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Da falegname ad astronauta, venticinque anni di platform

Scoprite con noi l'evoluzione dei giochi di Mario, dal primo salto su un goomba ai recenti viaggi interplanetari.

SPECIALE di Alessandro Bacchetta   —   09/07/2010

In occasione della pubblicazione di Mario Galaxy 2 abbiamo pensato di scrivere questo approfondimento, un articolo che ripercorresse il cammino compiuto dall'idraulico nella sua storia più che ventennale: siccome di cronistorie ne è ingolfata la rete, si è deciso di entrare più nello specifico, di analizzare i passi Marieschi in modo più preciso e analitico, ma anche meno "completo". Abbiamo perciò dovuto, non senza difficoltà, selezionare quali e quanti giochi accorpare nella timeline contenente gli episodi principali. Se ci fosse stata un caratteristica unica a permeare tutti i titoli che ci sentivamo in dovere di trattare, la scelta sarebbe stata più facile, uniforme e giustificata, ma purtroppo non esiste un minimo comune denominatore che ci consenta di oggettivare e accomunare ogni catalogazione. La decisione più semplice sarebbe stata quella di inserire solo quei platform che hanno Mario per protagonista, ma ciò avrebbe escluso Yoshi's Island e compreso Mario Land: mentre il primo è stato generato dallo sforzo creativo del team che all'epoca si occupava della serie, il secondo venne portato avanti dalla squadra di Gunpei Yokoi, ed è caratterizzato da un'atmosfera decisamente meno Mariesca di Yoshi, sebbene il protagonista sia l'idraulico. Questo metodo ci avrebbe indotto a parlare di giochi secondari e a trascurarne altri che, invece, appartengono proprio alla schiera dei principali, ovvero quelli che eravamo decisi ad analizzare. Abbiamo proceduto a volte per console, dando la priorità a quella che era "l'ammiraglia" di ciascuna epoca, altre volte per team di sviluppo, escludendo progetti seppur validi come Super Mario Land 2 o Yoshi's Story: speriamo che concordiate con noi su quelle che sono state le decisioni finali, ma era doveroso sottolineare che non si tratta né di una timeline ufficiale né di una lista oggettivata da una procedura uniforme.

Mario

Prima di parlare dei singoli giochi e della loro importanza nell'evoluzione della serie è necessario trovare un filo conduttore che li leghi tutti assieme, sebbene distanti nel tempo. Ci sono delle caratteristiche che permeano, avviluppano e limitano tutto ciò che è Mariesco, degli elementi comuni che, consciamente o inconsciamente, sono percepiti, riconosciuti e richiesti dal giocatore. Dei controlli precisi e intuitivi sono alla base di ogni buon platform, e quelli del nostro idraulico sono stati allo stato d'arte fin dalle primi apparizioni. Un buon sistema di controllo implicitamente, almeno in questo genere, produce una grande libertà di azione: più l'interazione tra giocatore e personaggio è curata, più varietà narrativa e ludica acquista il gioco. Per illustrare nella pratica questo concetto possiamo prendere ad esempio Mario Bros, in cui i movimenti del protagonista erano estremamente accurati, dipendenti dalla struttura e connessi tra loro. Ancora oggi vengono pubblicati dei giochi in cui l'improvviso cambiamento di direzione non tiene conto del moto appena modificato, in cui il salto è indipendente sia dalla pressione effettuata sul pulsante sia dall'andatura mantenuta: dei difetti simili, in Mario, non ci sono mai stati.

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Queste due caratteristiche congiunte danno naturalmente vita alla terza, e cioè la sensazione di sicurezza e "impenetrabilità": se un giocatore sbaglia, cade e viene sconfitto, allora deve percepire l'errore come unicamente suo, deve trovarsi, in pratica, nell'impossibilità di condividere assennatamente le proprie colpe col motore del gioco. Il quarto elemento costitutivo di un platform Mariesco è il suo linguaggio codificato in monete e dettagli, perché gli oggetti, se inseriti, devono essere giustificati da una funzione utile o necessaria, imprescindibilmente non casuale. L'ultima caratteristica è rappresentata dall'innovazione: per quanto possa essere pericoloso o sbagliato attendersi sempre originalità e freschezza da un videogioco, soprattutto da un videogioco appartenente a una serie con venti anni sulle spalle, la storia ci ha abituato ad aspettarci proprio questo. Questi cinque punti compongono l'essenza di Mario, nel corso degli anni sono calati e saliti senza uno stabile andamento, ma sono stati sempre presenti ad ammaliare, affascinare e far riconoscere al pubblico questa serie.

Super Mario Bros

Questo gioco è talmente celebre e importante che tante volte ha adombrato, agli occhi dei più giovani, tutto ciò che era venuto prima. Più che l'inizio, Super Mario Bros fu il titolo che risollevò l'industria dalla crisi, che stabilì un paradigma che poi tutti i creatori di platform 2d avrebbero tenuto in considerazione. Nel parlare della sua genesi però non possiamo non citare alcuni titoli antecedenti che ne favorirono l'esistenza, che ne prepararono l'arrivo e senza i quali, probabilmente, anche Super Mario Bros sarebbe stato un preludio a qualcos'altro. Il primo è Pitfall, platform Activision per Atari uscito nel 1982, che gettò le basi del genere illustrandone contemporaneamente le potenzialità commerciali.

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Naturalmente tra i prestigiosi predecessori c'è Donkey Kong, titolo che introdusse al pubblico Mario (sebbene non si chiamasse ancora così), e che nacque dai primi sforzi di Miyamoto. Arrivò poi Mario Bros, già citato in precedenza, di cui spesso si tende a dimenticare l'importanza: ideato con la collaborazione di Yokoi, questo platform a schermata fissa era caratterizzato dall'estrema precisione e qualità del sistema di controllo, che sarebbe stato trapiantato proprio in Super Mario Bros. Nel 1984 venne infine rilasciato Pac-Land, sviluppato da Namco, primo gioco ad introdurre lo scrolling orizzontale. Sicuramente, quando Nintendo lo pubblicò nel 1985, Super Mario Bros non fu accolto come una semplice somma delle parti: piuttosto ebbe un impatto così forte e marcato da modificare l'immaginario collettivo dei giocatori, capace come detto prima di oscurare persino quanto di buono era stato fatto in precedenza.

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Come gioco fu il culmine di un processo creativo durato anni, il titolo in grado di esplicitare idee fino a quel momento semplicemente accennate: questo perché raccoglieva elementi del passato, ma aggiungeva una maestria, una complessità e un'originalità nel game design che all'epoca non avevano eguali al mondo. Era frenetico, coinvolgente, dotato di ritmo e carisma, divertente, appagante e portatore di una disarmante carica innovativa. La varietà di nemici e livelli era impressionante, così come l'influenza che questi ultimi avevano nel gameplay (lo stage acquatico, ad esempio): il concetto di sotto-livello nacque qui, così come l'idea moderna di power-up, con l'intramontabile trio stella-fiore-fungo. C'erano inoltre scorciatoie, segreti e un sistema di controllo talmente buono da rendere ogni partita una storia diversa. A livello visivo forse è il gioco più austero della serie, ma grazie alla sua essenzialità lasciava che fossero i giocatori a pennellare gli spazi vuoti. L'influenza che ha avuto sui suoi successori, Nintendo e non, è stata enorme. Qui nacquero tanti personaggi e molti oggetti che ancora oggi recitano un ruolo primario nella serie. Capirete dunque perché, sebbene Donkey Kong e Mario Bros siano arrivati prima, e il loro merito sia indiscutibile, abbiamo scelto questo episodio come inizio della saga "principale".

2 Super Mario Bros 2

Super Mario Bros venne creato sotto la direzione di Shigeru Miyamoto, che lavorò al progetto dall'inizio alla fine con l'assistenza di Takashi Tezuka, entrambi membri dell'allora R&D 4, futuro EAD. Era necessario creare un seguito di quel platform, per tutto ciò che aveva rappresentato, ma non era facile decidere come e quando farlo: coniugare ancora innovazione e qualità era difficile, praticamente impossibile con le tempistiche imposte dal successo del primo episodio. Nintendo prese così una decisione funzionale, e vennero originati tre progetti: due da pubblicare presto, diretti singolarmente da Miyamoto e Tezuka, e un altro a lungo termine, così da non far dimenticare Mario a nessuno ma, allo stesso tempo, garantire che non ne venisse perduta nemmeno l'identità qualitativa. Due sono i giochi che si contendono il ruolo di Super Mario Bros 2: per alcuni il progetto di Tezuka, conosciuto in occidente come Lost Levels, è da considerarsi il vero seguito del primo episodio, per altri è quello di Miyamoto, elaborato però con un team composto anche da elementi esterni a Nintendo, inizialmente pubblicato coi personaggi di un anime giapponese sotto il nome di Doki Doki Panic.

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In realtà sono entrambi, nonostante la qualità, dei "diversivi" nell'attesa del seguito vero e proprio, quel terzo progetto che col tempo sarebbe maturato e nel 1988 avrebbe generato Super Mario Bros 3. Il primo ad arrivare nei negozi, nel 1986, solo un anno dopo il suo precursore, fu il lavoro di Tezuka, il debutto come director di questo geniale designer: non era altro che un variazione del primo episodio, più difficile e impegnativa, ma anche meno armoniosa e perfetta, piuttosto sbilanciata, e soprattutto priva di quella "innovazione" che, come dichiarato inizialmente, ci si aspetta sempre da questa serie. Appena concluso questo progetto, Tezuka si mise a capo del team che già da tempo stava edificando Super Mario Bros 3. Nel frattempo, nel 1988, uscì in Giappone Doki Doki Panic, che durante la lavorazione venne supervisionato minuziosamente da Miyamoto. Il lavoro fu certosino, meno vario e frenetico del primo Mario, con un'impostazione diversa, ma sicuramente piacevole e originale, tanto che Nintendo decise di truccarlo e pubblicarlo in occidente come Super Mario Bros 2. L'impossibilità di saltare in testa ai nemici per eliminarli, la necessità di afferrare continuamente oggetti, l'ampia gamma di personaggi a disposizione (ben quattro) e il sistema di controllo meno profondo del predecessore fecero percepire l'anima di Doki Doki Panic dietro la facciata Mariesca, ma si trattava comunque di uno dei migliori platform della generazione. Ad avvalorare questo seguito c'era un'atmosfera surreale, portatrice di un alone onirico, e una caratterizzazione dei nemici atipica, che proprio in forza del suo esotismo regalò molti personaggi-culto all'universo di Mario (Birdo e Shy Guy, per esempio). Nel 1987 così anche Miyamoto, portata a termine questa esperienza lavorativa, entrò a far parte, come produttore, della squadra che si stava occupando di Super Mario Bros 3.

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Tre, il numero perfetto

Nintendo fece di tutto per preparare in grande in stile il ritorno di Mario: tante pubblicità su riviste specializzate, un'anteprima all'interno di un film (Il piccolo grande mago dei videogames) e una serie di cartoni animati elaborata per l'occasione. Il 23 ottobre 1988 il gioco uscì in Giappone, raggiungendo solo nel 1990 gli Stati Uniti e nel 1991 l'Europa. Il successo fu immediato e devastante, sia di critica che di pubblico, sia per l'accanimento pubblicitario che per l'indiscutibile qualità del platform. Non si hanno molte informazioni sulle persone che presero attivamente parte al progetto, ma sappiamo che il team era molto più grande di quello del Mario originario, che Miyamoto ebbe un importante ruolo in fase concettuale e durante la rifinitura, che Tezuka diresse magistralmente tutto lo sviluppo e Kondo, come da tradizione, compì un encomiabile lavoro con la colonna sonora del gioco. A questi si aggiunse un giovane Hideki Konno, futuro padre di Mario Kart, che scolpì e caratterizzò abilmente la componente visiva, sicuramente aiutato dalle dimensioni della cartuccia, dieci volte più grande di quella che aveva ospitato tre anni prima Super Mario Bros. Il terzo episodio della serie è stato per anni - fino ai recenti Wii Fit, Wii Play e Mario Kart Wii - il gioco (non inserito in bundle) più venduto della storia, ma non è questo a renderlo speciale.

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Come platform rappresentò un immenso passo avanti, tanto da far apparire obsoleti i suoi predecessori, Nintendo e non, e raggiunse un apice qualitativo che in futuro sarebbe stato eguagliato solo percorrendo strade diverse. Super Mario Bros 3 migliorò ogni meccanica introdotta anteriormente, approfondendo e innovando ciascun aspetto. Era suddiviso in otto mondi, introdusse delle mappe che facevano da collante tra gli stage, vantava un ritmo e un level design incredibilmente ispirati. Ciascun livello era dotato di una forte personalità, era unico, come andamento, composizione e nemici. Vennero inseriti dei minigiochi, i castelli di fine livello si trasformarono in navi volanti e il numero complessivo degli stage salì vertiginosamente, nonostante, come abbiamo già detto, non calò ne la qualità complessiva né la cura per i dettagli. Il giocatore si appropriava letteralmente dei power-up, che finivano in un inventario per poter poi essere utilizzati a piacimento prima di entrare negli stage: questa libertà di gestione si perse con gli episodi successivi, parzialmente con le due dimensioni e totalmente con l'arrivo dei poligoni, che li relegarono a particolari zone o momenti prestabiliti dagli sviluppatori. Tra le trasformazioni a disposizione di Mario, mai così numerose come in questo gioco (anche se alcune erano accessorie), spiccava quella in procione, che gli donava la capacità di volare. Graficamente l'opera era caratterizzata da una straordinaria realizzazione tecnica, ma ancor più, per la prima volta nella serie, da una riflessione anteposta all'istanza creativa: non semplice istinto, ma elementi coesi e personali, identificativi, come i cespugli composti da quadrati, le belle venature del legno, le animazioni di Mario e le splendide zone a fine livello permeate di nero. Super Mario non è propriamente una fiaba, nonostante ci sia una principessa da salvare, ma un teatrino atto a rievocare coerentemente le immaginate avventure infantili con peluche, bambole e pupazzi: le sezioni buie alla conclusione di ogni stage evidenziavano l'artificiosità delle ambientazioni, ma soprattutto la consapevolezza di inscenare ogni volta questo spettacolo epifanico (purtroppo questo aspetto sparì nei remake successivi, che nella foga di ammodernamento snaturarono il pregevole lavoro stilistico). Tra i platform 2d puri, quelli che richiedono di andare da un punto A a un punto B, che si donano incondizionatamente al semplice ma esaltante attraversamento di un percorso, Super Mario Bros 3 rappresentò - e, soprattutto, rappresenta - un punto di arrivo.

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Super Mario e il Super Nintendo

La squadra che aveva portato al successo il terzo capitolo della saga si mantenne intatta, e iniziò subito a lavorare a Super Mario Bros 4. Il gioco era di fondamentale importanza, perché, oltre a mantenere alto il prestigio del brand, doveva anche focalizzare su di sé l'attenzione del pubblico, all'epoca conquistato dal Sega Genesis e dalla velocità della sua icona, Sonic. Alla direzione restò Tezuka, Kondo alle musiche e Miyamoto come supervisore; Konno invece ebbe un ruolo più importante che nel terzo episodio, essendo incaricato della progettazione della mappa di gioco, fondamentale caposaldo sul quale si era deciso di erigere il nuovo Mario. Tra i nuovi arrivati diede un importante contributo Shigefumi Hino, attualmente responsabile del character design di Pikmin, che tra le altre cose ideò l'aspetto di Yoshi, e Katsuya Eguchi, che aiutò direttamente Tezuka, per poi negli anni futuri dedicarsi ad Animal Crossing. La fase di sviluppo durò due anni e richiese un complesso lavoro concettuale: il team era consapevole che le basi di Super Mario Bros 3 erano solide, ma proseguire istintivamente per quella via avrebbe indotto a una saturazione del genere e, soprattutto, difficilmente si sarebbe potuto innovare limando, sempre che fosse possibile, le meccaniche del vecchio episodio. Si decise così di puntare su due elementi immessi in precedenza ma mai elevati a colonne portanti, e cioè la mappa di gioco e la possibilità di percorrere gli stage a ritroso. Se Super Mario Bros 3 era una collezione di singoli incredibilmente fantasiosi e coinvolgenti, forzando un paragone musicale, il quarto sarebbe stato un concept album.

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Da queste premesse nacque Mario World, un platform 2d stupefacente, armonioso, ricco di segreti, denominato World proprio per sottolineare la connaturata coesione dell'universo di gioco. I livelli mantennero la loro impostazione a percorso, ma spesso l'esplorazione e il ragionamento erano anteposti al lineare superamento degli ostacoli. Basti pensare che World aveva circa settanta stage, ma quasi cento "uscite", proprio perché, per scoprire ogni segreto, era necessario cercare più che percorrere. Emblematiche in questo senso furono le Ghost House, "labirinti" basati sul ritrovamento della strada giusta, sull'illusione e sull'esplorazione. I singoli livelli persero la fantasia e l'unicità proprie di quelli di Super Mario Bros 3, ma ognuno aveva un ruolo all'interno di un piano più grande, e alla fine l'intreccio degli stage, tra nuove scoperte e backtracking, fu proprio ciò che rese meraviglioso e fondamentale Mario World per l'economia della serie. I power-up diminuirono in quantità, ma il volo venne reso più realistico e dinamico attraverso l'introduzione di un mantello, maggiormente comunicativo e instabile della coda. Non si può parlare di questo titolo senza nominare Yoshi, autorevole comprimario e simpatica cavalcatura, anch'esso divertente per il superamento degli ostacoli ma fondamentale per la scoperta delle strade alternative. Graficamente all'epoca fu stupefacente, ma col tempo è invecchiato peggio di altri, e predomina la sensazione che non sia stata estesa al piano estetico la concezione coesiva che contraddistingue le meccaniche ludiche. Mario World in definitiva non solo ebbe il merito di attirare l'attenzione del pubblico su di sé (e sul Super Nintendo), non fu esclusivamente un grandioso platform da affiancare al terzo episodio, ma si rivelò anche, negli anni successivi, come il gioco che pose le basi per l'ideazione di Mario 64.

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Tezuka chiude un ciclo: Yoshi’s Island

All'alba del 1991 Nintendo cominciò a pianificare il post Mario World, ritrovandosi in una situazione non dissimile da quella vissuta dopo Mario 3: per eguagliare questi giochi e mantenere inalterata la magia era necessario proporre non solo qualcosa di altrettanto bello, ma anche di egualmente innovativo e originale. Si attuò così una netta scissione interna, tra chi lavorava per la creazione di un nuovo platform per Super Nintendo e chi, invece, mirava più lontano: i poligoni stavano divenendo realtà, e Nintendo, con Mario, doveva farsi trovare pronta. Shigeru Miyamoto, designer dinamico da sempre amante della sperimentazione, decise di dedicarsi principalmente alla trasposizione tridimensionale dell'idraulico. A creare l'ideale seguito di World rimasero Tezuka, ancora come direttore, Kondo, storico compositore, Konno, promosso a director, e Hino, che si occupò del character design. Tra i tanti che si aggregarono alla squadra vanno segnalati sicuramente Koizumi e Usui, entrambi impegnati nell'ideazione dei livelli, che sarebbero divenuti figure chiave per il futuro di Mario. I due titoli in lavorazione durante la prima metà degli anni '90 sarebbero stati, anche se era impossibile saperlo, gli ultimi originati e plasmati direttamente dagli storici creatori della saga, Miyamoto e Tezuka, prima del ricambio generazionale. In particolare Tezuka arrivava da successi personali strabilianti, che non si limitavano alla direzione dei già citati Super Mario Bros 3 e Super Mario World, ma comprendevano anche quelle di A link to the Past e Link's Awakening: per concludere degnamente questo ciclo e, idealmente, finire perfettamente la sua trilogia platform, Tezuka era consapevole che bisogna creare qualcosa di straordinario. In questo clima e con questi presupposti venne alla luce Yoshi's Island, un gioco talmente particolare da essere, forse, irripetibile.

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Siccome con Mario si era fatto tutto il possibile lavorando in due dimensioni, si pensò di donare il ruolo di protagonista al dinosauro arrivato qualche anno prima, Yoshi, e di costruire il level design attorno alle sue caratteristiche. Vennero così ridefinite le relazioni tra personaggio e ambiente, che diventarono meno geometriche e più armoniose, e furono riscritte gran parte delle strutture ludiche, poiché il nuovo eroe era in grado di saltare più lontano, di sparare uova, inghiottire nemici e anche di colpire il terreno col suo fondoschiena. Il team decise di abbandonare la mappa che rese grande Mario World, e tornò a un semplice avanzamento lineare da livello a livello. Furono anche messe in atto due idee che sarebbero state fondamentali per il salto tridimensionale, e cioè la raccolta degli oggetti, presenti in gran quantità in Yoshi's Island sebbene non necessari a completare il gioco, e la gestione delle trasformazioni, che vennero circoscritte ad aree prestabilite. Anche il concetto di sconfitta fu re-inventato, perché, oltre alle solite cadute, Yoshi veniva cacciato dal livello anche nel caso non fosse stato in grado di recuperare, una volta colpito, il bebè che portava sulle spalle: Mario. Limitarsi ad elencare le peculiarità ludiche di questo titolo significa però non averne compresa l'essenza, perché a livello concettuale è probabilmente il gioco più riuscito dell'intera storia Nintendo: tutto verte verso un'unica direzione, e cioè la creazione di un'atipica - per Mario - dimensione fiabesca. Il design leggiadro, il carillon nella presentazione, il gameplay morbido e caratteristico, tra il recupero di un neonato e l'inalazione di palloncini pelosi obnubilanti, le trasformazioni sognanti e, soprattutto, la meravigliosa veste grafica, un capolavoro di stile e tecnica: tutto è coerente, unitario, ciascun elemento è scaturito da una dolce idea primigenia. Quale sia il migliore in questa ideale trilogia formata da Super Mario Bros 3, World e Yoshi's Island è stato tante volte oggetto di dibattito, altre volte purtroppo no: sceglierne uno è spesso un atto di presunzione, una prevaricazione del gusto personale sul buon senso, poiché ciascuno di essi è dotato di caratteristiche uniche che sarebbe stato impossibile veicolare con un singolo gioco.

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Le tre dimensioni e Super Mario 64, l’ultimo gioco di Miyamoto

Al contrario di quanto comunemente si pensi, non senza responsabilità da parte della stampa, i giochi a cui Miyamoto ha lavorato personalmente come direttore non sono molti: oltre a Donkey Kong, Mario Bros, Super Mario Bros e Legend of Zelda c'è solamente Super Mario 64. Il fatto che abbia sviluppato da vicino esclusivamente questi titoli non può ovviamente intaccare l'enorme stima che da sempre gli riservano giocatori e critici, ma anzi ci dimostra quanto sia davvero forte in lui il desiderio di sperimentare, e che non mentì quando si paragonò a Lakitu: vola da progetto a progetto a portare consiglio, e si ferma solamente quando c'è la necessità di creare un nuovo paradigma. Il processo creativo che portò alla realizzazione di Super Mario 64 non fu né unidirezionale, né semplice, né tantomeno sereno; le prime bozze vennero eseguite su Super Nintendo, grazie all'ausilio del Chip FX, che consentiva un minimo utilizzo dei poligoni. Ultimamente sono circolate delle indiscrezioni secondo le quali il primo esperimento sarebbe stato una semplice proiezione tridimensionale delle tradizionali meccaniche di Mario, ovvero un gioco a scorrimento lineare con l'ausilio di una strutturazione poligonale e relativa interazione: nella pratica, con le dovute differenze, sarebbe risultato una sorta di Crash Bandicoot prima maniera. Miyamoto non fu soddisfatto della prova, poiché una simile costruzione non avrebbe sfruttato appieno le possibilità offerte dalle nuove tecnologie, ma sarebbe stata figlia del retaggio bidimensionale.

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La soluzione si trovò quando venne trapiantato lo scheletro di Mario World in un mondo poligonale: una mappa comune che funzionasse da contenitore, in questo caso il castello, e un gioco fondato sull'esplorazione, ovvero composto da livelli senza un inizio e una fine ma con tanti segreti sparsi al loro interno. La componente perlustrativa assunse così un ruolo predominante, venne considerata la caratteristica capace di donare la giusta importanza alle tre dimensioni: vista la nuova impostazione furono aggiunti vari oggetti da raccogliere, esattamente come in Yoshi's Island, pur senza perdere la razionalità tipica del linguaggio Mariesco. L'impatto che ebbe Super Mario 64 nel mondo dei videogame è paragonabile in tempi "recenti" solo a quello del primo Super Mario Bros per NES: portò l'interazione poligonale all'eccellenza, si presentò con un sistema di controllo preciso e funzionale ricamato attorno allo stick analogico, e grazie alla sua qualità creò un archetipo a cui si sarebbero ispirati gli action game tridimensionali successivi. Al di là del suo indiscutibile valore pionieristico Mario 64 fu un platform grandioso, che propose una libertà d'azione fino a quel momento difficilmente ipotizzabile, sfruttando tra l'altro, per le mosse principali, tre soli pulsanti. Il giocatore veniva condotto per mano all'interno del mondo tridimensionale, per poi essere svezzato nella fasi finali in un crescendo continuo a cui è difficile trovare difetti, se non la ripetitività degli scontri con Bowser, comunque estremamente divertenti ed emblematici per la loro totale dipendenza da poligoni e stick analogico. A livello grafico, sebbene tecnicamente straordinario, non fu un lavoro particolarmente riuscito: tanti stili diversi confluirono al suo interno, dal comico al grottesco, con alcuni elementi quasi realistici. Nel 1996 la semplice esplorazione di un mondo simile era comunque qualcosa di stupefacente, tanto che la maestosità e maturità di questo lavoro spiazzarono, oltre che i giocatori, anche Nintendo stessa.

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Mario 128, Sunshine e il ricambio generazionale

Gli appassionati, prevedibilmente, chiesero subito a gran voce un seguito di Mario 64. Nintendo lo annunciò immediatamente, ma come ormai sappiamo quel Super Mario 64 2, nonostante le ripetute conferme di Miyamoto, non sarebbe mai uscito: non sfruttare il marchio ancora una volta su Nintendo 64 fu probabilmente un errore commerciale, ma come vedremo tra poco ci furono più problemi di quanto fosse lecito pensare. Innanzitutto, a differenza del passato, il team di sviluppo non si mise al lavoro su un seguito, piuttosto venne diviso e fatto migrare altrove: non per autolesionismo, ma perché in Nintendo erano convinti che fosse giunto il momento di attuare un ricambio generazionale. Miyamoto tornò a fare il "Lakitu", Tezuka, dopo averlo assistito un'ultima volta nello sviluppo di Mario 64, cominciò anche lui a produrre e supervisionare più opere contemporaneamente. Visto l'eccellente lavoro compiuto su Ocarina of Time e Majora's Mask, oltre che su Mario 64 e Yoshi's Island, venne data fiducia al giovane Koizumi, classe 1969, a cui furono affiancati Usui e Shimizu per la creazione della nuova incarnazione Mariesca. Nonostante queste persone avessero evidenziato in precedenza il loro talento, era la prima volta che si trovavano direttamente a capo di un team di sviluppo, di una squadra, tra l'altro, composta anch'essa da giovani menti selezionate da Miyamoto. I problemi, naturalmente, erano anche di natura concettuale: c'era il preciso desiderio di non creare un semplice "more of the same", ma di continuare a stupire attraverso la saga più famosa.

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Dal 1996 in poi vennero quindi compiuti molti esperimenti, che, seppur indirizzati alla realizzazione di un nuovo Mario, originarono giochi come Pikmin, Luigi's Mansion e Mario 64 DS, oltre che una marea di dettagli sparsi per praticamente ogni titolo Nintendo dell'ultimo periodo, come ad esempio l'abilità di Link, in Twilight Princess, di camminare sul soffitto o attorno a una sfera; proprio quest'ultima capacità era quella prescelta da Miyamoto per la costruzione di un ipotetico Mario 64 2, tanto da presentare, nel 2000, una demo chiamata Mario 128 in cui tanti piccoli idraulici camminavano sopra una superficie arrotondata. Il team all'epoca non accettò la sfida, forse per inesperienza forse per le potenzialità del GameCube, e così, quando arrivò il momento di lanciare il nuovo Mario, venne trasformato in un gioco della serie un progetto che inizialmente non lo era. Koizumi infatti, dopo tre mesi di lavoro, presentò a Miyamoto la sua idea: un titolo basato su una pistola ad acqua, così da rievocare le sensazioni dell'infanzia. Come ben sappiamo nei quindici mesi successivi, con delle tempistiche estremamente ridotte per un gioco simile, quella bozza divenne Mario Sunshine. In molte interviste dell'epoca Miyamoto dichiarò di voler realizzare qualcosa di talmente bello da suscitare un parallelismo col passaggio da Mario 3 al World, così il team cercò di forzare in tre dimensioni gli stessi cambiamenti che caratterizzarono la transizione fra quei due giochi. Venne attribuita un'unità tematica ai livelli, l'ambientazione balneare, e si tentò di donare all'esplorazione un ruolo ancor più importante con l'introduzione di una quantità esagerata di monete, per la maggior parte disposte malamente; fu inserito anche Yoshi come aiutante, la cui funzione purtroppo si rivelò meno naturale di quella svolta su Super Nintendo.

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Un'altra ideologia del periodo era quella di accontentare qualsiasi tipo di giocatore, ma ebbe anch'essa ripercussioni negative in Sunshine: l'avventura principale venne facilitata dalla capacità di planare, mentre alcune parti, quelle per "hardcore gamer", che erano senza "spruzzino", quindi senza aiuti, risultavano di una difficoltà a cui il platform 3d non era ancora arrivato. Le complicazioni (concettuali, umane e commerciali) che anticiparono e permearono lo sviluppo di Mario Sunshine gli impedirono di essere all'altezza dei migliori episodi della serie, tanto che rappresentò una delusione sia sul piano qualitativo che su quello economico. Era comunque un ottimo platform dotato di un controllo eccezionale (tuttora insuperato) e di una camera innovativa, la prima veramente "free" nel mondo dei videogiochi, seppur anch'essa con qualche difetto, ma la sua generale qualità altalenante e delle ingenuità imperdonabili, come la ripetizione di certi obbiettivi e la disposizione casuale degli oggetti, lo fecero diventare più un seguito spirituale di Super Mario Bros 2 che del World. La sua importanza all'interno dell'evoluzione della serie non va comunque sminuita, sia perché si è trattato del primo lavoro del nuovo "Team Mario", sia perché in sé conteneva i semi che avrebbero portato anni dopo alla nascita di Galaxy: nonostante si fosse tentato di emulare razionalmente il World, l'intuito aveva portato, attraverso le zone speciali e la suddivisione in story, a un parziale e velato ritorno alla linearità del passato.

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Galaxy

Consci delle difficoltà che avevano pervaso lo sviluppo di Sunshine, in Nintendo non rinnegarono la fiducia concessa al neonato team, che venne trasferito quasi totalmente a Tokyo (la sede principale della società è a Kyoto). Ai giovani che si erano già occupati di Mario vennero aggiunti degli uomini esperti selezionati da varie compagnie giapponesi, tra cui United Game Artist, Data East e Konami. A capo del nuovo progetto venne confermato Koizumi, mentre Shimizu fu delegato alla produzione e Usui dirottato nel team di Zelda. La prima opera di EAD Tokyo fu un platform di eccezionale qualità chiamato Donkey Kong: Jungle Beat, strutturato in due dimensioni, con un'estetica estremamente curata e un controllo originale fondato sull'utilizzo dei bonghi; il gioco venne ultimato a fine 2004. Da gennaio iniziarono i lavori sul nuovo Mario, che come sappiamo sarebbero durati ben trenta mesi, quasi il doppio del tempo impiegato a modellare Sunshine. Koizumi durante lo sviluppo di Jungle Beat maturò la consapevolezza che puntare ulteriormente sul fattore esplorativo avrebbe significato rimanere ancorati nello stagno in cui il platform 3d si ritrovava dai tempi di Mario 64, e che probabilmente la ricerca del World poligonale, fortemente perseguita da Sunshine, si era già conclusa con la prima esperienza tridimensionale dell'idraulico. La direzione da seguire era chiara: per far evolvere la serie e riportarla ai livelli eccezionali di un tempo bisognava tornare a un gioco di piattaforme "a percorso" come Mario 3. Questa stessa via aveva caratterizzato anche il primo esperimento di Miyamoto, fatto tra il 1991 e l'inizio dei lavori su Mario 64, che come abbiamo evidenziato non lo soddisfò per la sua incapacità di approfondire la terza dimensione.

Da falegname ad astronauta, venticinque anni di platform

C'era però un'altra strada che avrebbe portato al risultato sperato, proposta già a fine anni '90, che questa volta venne imposta, non senza asperità, al team di sviluppo: un gioco caratterizzato da piattaforme sferoidali in sequenza. Partendo da questa geniale intuizione di Miyamoto, Koizumi plasmò Mario Galaxy, che grazie alla particolare gravità e gestione dello spazio riuscì a far convogliare al suo interno, senza troppe forzature, un'anima lineare e un utilizzo estremo e originale del mondo tridimensionale. I singoli pianeti che componevano le galassie erano esplorabili quasi sempre in tutte le loro facce, ma l'obbiettivo principale era di passare al successivo corpo sferico, venne posto l 'accento più sul percorso che sul ritrovamento dello stesso: l'individualità di ciascun asteroide inoltre concesse infinite possibilità ai designer, liberi da vincoli limitanti e consapevoli di poter dare libero sfogo alle proprie intuizioni. Le aporie concettuali che avevano fatto da sfondo alla creazione di Sunshine non si ripresentarono con Galaxy, tanto che ciascun aspetto, come accadde con Yoshi's Island (lavoro ben più ambizioso da questo punto di vista) parve confluire nella via indicata da Koizumi. In comune con Mario 3 non c'era esclusivamente l'impostazione generale, ma anche il forte carattere individuale di ciascun percorso, che anteposto alla coesione del mondo fu esaltato come singolo. La consapevolezza di fare un balzo in avanti tornando indietro coinvolse anche le musiche, alcune delle quali riprese da Mario 3, così come i power-up, usati in modo sfrontato come nel terzo episodio (seppur meno ingegnosi). La stessa camera, finora gestita in collaborazione col giocatore, in Galaxy tornò automatica, così da concentrare l'attenzione sugli elementi scelti dagli sviluppatori e consentire anche ai meno esperti di avanzare senza intoppi di matrice scenica. Il lavoro stilistico, seppur non sia l'aspetto maggiormente ricercato, è stato coerente e omogeneo, sicuramente lontano sia da Mario 64 che da Sunshine, finalmente improntato alla dimensione burlesca e giocosa, liberato dalle velleità realistiche che avevano fatto capolino nei precedenti episodi tridimensionali.

Un'altra galassia

Concluso Mario Galaxy, vista la struttura unica del gioco e l'enorme quantità di idee lasciate fuori, Nintendo prese una decisione atipica, quantomeno in ambito Mariesco: si mise immediatamente a lavorare a un seguito, inizialmente concepito come un Mario Galaxy 1.5, poi sfociato in un episodio a sé stante, fortemente diversificato dal predecessore (pare che la decisione di mantenere lo stesso titolo sia stata più che altro di Miyamoto). Nonostante l'engine fosse già pronto, Nintendo non ha badato a spese nella realizzazione di questo seguito: una lavorazione di circa due anni e mezzo, ma soprattutto tre direttori coinvolti quasi allo stesso livello e un producer, Koizumi, che ha lavorato a stretto contatto con loro, in un ruolo non troppo lontano da quello che Miyamoto ebbe in Ocarina of Time. Il principale responsabile di Galaxy 2 è stato Koichi Hayashida, che ha avuto una carriera molto strana: nel 1993 ha diretto un gioco per NES, Joy Mecha Fight, per poi sparire dai crediti di una qualsiasi produzione Nintendo fino all'arrivo di Mario Sunshine, pubblicato nel 2002 (Mario Galaxy 2 è il secondo gioco che dirige, ma ovviamente il primo di questa caratura).

Da falegname ad astronauta, venticinque anni di platform

Questo secondo viaggio tra le galassie non ha abiurato la direzione intrapresa dal capostipite, anzi, l'ha estremizzata così tanto da tagliere di netto i legami col recente passato: se in Mario Galaxy si ritrovavano ancora delle galassie - per quanto piccole - basate sull'esplorazione, il successore le ha eliminate quasi del tutto, focalizzandosi ancora di più sui singoli percorsi e sull'unicità degli stessi (la scomparsa di un collante come il castello di Mario 64 è stata una semplice conseguenza di questa scelta). Galaxy 2 comunque è stato molto più di un perfezionamento di un'idea, a livello concettuale ha cercato di fare, riuscendoci meglio, quello a cui mirava Twilight Princess (con Zelda, ovviamente): riunire in un singolo gioco tutto quello che è stato Mario - e il platform 3d - dal 1996 in poi, mostrando solo il meglio, aggiungendo qualche innovazione contenutistica e rifinendo il tutto con un tocco personale, in modo da non essere succube delle "identità" prese a prestito. Il termine poliedrico molte volte viene usato impropriamente, ma non c'è dubbio che sia quello più adatto a definire Galaxy 2: non si ripete quasi mai, ogni galassia propone un'idea nuova, ha un ritmo quasi insostenibile rispetto a gran parte delle produzioni odierne. Non è detto che questa pluralità sia necessariamente una cosa positiva, come specificato prima certe idee necessiterebbero di un gioco intero per essere sviluppate al meglio, ma Galaxy è stato pensato proprio in questo modo: una collezione di illustrazioni estremamente diversificate, da sfogliarsi una dietro l'altra, ognuna realizzata con una tecnica diversa. Il sistema adottato per Yoshi, che attribuisce al puntatore del Wiimote la gestione della lingua, ha consentito per la prima volta un'adeguata rappresentazione di questo personaggio in tre dimensioni: proprio per questo, per la morbidezza del sistema di controllo e la scorrevolezza dei movimenti, per l'eccellenza di tutte le galassie in cui è stato coinvolto, non sarebbe folle aspettarsi un intero gioco dedicato al dinosauro. È la meraviglia e il limite connaturato a questo Mario, che ha proposto delle idee straordinarie in rapidissima successione, senza avere il tempo di soffermarsi su una in particolare: è sicuramente un gioco virtuosistico, che spazia dal pattinaggio ai livelli bidimensionali, dallo Yoshi-peperoncino (che fa sognare un Sonic creato in questo modo) all'alternanza gravitazionale.

Giù sulla terra

Considerando i due Galaxy per un momento come un unico progetto - in fondo, sebbene differenti, hanno diversi punti in comune - non si possono tralasciare delle considerazioni sia relative ai giochi in sé, sia all'influenza che hanno avuto sul genere e sul mercato in generale. Mario Galaxy 1 e 2 sono stati i giochi maggiormente esaltati dalla critica degli ultimi dodici anni, diciamo da Ocarina of Time in poi: la loro qualità cristallina, la carica innovatrice del primo e la perfezione formale del secondo, hanno permesso alla creatura di Koizumi di entrare nell'Olimpo dei videogiochi (anche questo è un cliché, ma osservando bene vi accorgerete che le serie e i giochi che ne fanno parte non sono poi molti). Dato che i meriti sono sotto gli occhi di tutti, in queste ultime righe vorremmo soffermarci sui limiti e sugli insuccessi che EAD Tokyo ha incontrato dal 2007: al di là del sistema di controllo di Galaxy, leggermente più legato e limitato di quello di Sunshine (in questo senso Mario non era mai andato "indietro"), è stata proprio la finalità principale di questi giochi a non trovare conferme dopo la pubblicazione.

Da falegname ad astronauta, venticinque anni di platform

Sebbene abbia ridato prestigio al platform 3d - genere che dipende quasi interamente da Mario - non si può dire che lo abbia propriamente riportato in voga, ma soprattutto non è riuscito, nonostante gli sforzi, a "recuperare" la gargantuesca mole di pubblico perduta nel passaggio da due a tre dimensioni: se in epoca Gamecube o Nintendo 64 si poteva imputare la colpa alla scarsa base installata delle console, questo discorso tramonta decisamente col Wii. Nonostante abbiano fatto di tutto per tornare all'immediatezza e alla linearità del passato, nonostante abbiano automatizzato l'inquadratura ed eliminato il più possibile le pause, la velocità, l'attrattiva e la potenza del platform 2d restano ancora un miraggio. Se non fosse ancora chiaro lo ripetiamo: non stiamo facendo un discorso qualitativo. È lampante come Galaxy sia un gioco più raffinato e rifinito di Super Mario Wii, è altrettanto lapalissiano come l'investimento da parte di Nintendo sia stato spropositatamente a favore dell'episodio tridimensionale, è altrettanto evidente come Super Mario Wii, con tutte le sue irregolarità, abbia già venduto più di qualunque Mario tridimensionale, come stia continuando a vendere senza soste a sette mesi dal lancio, come, a differenza di Galaxy, abbia rilanciato il genere platform (Donkey Kong Country Returns, Kirby: Epic Yarn, Epic Mickey, Sonic 4, Rayman: Origins... insomma, le conseguenze del suo successo sono sotto gli occhi di tutti). La scissione interna è ormai chiara, pesante, forse insanabile. Se, fino a Mario 64, abbiamo avuto dei giochi di Mario avanguardistici, rivoluzionari dal punto di vista qualitativo e ludico, ma allo stesso tempo fondamentali (per Nintendo) in ambito commerciale e indispensabili per la vitalità del genere stesso, adesso, con l'arrivo di Galaxy e New Super Mario, queste due anime si sono separate. Sia che si porti più in 2d "Galaxy", sia che si investano più soldi in New Super Mario, i rischi di un'ipotetica riunificazione sono enormi. Non ci resta che aspettare.