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Potere al gioco

Il mercato dei videogiochi cambia e cresce. Ma noi siamo pronti?

DIARIO di Andrea Pucci   —   01/07/2007
Potere al gioco

Penso ad esempio ai vari prodotti di Nintendo DS e Wii, che sono le due console porta bandiera della nuova tendenza, a cui si sono accodati publisher come Activision EA e THQ, con prodotti ottenuti su licenze assolutamente di massa come i cartoni animati (Shrek, Spider-Man e via dicendo), penso alla nuova linea di software "light" di Ubisoft che prenderò il nome di Giulia in cucina, Giulia fa moda ecc ecc. Ai vari cloni di Brain Training e English Training in giro per gli stand di improbabili sviluppatori. Tutti in gara per accaparrarsi il grande pubblico, quello che compra un gioco all'anno ma ne compra milioni di pezzi. Il NON videogiocatore piace e fa gola perchè porta altri soldi e pone nuovi obiettivi. Purtroppo il mass market costa un sacco di pubblicità in TV, radio e altri mezzi desueti per vedere videogiochi ma che, si sa, fanno effetto sulla signora Maria.

Il report di PricewaterhouseCooper è piuttosto chiaro in proposito citando numeri indiscutibili. La sempre maggiore penetrazione della banda larga combinata con la nuova generazione di console in grado di collegarsi ad internet, telefoni cellulari sempre più potenti e in grado di supportare giochi (basti pensare che l'ultimo FIFA per cellulare era la stessa versione DS strizzata) saranno i maggiori responsabili di una crescita annuale attesa del 9% che porterà il mercato globale dei videogiochi dai 37,5 miliardi di dollari del 2007 ai 48,9 miliardi del 2011. Questa ampia diffusione del mezzo-videogioco porterà anche un cambiamento nelle strategie pubblicitarie, aumentando esponenzialmente le inserzioni in-game (tipo gli striscioni nel campo di calcio di PES, per capirci): dagli attuali 80 milioni di dollari di investimenti a quasi 1 miliardo del 2011. Il report conclude indicando una cosa che noi già sappiamo: una nuova audience si sta rapidamente affacciando sul mercato sommandosi agli hardcore gamers e saranno questi nuovi soggetti a spingere il mercato dei videogames verso nuove vette.
Tutti dobbiamo adeguarci a queste previsioni: innanzitutto noi come videogiocatori dobbiamo tollerare, accettare e infine tentare di apprezzare, un'offerta sempre più ampia di giochi-non giochi (una sorta di scacciapensieri del XXI secolo). E' pacifico che questa offerta supplementare cannibalizzerà parzialmente i giochi hardcore. Noi come professionisti dell'informazione videoludica, dobbiamo tenere presente questa folta schiera di newcomers che approderà sulle nostre pagine con occhi nuovi e vergini, non in grado di capire un messaggio profondo e strutturato e che si aspetteranno di trovare i loro videogiochi. Dovremo essere abbastanza abili da prendere questo esercito di novizi e trasformarli uno alla volta in videogiocatori veri e propri. Non sempre sarà possibile ma il significato stesso della nostra esistenza come rivista risiede anche in questo scopo.
Per fortuna sono solo videogiochi.

Avevo già deciso di dedicare questo editoriale ad una riflessione fatta la scorsa settimana a Cannes durante l'IDEF, fiera del videogioco riservata agli operatori (e per questo sconosciuta al grande pubblico). Poi ho notato il rapporto della società di consulenza PricewaterhouseCoopers e la conclusione si è fatta ancora più forte e duplice: il mondo dei videogiochi è cresciuto, si è allargato al grande pubblico, sta ulteriormente crescendo e ha già superato il fatturato della musica (dopo aver seppellito quello dei cinema). E' una notizia dai connotati fortemente simbolici ed è una conferma di quanto era facilmente osservabile al Palazzo del Festival di Cannes, dove ovunque si guardasse si potevano notare titoli di impatto per un tipo di videogiocatori a cui nessuno (in primis noi giornalisti del settore) aveva fatto caso: le persone comuni, quelli che in passato ho definito NON videogiocatori. Mentre ascoltavo il nuovo filone di interesse dei publisher, mi tornava in mente il mio schema di suddivisione del mercato e ne godevo. Niente di geniale si intende, per carità, però quella classificazione disegnata mesi fa ancora regge ed è più valida che mai.