e interpretazioni trasversali, in chiave musicale questo ruolo può essere rivestito a pieno diritto dai Tool. La band americana, nata agli albori dell'epoca post-grunge, viene ormai da anni considerata un pilastro della musica contemporanea. Se non vi è mai capitato di ascoltare uno dei loro album vi si aprirà un mondo, un po' come è accaduto a molti giocatori la prima volta che hanno messo le mani su un Souls. Non è un caso che tanti appassionati e cultori musicali li definiscano come i Pink Floyd degli anni 2000, sia per la qualità della loro ricerca sonora che per voci come innovazione e profondità stilistica. Schiere di fan attendono da quasi dieci anni l'annuncio di un nuovo album, lasso di tempo che potrebbe tranquillamente rivaleggiare con la vana attesa per l'agognato Half-Life 3. I lavori pubblicati in vent'anni di carriera sono soltanto cinque (compreso l'EP Opiate) e possiamo garantirvi che ognuno di essi si fa portatore di esperienze sonore uniche nel loro genere. In quest'occasione abbiamo scelto il capolavoro assoluto, quello che a nostro avviso è da intendersi come l'apice artistico del gruppo.
Lateralus è un album di eccezionale complessità, che ricerca la perfezione ed è incline a essere interpretato con sfumature sempre mutevoli. Stimola l'impellente necessità di porsi delle domande, di riflettere, esalta la rilevanza della scoperta, disegnando un'imponente metafora della natura umana, della vita e dell'universo. La costante ricerca di significato è filtrata in modo talmente impeccabile da apparire geniale nella sua vocazione paranoica. In Lateralus è come se l'aura di mistero, la ricerca di consapevolezza e la brama di perfezione siano stati convertiti in musica, facendone emergere un'opera sfaccettata al punto da apparire eccezionale anche - anzi, soprattutto - dopo innumerevoli ascolti. Fatte queste premesse non possono che fioccare le prime analogie con Bloodborne, basti pensare alla sfida, alla pazienza per la comprensione, che abbraccia il level design ancor prima della mitologia o l'idea di "new game plus", con tutto quello che si porta dietro. L'iconografia del terzo occhio - da sempre simbolo della band - si riallaccia ai punti intuizione, mentre l'alternanza sonora tra pezzi principali e pezzi che fanno da ponte per la traccia successiva potrebbe essere paragonata all'apertura delle shortcut che agevolano l'avanzata. La figura del paziente in The Patient porta alla mente la Chiesa della Cura e il prologo del gioco, così come l'animalesco urlo proferito dal cantante Maynard James Keenan al termine di The Grudge sembra un assist ideale per l'ennesimo attacco mal calcolato che in Bloodborne può rivelarsi fatale e costringere a riprendere il lavoro da capo, ancora e ancora. Altra pietra di paragone la si coglie in Parabola, dove si fanno riferimenti alla natura fisica del corpo e al fatto che il dolore sia illusorio, ma la miglior dimostrazione di quanto l'approccio cervellotico di queste due opere sia sulla medesima frequenza è certamente attribuibile alla traccia Lateralus - che non a caso dà il nome all'album intero - nella quale una parte del testo è composta seguendo la Sequenza di Fibonacci. Senza spenderci in spiegazioni matematiche, tale successione identifica il rapporto aureo che è alla base della figura geometrica della spirale, a sua volta declinata come simbolo della relazione tra uomo, natura e universo. In Lateralus spiccano evidenti influenze psichedeliche e progressive, accostate a derivazioni dell'epoca alternative e post-grunge di metà anni novanta. L'album è un'evoluzione del percorso già iniziato col precedente Ænima, ma in questo caso sono presenti anche efficaci contaminazioni tribali divenute nel tempo un imprinting della band. In sintesi ciò che più sconvolge, nelle opere firmate dai Tool, è la capacità di studiare fin nei minimi dettagli ogni singola sfumatura sonora. Per di più la tecnica e la sperimentazione non escludono una forte identità emozionale, che si esprime con pieghe finissime e viene plasmata nel tempo, solo dopo essersi addentrati a pieno regime nei meandri di questo labirintico universo musicale. Siamo certi che Miyazaki approverebbe, eccome.