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Monografie - Black Isle, Troika, Obsidian

Un po'di Storia del gioco di ruolo occidentale...

RUBRICA di Alessandro Gambino   —   04/01/2011

Se a partire dalla fine di ottobre gli orfani dell'RPG post-atomico Fallout 3 hanno potuto far ritorno alle loro amate Wasteland, bisogna innanzitutto ringraziare un piccolo studio indipendente con base a Santa Ana, California, che in poco più di un anno è riuscito a confezionare uno spin-off non privo di personalità, qualitativamente paragonabile al titolo "originale" e soprattutto in grado di vendere la bellezza di quattro milioni di copie dalla data di rilascio ad oggi.
Gli uomini di Obsidian Entertainment, d'altra parte, non sono esattamente gli ultimi arrivati nel mondo tribolato di Fallout. Feargus Urquhart e Chris Jones - due dei membri fondatori del team californiano - alla fine degli anni Novanta hanno collaborato alla creazione del brand e diversi altri membri di Obisidian, (Chris Avellone e J.E. Sawyer su tutti) hanno lavorato duramente per la sua affermazione, il tutto mentre Bethesda Softworks portava avanti il suo unico brand di successo, The Elder Scrolls, ancora indifferente ai destini delle lande post-atomiche nordamericane.
Per personaggi come Chris Jones o Josh Sawyer lavorare nuovamente sul brand Fallout deve essere stato una sorta di ritorno alle origini. Per noi di Multiplayer.it è stata soprattutto un'operazione nostalgia ben confezionata, al punto da spingerci a dedicare questo quarto numero di Monografie proprio ad Obsidian Entertainment. Nel farlo, però, ci siamo resi conto che era praticamente impossibile raccontare la sua storia senza parlare anche di Troika, lo studio gemello ed in un certo senso rivale, e di Black Isle, la divisione di Interplay dal quale sono discese entrambe le società. E' proprio da Interplay quindi che comincia questo nostro intricato excursus...

L’isola che non c’è (più)

Tutto ebbe inizio nel 1997, l'anno in cui venne pubblicato in Nord America Fallout, inizialmente su Personal Computer e quindi su Mac. All'epoca Obsidian Entertainment non esisteva ancora, mentre Bethesda Softworks stava per rilasciare Battlespire, spin-off poco conosciuto della serie The Elder Scrolls. Urquhart, Jones e i tre principali responsabili di Fallout - Tim Cain, Leonard Boyarsky e Christopher Taylor - lavoravano semplicemente per Interplay, un publisher di medie dimensioni che di lì a poco avrebbe dato un nome alla sua divisione giochi di ruolo, Black Isle, per l'appunto. Il titolo di Cain, già con le prime informazioni rilasciate, riuscì a catturare l'attenzione di molti videogiocatori: i più navigati lo vedevano come il seguito spirituale di Wasteland, un RPG post-atomico pubblicato nove anni prima, e gli appassionati di RPG pen & paper si prepararono a giocare un titolo su licenza GURPS, un sistema di regole molto in voga all'epoca.

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Va detto che entrambe le aspettative furono brutalmente disattese (i riferimenti a Wastland si rivelarono dei semplici omaggi e l'accordo con l'autore di GURPS saltò per via dell'eccessiva violenza del titolo Interplay), ma nessun appassionato di giochi di ruolo ebbe comunque motivo di lamentarsi. Una veste grafica notevole (un 2d isometrico particolarmente piacevole per l'epoca), un comparto sonoro che poteva vantare il contributo di doppiatori illustri e un'ambientazione retro-futuristica semplicemente unica furono il perfetto biglietto da visita del titolo Interplay, che neppure qualche bug di troppo riuscì a far sfigurare. Se la presentazione giocò un ruolo importante per il successo di Fallout, fu però la profondità del suo gameplay a lasciare un segno indelebile nella storia dei giochi di ruolo occidentali. Chi giocava al titolo di Cain sperimentava innanzitutto un ottimo sistema di creazione del personaggio, quindi un sistema di combattimento a turni ben congeniato, ma soprattutto una libertà di approccio diffusa ad ogni aspetto del gioco, una libertà superiore a quella di qualunque altro RPG occidentale ad eccezione forse del solo Darklands, che però ricorreva alle schermate fisse per mostrare buona parte delle azioni del giocatore. Senza eccessive esagerazioni possiamo dire che il mantra delle "scelte e conseguenze" trovò in Fallout la sua massima espressione, e che a tredici anni dalla sua pubblicazione non si è ancora visto un RPG più "aperto" (è rimasta negli annali, a titolo di esempio, la possibilità di completare l'avventura senza versare una sola goccia di sangue). Il primo gioco a venir sviluppato ufficialmente dalla neonata etichetta Black Isle fu Fallout 2, appena un anno dopo l'esordio del suo fortunato primo capitolo. Senza volerne in alcun modo stravolgere la formula di gioco, Fallout 2 si limitava a limare alcuni piccoli difetti dell'originale e ad arricchirne le meccaniche portanti, configurandosi come un classico ma riuscitissimo "more of the same". La differenza più vistosa rispetto al prequel era l'assenza di un limite di tempo per completare l'avventura, mancanza che per alcuni fu un'autentica benedizione, per altri una sorta di tradimento. Alla Interplay, in tutti i casi, il lavoro di Chris Avellone dovette piacere, al punto che il designer statunitense venne messo a capo del successivo progetto dello studio, Planescape: Torment.

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Planescape si dimostrò immediatamente un prodotto atipico, da quasi ogni punto di vista, e questo nonostante le basi del suo gameplay poggiassero su un sistema di regole rodato - la celeberrima seconda edizione di Dungeons & Dragons - e su un motore grafico che aveva già mostrato le sue qualità con Baldur's Gate, l'Infinity Engine di Bioware. L'unicità di Planescape: Torment non stava in effetti nei suoi elementi strutturali, ma nella sua "filosofia di design". L'ambientazione, per esempio, non era il classico mondo fantasy pieno di gnomi, nani ed elfi ma un multiverso dove si incrociavano innumerevoli piani di esistenza, alcuni legati ad un elemento ed altri ad un concetto, altri ancora partoriti dalla mente di una "Potenza" per scopi inintelligibili (chiaramente l'RPG Black Isle mostrava solo una piccola parte di tale immensità, ma rimandava in molti modi alla grandiosità del multiverso), e poi la trama, che lasciava da parte le classiche battaglie per la salvezza del mondo e preferiva raccontare una storia più personale, la ricerca di un'anima tormenta ridotta ad una carcassa puteolenta, priva di memoria e rigettata dalla morte. E' voce di popolo che Planescape: Torment sia stata una delle esperienze narrative più riuscite dell'intero medium videoludico (tra le più riuscite e tra le più verbosa, con le sue 800.000 parole di scripting), ma ricordarsi del titolo Interplay unicamente per le qualità narrativa equivarrebbe ad arrendergli torto. Seppur privo della completezza di un Fallout, o meno riuscito di un Baldur's Gate nelle sessioni di combattimento, che pure rappresentavano una piccola parte dell'esperienza di gioco, a meno di non voler menare le mani a tutti i costi, Planescape si dimostrò un titolo insuperabile nel proporre approcci "pacifici" alle situazioni di gioco: la profondità del suo sistema di dialogo, per esempio, trasformava i confronti più significativi in autentici duelli dialettici (senza colori sgargianti e targhe vistose ad indicare la frase "giusta" da pronunciare) e la maniera in cui veniva gestita l'interazione con i comprimari aveva profonde ripercussioni su diversi aspetti del gioco, compreso il finale. Le quest, infine, ispirandosi alle avventure grafiche più blasonate, riuscivano a mantenere un livello qualitativo elevato per buona parte del gioco, anche se qualche passaggio sottotono non mancava.

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Torment, in tutti i casi, fu il classico titolo osannato dalla critica ma snobbato dal grande pubblico, cosa che confortò la decisione di Black Isle di ripresentarsi sul mercato con un RPG dalla filosofia diametricalmente opposta: Icewind Dale. Pubblicato nel maggio del 2000 e costruito ancora una volta sull'Infinity Engine, Icewind Dale incentrava il suo gameplay quasi esclusivamente sui combattimenti, ambito in cui riusciva a primeggiare su tutti gli altri titoli a licenza Dungeons & Dragons (Baldur's Gate compreso). Il ritmo degli scontri, la varietà del bestiario, la libertà di personalizzazione del party e la generazione casuale degli oggetti fecero del titolo Interplay un must per gli appassionati di power playing e combattimenti tattici. Con Icewind Dale 2, poi, Black Isle riuscì finalmente a portare sull'Infinity Engine le novità della terza edizione di Dungeons & Dragons. Quello, purtroppo, fu il suo ultimo contributo al mondo dei giochi di ruolo PC.

Black Isle Studios

• Fallout (1997)
• Fallout 2 (1998)
• Planescape: Torment (1999)
• Icewind Dale (2000)
• Icewind Dale: Heart of Winter (2001)
• Icewind Dale: Heart of Winter - Trials of the Luremaster (2001)
• Icewind Dale II (2002)

Troika Games

• Arcanum: Of Steamworks and Magick Obscura (2001)
• The Temple of Elemental Evil (2003)
• Vampire: The Masquerade - Bloodlines (2004)

Obsidian Entertainment

• Star Wars: Knights of the Old Republic II The Sith Lords (2004)
Neverwinter Nights 2 (2006)
• Neverwinter Nights 2: Mask of the Betrayer (2007)
• Neverwinter Nights 2: Storm of Zehir (2008)
• Alpha Protocol (2010)
• Fallout: New Vegas (2010)
• Dungeon Siege 3 (in sviluppo)

I migliori sono sempre i primi che se ne vanno

Dicembre 2003 fu un mese molto triste per gli appassionati di RPG tradizionalmente intesi. Interplay, colpita da gravi difficoltà finanziarie, fu costretta a chiudere frettolosamente la sua divisioni giochi di ruolo, e figure chiave di Black Isle come Feargus Urquhart, Chris Parker, Darren Monahan, Chris Avellone e Chris Jones furono costrette a fondare una propria società, la Obsidian Entertainment dalla quale siamo partiti. Già due anni prima, però, Arcanum: of Steamworks and Magick Oscura, un RPG incredibilmente simile per filosofia al primo Fallout, aveva fatto la sua comparsa sul mercato occidentale. Le affinità tra questi due titoli non erano casuali del resto. Le menti dietro ad Arcanum erano Tim Cain, Leonard Boyarsky e Jason Anderson, ovvero l'original designer, l'art director e il lead designer dell'originale Fallout, non esattamente dei novellini, insomma.

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Il divorzio tra Interplay e questi tre designer si era consumato addirittura nel 1998, prima ancora che l'etichetta Black Isle fosse ufficialmente fondata. In effetti, fu proprio il riassetto interno voluto da Interplay a creare conflitti insanabili tra il publisher e il terzetto di sviluppatori. Poco convinti del futuro di Black Isle, a loro modo di vedere poco focalizzata sulla qualità dei prodotti, Cain, Boyarsky e Anderson fecero baracca e burattini e fondarono Troika Games, all'inizio del 1998, ripresentandosi sul mercato tre anni dopo proprio con Arcanum.
L'esordio dell'accoppiata Troika-Sierra (publisher del gioco) non fu tra i più riusciti, a dire la verità, perlomeno non sul piano commerciale. Arcanum, come Planecape prima di lui, si dimostrò il classico titolo capace di impressionare la critica ma di lasciare indifferente il grande pubblico, possibilmente a causa della sua estetica poco curata e dalla sua complessità senza compromessi. Con la vistosa eccezione del sistema di combattimento poco rifinito, tuttavia, il titolo Troika possedeva molte delle qualità che avevano reso celebre il primo Fallout, compresa l'ambientazione affascinante e fuori dagli schemi: nello specifico un mondo fantasy dove orchi, nani ed elfi si confrontavano con i problemi posti da un'improvvisa rivoluzione industriale. Tale ambientazione era peraltro ricostruita senza soluzione di continuità, caratteristica questa che mancava nei primi due Fallout e che accentuava sensibilmente la vena esplorativa del titolo.

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Ci vollero altri due anni perché arrivasse sul mercato il successivo RPG Troika, The Temple of Elemental Evil, pubblicato questa volta da Atari. Il titolo in questione era il remake di un RPG del 1985, e forse non casualmente stava ad Arcanum come Icewind Dale era stato a Fallout. Esattamente come il terzo titolo Black Isle, infatti, The Temple of Elemental Evil offriva soprattutto combattimenti memorabili, notevoli tanto per la varietà del bestiario quanto per la struttura a turni che riproponeva con incredibile fedeltà le regole dell'edizione 3.5 di Dungeons and Dragons. Il contraltare di tanto scrupolo filologico era però un numero tristemente alto di bug, a cui si aggiungeva una componete narrativa evidentemente sottotono. Tali difetti contribuirono a minare il successo del titolo Troika, che più in generale arrancava per una struttura estremamente classica, in netto contrasto con la tendenza di mercato che si andava delineando in quegli anni.

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Forse per questa ragione, ovvero col preciso intento di venire incontro alle esigenze di un pubblico sempre più abituato a titoli come Gothic e Morrowind, il terzo ed ultimo progetto di Troika fu un RPG compiutamente tridimensionale, costruito sull'allora avanguardistico Source Engine (nel 2004 Half Life 2 era ancora in pieno sviluppo) e strutturalmente molto simile a ibridi come System Shock e Deus Ex.
Vampire: The Masquerade - Bloodlines, questo il nome del titolo in questione, si appoggiava peraltro ad un sistema di regole tra i più apprezzati all'inizio del nuovo millennio (Vampiri, di White Wolf), traendone vantaggio soprattutto grazie ad un quest design singolarmente efficace e ad un'atmosfera indimenticabile. La quantità davvero alta di bug (di nuovo), un combat system che non si sposava alla perfezione con il regolamento utilizzato (di nuovo), e una generale mancanza di rifiniture condannarono però anche questo titolo Troika all'insuccesso commerciale. Activision (il publisher del gioco) scaricò Troika, i bilanci della società non ressero e il team californiano dovette chiudere i battenti dopo aver rilasciato l'ultima patch ufficiale del gioco.

Come si fa un seguito?

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Cain, Boyarsky e Anderson, dopo la chiusura di Troika presero strade diverse, disperdendosi tra Carbine, Blizzard e inXile, ma un certo numero di loro ex-colleghi trovò impiego negli studi di Obsidian, perlomeno in via temporanea. Nel 2004 questo piccolo studio aveva pubblicato Knights of the Old Republic II The Sith Lords, seguito diretto dell'apprezzato RPG Bioware a tema starwarsiano, con l'ambizione di rinforzare la componente narrativa del prequel e con una risposta di pubblico decisamente incoraggiante.
Nonostante l'evidente incompletezza di Knights of the Old Republic II al momento della pubblicazione, il titolo Obsidian vendette molto bene e Bioware decise di rinnovare la fiducia al team di Urquhart commissionandogli un altro importante seguito, quello di Neverwinter Nights. Il titolo in questione era stato il primo gioco di ruolo tridimensionale di Bioware e come tale aveva segnato un netto stacco con il passato della casa canadese. Da una parte la scelta di far controllare al giocatore un solo personaggio (pur affiancato da diversi comprimari), dall'altra quella di proporre una campagna single-player risicata per dar spazio al completissimo editor, avevano finito per produrre un'esperienza molto diversa da quella dei vari Baldur's Gate, decisamente più orientata al gioco in multiplayer e al modding che a quello in solitaria.

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Obsidian, da questo punto di vista, fece un mezzo passo indietro quando iniziò a lavorare sull'IP: innanzitutto reintrodusse il controllo su tutto il party e quindi dedicò più attenzione alla campagna single-player del gioco. Per la verità, i risultati migliori di tale approccio non si videro con il titolo base, ma piuttosto con l'espansione Mask of the Betrayer, che pur ereditando alcuni fastidiosi difetti di Neverwinter Nights 2(su tutti la telecamera davvero difficile da gestire), si segnalò per la qualità della trama e per la flessibilità della stessa. Meno riuscita, ma comunque molto interessante in una prospettiva da modder, fu invece Storm of Zehir, la seconda espansione del gioco.
Neverwinter Nights II, al di là dei risultati altalenanti, fu un progetto di notevoli dimensioni, che tenne occupata Obsidian per ben cinque anni (tre per il gioco base, pubblicato a fine 2006, e altri due per le successive espansioni), confermandone la fama di studio legato ad un'idea "classica" di gioco di ruolo. Fu quindi con un po' di sorpresa che gli appassionati del genere accolsero l'annuncio di Alpha Protocol, un titolo decisamente distante dai precedenti lavori Obsidian sia per struttura (ibrida, alla Deus Ex) che per ambientazione (ispirata a spy serie di successo come 007, Bourne e 24).

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Purtroppo questo primo tentativo di allontanarsi dall'ombra di Bioware si è tradotto in un clamoroso fiasco commerciale, e SEGA, il publisher del gioco, ha dovuto affrettarsi a smentire le voci su un possibile seguito di Alpha Protocol. La fine prematura del suo primo IP originale non ha però impedito al team di Urquhart di fare un ottimo lavoro con Fallout: New Vegas, titolo che ha riscattato Obsidian sia agli occhi della critica che a quelli del grandi pubblico, portando peraltro nelle casse della società californiana più dollari di quanto avesse fatto qualsiasi loro precedente progetto.
Obsidian, d'altra parte, con New Vegas si è concentrata unicamente su ciò che sa fare meglio: il quest design e la dimensione narrativa. Così facendo ha lasciato intonsa la struttura portante di Fallout 3 (l'unica vera novità e la cosiddetta modalità "hardcore", che introduce il problema della sopravvivenza nelle terre selvagge) accontentando i molti che hanno conosciuto le Wasteland attraverso l'interpretazione di Bethesda, ma lasciando indifferenti, o quasi, i fan più intransigenti del Fallout secondo Interplay.
Il brand dal 2007 ha cambiato padrone, e con la nuova gestione di Bethedsa è arrivata una nuova filosofia di design...

Il Fallout perduto

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La saga di Fallout, come è noto ai più, consta di tre capitoli ufficiali, di uno spin-off tattico intitolato per l'appunto Fallout Tactics: Brotherhood of Steel, di un gioco di miniature ad esso ispirato (Fallout: Warfare), di un altro spin-off dedicato alla Confraternita d'Acciaio rilasciato su console (Fallout: Brotherhood of Steel) e del recente Fallout: New Vegas.
Quello che non tutti sanno, probabilmente, è che da qualche parte nei meandri della rete giace la tech demo di un capitolo inedito, il cosiddetto Project Van Buren (dal cognome del presidente degli Stati Uniti Martin Van Buren), che nelle intenzioni di Interplay sarebbe dovuto diventare il terzo capitolo della serie, ma che purtroppo non vide mai la luce a causa della chiusura abrupta della divisione Black Isle.
Questo Fallout dall'aurea mitologica, molto più simile ai primi due capitoli dell'ultimo RPG Bethesda e pertanto percepito dai fan più navigati come "il vero Fallout 3", avrebbe dovuto raccontare la storia di un detenuto evaso in seguito ad un attacco armato alla sua prigione, braccato da misteriosi nemici (gli stessi dell'attacco) e in ultima istanza determinante per i destini di Utah e Colorado, i due stati in cui il gioco avrebbe dovuto essere ambientato contestualmente ad una guerra tra Brotherhood of Steel e New California Republic. Ricorda niente a nessuno?