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I giochi moderni esaltano meno di quelli del passato? Perché nonostante le ottime uscite, ci si rifugia nel retrogaming?

Il mercato della nostalgia cosa va a compensare?

NOTIZIA di Simone Tagliaferri   —   29/09/2017

Oggi è stata annunciata una nuova macchina celebrativa, il THEC64 Mini, che mira a riproporre, almeno in parte, l'esperienza del Commodore 64 al pubblico moderno (più probabilmente al pubblico di allora ormai cresciuto). Contemporaneamente (o quasi) è arrivato sul mercato il Super Nintendo Mini, con Nintendo che è stata costretta a produrne grandi quantità sin da subito per non ripetere il disastro distributivo del NES Mini (che sarà ristampato), con cui l'anno scorso non è stata in grado di stare dietro all'altissima domanda (non se l'aspettavano nemmeno loro) . Ancora: su Kickstarter è stata lanciata una campagna per finanziare una versione rimasterizzata di Hunter's Moon, uno dei classici del Commodore 64; campagna che in poche ore ha raccolto circa metà della cifra richiesta e ha portato al ritorno sulla scena di Thalamus, storica software house che ha prodotto alcuni dei titoli più spettacolari tra quelli pubblicati per l'anziano computer a 8-bit (alcuni li troverete anche sul THEC64 Mini: Armalyte, Hawkeye, Nobby the Aardvark e Creatures).

Di iniziative legate al retrogaming da citare ce ne sarebbero ancora a bizzeffe, tra retroconsole, remake, retrocontroller, gadget e molto altro, ma il quadro dovrebbe esservi già chiaro: c'è un mercato legato alla nostalgia che sta prendendo sempre più piede. In effetti se il NES Mini vende milioni di unità e se il THEC64 Mini scatena così tanto interesse, significa che non stiamo più parlando solo di una nicchia, ma di un settore merceologico vivo e vegeto.

Contemporaneamente abbiamo notato una diminuzione di interesse per moltissimi nuovi giochi. Certo, alcuni hanno un successo strepitoso, come Playerunknown's Battleground e, forse, Destiny 2, ma sembrano non riuscire a scaldare la maggior parte dei videogiocatori, che magari ci passano ore, ma senza esaltarsi più di tanto. Sembra che molti li considerino come dei bei passatempi e nulla più, fuori da ogni discorso di esperienza. Hanno dei bei momenti, ma niente che meriti davvero di entrare a far parte della memoria collettiva. Ecco, sono degli splendidi giocattoli tecnologici... e basta.

Ovviamente non è lo stesso per tutti i giochi moderni (altrimenti avremmo cambiato hobby), ma paradossalmente quelli più amati e chiacchierati sono anche quelli concepiti in modo più tradizionale (ad esempio NieR: Automata, Divinity: Original Sin II, The Legend of Zelda: Breath of the Wild, Persona 5, Cuphead, tanto per fare qualche nome di uscite del 2017), mentre titoli anche vendutissimi e giocatissimi sono presi come semplici dati di fatto. Sembra quasi che la trasformazione dei videogiochi in servizi abbia sì fatto crescere un certo tipo di pubblico, ma abbia anche ridotto la portata culturale del medium nel suo complesso, subordinandolo inesorabilmente a tutti altri. Di fatto i videogiochi sono tornati a essere concepiti in modo molto più infantile e superficiale: buoni per vendere gadget reali e virtuali, magari per farci tornei da mandare in televisione, ma niente di più. Sono spesso oggetto di spettacolo, ma difficilmente sono loro il fulcro dello stesso. In buona sostanza non sembrano riuscire più a creare miti. Sarà per questo che molti trovano rifugio nei vecchi sistemi da gioco? Perché pur con tutti i loro limiti tecnologici permettevano comunque di entrare in contatto con mondi ricchi di qualcosa che andava oltre la pura tecnica?

Difficile rispondere così su due piedi, ma è giusto iniziarci a ragionare su visto il crescere di certi fenomeni.