Ieri è uscito sul quotidiano Leggo un articolo dall'inequivocabile titolo: 'William si uccide a 16 anni: "colpa di Call of Duty, il videogame è mortale"' che collega un drammatico caso di suicidio adolescenziale al brand di Activision (non viene specificato quale Call of Duty). Pare che negli ultimi anni ci siano stati altri tre casi simili in Inghilterra.
Secondo il pezzo, riassunto da un articolo più lungo e articolato del giornale inglese Mirror, William Menzies si sarebbe suicidato per il 'senso di inadeguatezza e depressione che era stato indotto al ragazzo dal videogioco da cui era diventato dipendente'.
A parte la grammatica traballante, è difficile capire che cosa nel gioco abbia prodotto il "senso di inadeguatezza e depressione", visto che non viene spiegato. La tesi, comunque, è di un coroner inglese, che associa a Call of Duty anche i suicidi di altri tre ragazzi.
Leggendo l'articolo originale si apprende che lo sparatutto militare di Activision è stato preso di mira perché era diventato l'attività prediletta di William prima del suicidio. Oltretutto, dopo accurate ricerche nella sua camera e nel suo computer, non è stato trovato altro che possa averlo spinto al gesto estremo, se non l'amore per un filosofo che si è suicidato.
Ora, non vogliamo fare gli psicologi del nulla, non avendo mai conosciuto il buon William e non pretendendo di scavallare in campi che non ci competono, ma dubitiamo fortemente che un singolo videogioco possa far nascere un senso di inadeguatezza tale da spingere alla depressione e quindi al suicido un ragazzo 'studioso, responsabile, ordinato', come tiene a farci sapere Leggo. Quello che sappiamo è che sotto alla scorza di normalità di un qualsiasi adolescente (e non solo) possono nascondersi sentimenti molto forti, anche contraddittori, che spesso un osservatore esterno, fosse anche un genitore, fatica a individuare e a comprendere, bollando certe manifestazioni di malessere come fasi di passaggio che si assorbiranno da sé con il tempo. La vita di un individuo è unica anche perché unica è la sofferenza che la caratterizza, sofferenza spesso inespressa che può esplodere in diversi modi e che va rapportata con l'intero arco esistenziale della persona, non certo soltanto con un videogioco.
Quindi è possibile che le sconfitte a Call of Duty siano un motivo scatenante per il suicidio? Perché no. Ma accusare il gioco di Activision è comunque un'assurdità, perché così facendo non si risponde alla domanda fondamentale sul come mai il ragazzo vivesse le sconfitte in un videogioco con un senso di fallimento tale da portarlo a uccidersi. Forse in casi del genere sarebbe il caso di evitare di proporre sempre la soluzione più semplice e approfondire la critica a un certo sistema educativo.