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The Witcher ha davvero messo in ombra i romanzi di Sapkowski?

L'autore polacco è stato molto critico nei confronti di The Witcher III e del successo ottenuto a posteriori

NOTIZIA di Davide Spotti   —   07/10/2016

The Witcher e CD Projekt sono diventati sinonimo di qualità. La serie nata nel 2007 su PC ha vissuto una crescita evolutiva esponenziale e ha seguito un percorso di maturazione davvero importante, culminato con il grande successo di The Witcher 3. Curiosamente il padre della saga letteraria, Andrzej Sapkowski, la pensa in modo un po' diverso. Le dichiarazioni rilasciate dall'autore polacco al quotidiano Tygodnik POLITYKA non lasciano spazio a molte interpretazioni e sembrano mosse da una ragione cristallina: il risentimento.

Come dite? L'ideatore delle avventure di Geralt dovrebbe essere lieto del passaparola generato dal videogioco? Ciò è indubbiamente vero, ma le considerazioni critiche sembrano aver prevalso su altri fattori. Nello specifico Sapkwoski non ha condiviso che un'immagine del gioco sia stata inserita sulla copertina dei suoi libri, lasciando intendere ai fan che le opere siano state scritte solo di recente, quando in realtà risalgono agli anni '90. Non è tutto, perché a suo dire le sceneggiature dei videogiochi sarebbero sempre create tenendo a mente il denaro, con buona pace per la profondità narrativa e l'espressione dei sentimenti coltivati dagli autori.

The Witcher ha davvero messo in ombra i romanzi di Sapkowski?

In altre parole Sapkowski non ripone la minima fiducia nelle capacità autoriali dei game designer, senza preoccuparsi di operare distinzioni in base al contesto. Non prendiamoci in giro: altrove il problema sussiste ma dubitiamo che queste esternazioni siano figlie di un'analisi sul campo, a maggior ragione se pensiamo che lo scrittore è dichiaratamente poco interessato ad approfondire il medium videoludico. La dimostrazione più evidente risiede proprio nel fatto che il lavoro svolto da CD Projekt con The Witcher 3 è tra i migliori esempi possibili di quanto possa calzare bene la narrativa in un videogioco, per giunta senza castrarne l'interazione.

In un certo senso Sapkowski possiede motivi validi per far valere le proprie opinioni; il principale riguarda la nascita della saga, che anticipa di dieci anni l'acquisizione della licenza da parte di CD Projekt. Geralt è una sua creatura e fa bene a rivendicarne la paternità. Dopotutto lo stile narrativo e il carisma dei principali personaggi è figlio dell'ispirazione offerta dai suoi testi. I libri sono diventati un punto di riferimento preziosissimo per gli sviluppatori e sono stati un veicolo per conseguire traguardi di altissimo livello. Allo stesso tempo è evidente quanto sia complesso riuscire a riprodurre un universo così ricco con la dovizia che ha portato al massimo splendore The Witcher 3. Provare a replicare quel tipo di contenuti, creando al contempo una storia originale, non era un'impresa semplice e bisognerebbe fare un plauso agli sviluppatori per gli esiti che hanno raggiunto.

Riflettendo su come si sia evoluta la serie interattiva in quasi dieci anni di lavoro, il processo di avvicinamento alla qualità narrativa dei romanzi è stato straordinario. Se vogliamo vedere le cose da questa prospettiva Sapkwoski sbaglia: affermare che lo sviluppo di The Witcher non sia stato mosso dall'ispirazione non ci sembra corretto. CD Projekt è stata mossa da tanti stimoli, pensiamo alla volontà di emergere in un mercato molto complesso e di ambire a toccare vertici qualitativi ancor prima che economici.

The Witcher ha davvero messo in ombra i romanzi di Sapkowski?

Il successo commerciale è stato la naturale conseguenza di scelte lungimiranti e del rispetto per il consumatore, virtù che non si incontrano ovunque di questi tempi. Chiaramente Sapkowski non dev'essersene reso conto, e siamo convinti sia soprattutto un problema generazionale.

Ciò che è sfuggito all'autore polacco può riassumersi in una parola: intermedialità. Sapkowski ignora quanti giocatori siano grati a CD Projekt per aver scelto questo percorso. L'opportunità dovrebbe servire da esempio e da stimolo per portare più letteratura nel mondo dei videogiochi. The Witcher 3 è la dimostrazione che un approccio del genere, per quanto complesso e delicato, può sussistere.

Quasi dieci anni fa abbiamo potuto scoprire una saga fantasy di qualità ed apprezzarne l'evoluzione sul piano ludonarrativo, al punto da spingerci ad approfondirne la genesi letteraria. La localizzazione dei romanzi nei nostri territori, avvenuta negli ultimi cinque anni, ha fatto il resto. È stato emozionante ampliare il campo con le raccolte di racconti contenuti ne Il Guardiano degli Innocenti e La Spada del Destino, conoscere finalmente Yennefer e scoprire Ciri. I romanzi ci hanno portato a Kaer Morhen, a Vengerberg, a Novigrad, ci hanno fatto ritrovare personaggi ambigui come Philippa Eilhart. Chi ha avuto la voglia - e la fortuna - di seguire quest'ordine sa che è stata una piacevole cavalcata. Con l'uscita di The Witcher 3 il cerchio si è chiuso. L'ultima avventura di Geralt di Rivia è stata ricca di situazioni, personaggi e aneddoti che potevano essere compresi appieno solo da chi aveva ben presenti gli eventi già accaduti nei romanzi, senza peraltro rendere questi dettagli indispensabili ai fini della comprensione generale del racconto.

Il successo internazionale di questi anni ci porta in dote il sesto romanzo della saga, pubblicato nel 2013 a ben quattordici anni di distanza dall'uscita in lingua originale del quinto volume (La Signora del Lago). Intitolata Il Signore delle Tempeste, l'opera è in procinto di raggiungere anche le librerie nostrane a partire dal 20 ottobre ed è la dimostrazione di quanto il videogioco abbia contribuito a dare voce a una saga fantasy che meritava di essere conosciuta e apprezzata a livello mondiale. Sapkowski dovrebbe esserne felice, noi lo siamo eccome.