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Diario del Capitano

DIARIO di La Redazione   —   30/07/2003

Diario del Capitano

Qualche tempo fa mi è successa una cosa particolare, per chi si dovrebbe definire un "pro" player.
Complice una coincidenza ferroviaria non proprio favorevole, mi sono trovato a dover passare una quarantina di minuti in una stazione secondaria: quelle dove il bar della stazione è ancora un pubblico esercizio dove va anche chi non ha treni da prendere, dove non gira la sorveglianza e dove si respira ancora un po' di aria di frontiera, per così dire.
Bene, accade che spesso in queste stazioni si trovino dei coin-op, e naturalmente questa non faceva eccezione. Galeotto un resto in moneta della mia consumazione, mi sono messo a giocare. Ad un Coin-op. Naturalmente non uno di quei sistemi fantascientifici che vanno per la maggiore nelle sale giochi (e che oggettivamente ne sono diventati la principale se non unica fonte di attrazione, perlomento dal punto di vista videoludico, ma su questo ritornerò probabilmente in un prossimo diario), ma con la più classica delle postazioni in piedi. Al di la delle considerazioni sul sistema di controllo (dove sono il mio mouse e la tastiera? che me ne faccio di una manopola?), sul quale un PC-ista non può giudicare, e sull'usura del medesimo (diagonali maledette), devo ammettere che è stato divertente. Non per il gioco in sé, peraltro già esistente in commercio, quanto per la situazione.
Da quando i sistemi home in generale sono diventati qualitativamente equiparabili alle console a gettoni, lo stimolo al gioco "fuori casa" era un po' venuto a mancare. Eppure, dopo questa fugace e occasionale esperienza, credo di avere riscoperto un po' del fascino del coin-op: il fatto di giocare fra altre persone che giocano, molte delle quali sconosciute, di esporsi, di dimostrare le proprie capacità. E poi l'aspetto conviviale, le sfide, le partite in doppio, "cerca di andare avanti che vado a cambiare". Forse troppo spesso gli appassionati perdono di vista il contorno, fermandosi al puro e semplice lato tecnico. Eppure c'è del fascino anche in quello. Un po' come consumare al bar: nella maggioranza dei casi non ci si va per la consumazione, ma per quello che ci sta intorno: la gente, le chiacchere, il giornale, la commessa del negozio vicino che va a prendere il caffè tutte le mattine fra le dieci e mezza e le undici. E via di questo passo. In questo modo il coin-op si rivaluta come strumento di socializzazione, e il gioco, la partita, diventano un semplice pretesto per cominicare, come il caffè o la bibita al banco.
Ricordando le partite a Street Fighter II del sabato pomeriggio a 200 lire l'una e pensando alle amicizie, anche durature, nate davanti al monitor, vi lascio a riflettere.

Massimiliano Monti, responsabile editoriale area PC.

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