Diario del capitano
Nella prima metà degli anni novanta (1993) scoppiò in Italia, almeno apparentemente, la moda del Soft Air, o War Games, o Giochi di guerra simulata. Erano gli anni delle pistole ad aria compressa nelle fiere, nei negozi di giocattoli e dei viaggi a San Marino. Il Soft Air in Giappone è disciplina sportiva, con sponsor e tutto il resto. Non sto scherzando. Ogni week-end migliaia di persone si raccolgono nelle campagne nei dintorni di Tokyo e organizzano autentiche guerre simulate in cui "eserciti" composti da famiglie intere, ragazzi e ragazze, si affrontano con armi giocattolo.
Una figata.
Tanto è vero che nel 1995 fondai, insieme ad altri compagni d'avventura, una delle prime associazioni sportive del centro Italia. Obiettivo: trasformare uno sfizio domenicale in sport. A livello nazionale un gruppetto di appassionati romani (piuttosto in gamba devo dire) fondò la A.S.N.W.G (Associazione Sportiva Nazionale War Games) iscritta allo CSEN, uno di quegli enti di promozione sportiva appoggiato al CONI che avrebbe garantito nel tempo lo sdoganamento dei War Games, da disciplina per guerrieri esaltati a sport per tutti.
Da allora tutto fu un regolamento. Gironi, gare, eliminatorie, tornei. Incontri in nord Italia, sud Italia e Sardegna. Manifestazioni di "sensibilizzazione della popolazione" ogni mese. Tutte le associazioni italiane erano orientate al raggiungimento del numero di tesserati tale che il CONI sarebbe stato "forzato" a promuovere il Soft Air "disciplina sportiva".
Dopo tre anni di presidenza dell'associazione, nell'estate del 1998 Andrea Pucci mollò il colpo e il Soft Air ruppero il sodalizio durato tre anni, deluso e amareggiato dall'impossibilità di trasformare la passione in sport e di essere additato come guerrafondaio (figurarsi con la guerra in Jugoslavia come poteva esser visto il Soft Air in Italia).
In fondo, nessuno ci proibiva di divertirci con i nostri fucilini e le tute mimetiche. Però non avremmo potuto farlo negli stadi di calcio. Qualcuno fu deluso, qualcuno rimase indifferente. In generale il Soft Air e la mia ex associazione hanno continuato a vivere e prosperare senza alcun dramma particolare. Ci si diverte in simpatia ancora oggi.
Quando NGI lo scorso anno lanciò l'idea dell'e.sport sul modello coreano, un brivido mi percorse la schiena ricordandomi del Soft Air e del modello giapponese. Per carità, niente di male, anzi. Multiplayer.it sarà ben lieta di diventare la Gazzetta dell'E.Sport. Il problema è che ci vuole maggior supporto e forse anzichè massificare l'e.sport, sarebbe necessario ripartire dal basso, sensibilizzando lo zoccolo duro. Promuovere tanti microeventi, che si propaghino come una varicella in giro per l'Italia, arrivando laddove i megaeventi nel nord Italia non possono arrivare. Nelle case, nelle mansarde, nei circoletti. Forse, una volta realizzato un tessuto di questo genere, sarà possibile prospettare un futuro roseo per l'e.sport. Specie in un (come ha detto stamattina Adso nel suo .plan) "aprile nero" come questo in cui i punti d'appoggio stanno venendo meno anziché aumentare. Non intendo certo attribuire la responsabilità o meno del successo del multiplayer solamente ai vari NGI, GameArena e altri game server provider. Anche, ma non solo, a loro e a noi. Ma il "bisogno di multiplayer" deve partire innanzitutto da voi, da casa, per spingere e dimostrare che di server ne avete bisogno, senza lasciarne il 95% dei disponibili vuoti perchè non "pingano perfettamente".