366

Un nuovo inizio?

Il più grande Resident Evil di sempre. Successo o involuzione?

RECENSIONE di Matteo Santicchia   —   01/10/2012

È davvero molto difficile recensire Resident Evil 6. Non per l'hype, non per la sua mole di contenuti, non per l'eredità che quel nome si porta addosso. La difficoltà sta tutta nel mettere nero su bianco le molte e contrastanti sensazioni che le oltre venticinque ore di gioco mettono sul piatto della bilancia, un vero e proprio coacervo di pro e contro da far tremare i polsi. Iniziamo subito con la prima. La storia, la qualità narrativa di un progetto ambiziosissimo e stratificato, che, come tutti sappiamo, è articolato su quattro campagne per sette personaggi, quattro storyline che di tanto in tanto si incontrano, mostrando spesso frangenti importanti da diversi punti di vista, e che convergono verso il pirotecnico, epico e "multiplo" finale.

Il solito complotto...

L'arco narrativo viene raccontato attraverso numerosi filmati a corollario delle sequenze più importanti, ma solo quando si sarà portata a termine l'ultima campagna, quella di Ada (se possibile la migliore del gioco) si avrà un quadro finalmente intellegibile delle vicende. La storia è decisamente inflazionata e piena di deus ex machina, con la scala gigantesca degli eventi che ci porta diritti in zona Call of Duty. Tutto ruota intorno al più classico dei complotti interni all'americana, quello che vede la morte del Presidente "zombificato" durante l'attacco bioterrostico di Tall Oaks (con tanto di ovvio capro espiatorio), e di attacchi terroristici all'estero per realizzare condizioni favorevoli all'egemonia mondiale degli Stati Uniti.

Un nuovo inizio?

Inutile dire che tutto andrà per il verso sbagliato, organizzazioni segrete e misteriosi agenti del caos faranno la loro comparsa, e la minaccia del Virus-C diventerà globale, col rischio dell'inferno in terra fatto di mutanti, zombi e creature rigeneranti e gorgoglianti che sembrano uscite dalla mente malata di Cronenberg. Nulla di nuovo insomma. Non diremo altro in questa sede, il rischio di spoiler è altissimo, con tutti i personaggi impegnati a rincorrersi da un posto all'altro per arrivare alla fine in Cina. La parte migliore di tutto è nelle sequenze topiche dove gli altri personaggi lottano e combattono con noi, dando il la ai team up definitivi. La soluzione da un punto di vista iconico è senza dubbio vincente, l'epicità è assicurata, ma fa nascere un problema. Per lunghi tratti, data la scelta di mettere in campo le stesse vicende da più punti di vista, il titolo ci fa letteralmente rigiocare intere sequenze gia affrontate precedentemente, soprattutto le lunghe fasi di scontro con i boss. In tal senso il back tracking interno alla stessa storia è virtualmente assente, sostituito però da questa nuova tipologia, che rende il tutto stiracchiato, ripetitivo e portato per le lunghe. Non mancano ovviamente decise variazioni sul tema, soprattutto nella campagna di Ada, ma quando ad esempio dopo aver passato molto tempo a combattere un mostruoso mutato armato di motosega, dobbiamo tornare a scontrarci con lo stesso un'altra volta, variando soltanto l'ambientazione, ci viene senza dubbio da storcere il naso, anche perchè il senso di appagamento per l'impresa precedente viene annullata dal doverla ripetere di nuovo.

Trofei PlayStation 3

Resident Evil 6 ci premia con 50 trofei, relativi non solo ovviamente al superare ogni singolo capitolo e a terminare il gioco a tutti i livelli di difficoltà, quanto soprattutto a mettere a segno particolari azioni, come ad esempio soccorrere il proprio partner dieci volte o magari far precipitare dieci nemici da postazioni rialzate. In tal senso, molto impegnativo è portare al massimo tutti i perk, raccogliere tutti gli emblemi della famiglia Simmons, ma senza dubbio sarà più facile utilizzare tutte le armi del gioco ed eliminare dieci nemici con ciascuna bocca da fuoco.

Sei personaggi in cerca di atmosfera

Ma quali sono i protagonisti di Resident Evil 6? Capcom ha scelto un approccio enciclopedico per scegliere gli attori del gioco, tentando di portare alla luce le diverse anime del franchise. La coppia Leon Kennedy - Helena Harper è quella al quale viene deputato il ruolo di mettere in scena (citando le parole di Capcom in sede di annuncio) la parte più gothic horror di Resident Evil 6, col risultato però di scadere per lunghi tratti in un fan service poco stimolante e con poche idee.

Un nuovo inizio?

Le prime quattro ore sono un mix senza particolari guizzi del Resident Evil che fu. C'è di tutto: i corridoi silenziosi, i lampi che rischiarano l'ambiente, la città sotto assedio, le catacombe, il cimitero, il tempio sotterraneo, i crolli, le fughe disperate e le lunghe nuotate in apnea. Roba da mandare in brodo di giuggiole i fan più attempati, ma la sensazione è che il tutto sia gratuito e slegato, e cosa ancor più grave senza un briciolo di atmosfera. Anche perchè le dinamiche shooter miste a quelle da picchiaduro annullano qualsiasi velleità paurosa o terrorizzante, e quando si dovrà girare l'ennesima leva, trovare l'ennesima statuetta o peggio scappare da uno squalo mutato sparando ad un gigantesco bidone con su scritto TNT come se fossimo in un cartone di Wile Coyote, l'esile impalcatura da survival horror cade rovinosamente a terra mostrando evidenti limiti di scrittura.

Un nuovo inizio?

A Chris Redfield - Piers Nivans gli sviluppatori hanno demandato il compito invece di esplorare ed espandere la ormai palese e per certi versi compiuta natura da sparatutto in terza persona di Resident Evil 6. I due membri della BSSA ci permettono di parlare della componente meglio riuscita del gioco, ovvero il rinnovato sistema di combattimento. Tutti i protagonisti possono finalmente muoversi e sparare, sfruttando alla perfezione gli articolati punti deboli dei nemici. Non si tratta semplicemente di colpire i focolai d'infezione generosamente segnalati sui loro corpi, quanto di scatenare la combo piombo - corpo a corpo. Centrando ad esempio il braccio di un nemico possiamo stordirlo brevemente o farlo girare per un attimo e se siamo abbastanza vicini ucciderlo con una serie di calci e pugni. Inoltre possiamo realizzare kill istantanee grazie alla spesso debolissima intelligenza artificiale dei nemici o eseguire fulminee contromosse se si è veloci nello spingere il tasto R1. Molto intelligentemente Capcom ha inserito una barra della stamina che decresce rapidamente per evitare che gli scontri diventino una sorta di riedizione in salsa horror di un picchiaduro, quindi bisogna sempre stabilire una strategia quando si è in inferiorità numerica, avendo bene in mente che a partire dal livello di difficoltà normale le munizioni scarseggiano (occhio a quando si muore, si riparte con quanto si aveva in tasca al momento della dipartita!) cosa questa che nell'ottica del survival horror è perfettamente capibile, meno lo è quando ormai è palese essere calati in uno sparatutto in terza persona fatto e finito, con tanto di farraginose coperture e circondati da decine di nemici.

Un nuovo inizio?

La soluzione è quindi unica, iniziare a correre come forsennati per i livelli alla ricerca delle casse di munizioni, ma ciò mette in evidenza un'altra criticità. I generosi modelli dei protagonisti occupano una porzione dello schermo molto grande visto che la telecamera è troppo bassa sulla scena. Di fatto il punto di vista va costantemente in crisi nascondendo gli attacchi avversari, e se a questo si aggiunge un level design che per molto tempo ci porta a combattere negli spazi stretti dei labirintici palazzi cinesi c'è il rischio realmente di subire colpi su colpi perchè letteralmente non si ha il quadro generale della situazione. Senza dimenticare poi una spiccata "legnosità" dei personaggi, tanto agili nel calciare i nemici, quanto impacciati nel districarsi nelle situazioni più affollate. Per ovviare a questa situazione è possibile eseguire il cosiddetto Quick Shot con le armi da fuoco, un colpo automatico verso il nemico più vicino, al costo però di parte della stamina, meglio non abusarne insomma. Con grande gioia la situazione cambia quando gli ambienti si allargano, in tal senso la seconda parte dell'avventura è meno piagata da questa problematica, ma spesso e volentieri non si può far nulla. E se questo succede contro i numerosi e complessi boss, beh, c'è poco da aggiungere.

Call of Evil

Durante le campagne, nascosti nelle casse o dopo aver ucciso creature particolarmente ostiche, il gioco ci fa raccogliere dei pedoni di vario valore che rappresentano la moneta sonante da spendere per aumentare le caratteristiche dei vari personaggi. La scelta è molto ampia e coinvolge un pò tutti i settori cardine del gameplay. Maggior resistenza ai danni, più forza nel corpo a corpo, più probabilità che i nemici rilascino munizioni, caricatori maggiorati, doppia razione di erba dal compagno e molto altro. Inizialmente si parte con solo uno slot per tre perk, ma con la progressione nelle campagne ci viene data la possibilità di sbloccarne altri sette, per un totale quindi di ventiquattro perk, da "accendere" e "spegnere" a seconda del personaggio che si sta impersonando. La scelta deve essere oculata visto che l'upgrade di un singolo perk costa tantissimo, attenzione quindi a come spendere i punti accumulati.

La resa dei conti

La terza campagna, quella della coppia Jake - Sherry Birkin è fatta apposta per esaltare il sistema di combattimento, anche perchè l'enigmatico Jake oltre al piombo può contare su attacchi extra fisici, intesi come vera e propria arma secondaria da selezionare nell'inventario. Non si tratta di semplici calci e pugni, ma di mosse finali extra e colpi caricati, e più in generale il personaggio ha una stamina più durevole che favorisce quindi il corpo a corpo.

Un nuovo inizio?

Anche qui il focus è quello dello shooter, ma la possibilità di variare con più efficacia le dinamiche di attacco limano senza dubbio la cronica ripetitività del gioco. Fino all'esaltante finale in cui la natura del personaggio viene sfruttata a dovere, se possibile nello scontro meglio riuscito del titolo. Anche qui però le problematiche sono sempre le stesse, ma complice un personaggio sensibilmente diverso dagli altri, anche da un punto di vista della caratterizzazione, la sua storia è quella che arriva alla fine con meno intoppi e che riesce ad intrattenere meglio rispetto allo stanco fan service di Leon e al problematico sparatutto di Chris. L'ultima storia, quella di Ada Wong, getta nella mischia due componenti che fanno fare un salto di qualità al tono generale di Resident Evil 6.

Un nuovo inizio?

Non si sta certamente parlando di soluzioni e trovate che fanno diventare il titolo un capolavoro a tutto tondo, ma che certamente funzionano meglio e rendono il tutto più compatto ed entusiasmante. Stiamo parlando di una componente stealth che finalmente va oltre le kill istantanee degli altri protagonisti, necessaria per supplire alla costante inferiorità numerica in cui si trova la protagonista, specialmente nelle primissime fasi, e di un paio di puzzle che ci riportano indietro nel tempo, nulla per cui stracciarsi le vesti si capisce, ma che almeno non sono il solito trova la chiave o componi l'emblema, situazioni presenti comunque e reiterate nelle tre campagne. Inoltre la sua balestra con dardi normali o esplosivi ci permette di giostrare al meglio le fasi shooter, potendo quindi sfruttare la varietà di situazioni che è possibile innescare. Come poi scritto precedentemente le vicissitudini di Ada ci permettono di avere finalmente un quadro completo sulla storia, non senza piccole strizzatine d'occhio ai fan che finalmente funzionano e non sono stucchevoli. Alcune sezioni sono francamente evitabili, soprattutto verso la fine, ma in generale è la campagna meglio bilanciata, più corta e con tempi meno dilatati. Le magagne non finiscono qui però.

Un nuovo inizio?

La forzata ripetitività fa il paio con l'estenuante e continuo ricorso ai quick time event. Se tale soluzione fosse relativa ai momenti in cui si viene afferrati dai nemici o per girare ancora le anacronistiche manovelle non ci sarebbe nulla di male, ma intere sezioni, anche quelle più importanti, critiche e delicate, ci costringono a subire minuti interi in cui bisogna o violentare lo stick sinistro o premere ritmatamente L1 e R1 con l'unico risultato di distruggere qualsiasi pathos. Il tutto ripetuto più e più volte e in tutte le salse, mettendo in scena situazioni tra le più comicamente involontarie degli ultimi anni. È possibile limitare l'invasività dei quick time event abbassando al minimo il livello di difficoltà e rendendoli poco più che automatici, ma questo comporta uno sbilanciamento totale delle dinamiche di gioco, con danni ridotti e proiettili a profusione. Un peccato quindi che non ci sia qualcosa di intermedio, anche perchè Resident Evil 6 ci permette di customizzare approfonditamente il gameplay al momento di entrare in partita con numerose varianti.

Come al cinema

Dove il gioco letteralmente esplode, e in questo il franchise ci ha davvero abituato bene è negli scontri con i boss. Il gigantesco mutato Ustanak che abbiamo visto recentemente, quello col braccio meccanico e la benda sul viso è solo l'antipasto dell'abbondante menu preparato da Capcom. Sono enormi, e per enormi si intende spesso alti come palazzi, tutti con diversi pattern d'attacco e diverse mutazioni e trasformazioni a punteggiare lo scontro. Gli sviluppatori hanno fatto del tutto per tentare di rendere le lunghe battaglie il più varie possibile, dividendole in più fasi, cambiando anche le zone degli scontri. Senza dubbio davvero entusiasmanti, con l'estenuante e davvero epico finale di Chris e quello del già citato Jake come punto più alto dello sforzo di Capcom.

Un nuovo inizio?

Ovviamente data la struttura a incastro delle quattro storie sono sin troppo spalmati all'interno delle campagne, quasi una sorta di "boss rush", perdendo un pò il loro essere il picco drammatico "speciale" nell'economia di gioco, ma più in generale rappresentano quanto di meglio la serie abbia offerto sinora. E soprattutto sono anche ben pensati e strutturati nella messa in scena della battaglia: non si tratta solamente di colpire punti deboli bene in vista, le loro "coreografie" sono senza dubbio un fiore all'occhiello della produzione. Insomma, la vera colpa di questo Resident Evil 6, lasciando da parte la diatriba survival/action sta nel voler fare un pò di tutto, senza in fin dei conti fare praticamente nulla in modo eccezionale tanto da staccarsi dalla concorrenza che lo ha ispirato. Resident Evil 6 perde i connotati da franchise seminale per trasformarsi in uno shooter puro che incespica nei cardini base delle meccaniche tipiche del genere, condendo il tutto con gli stilemi tipici della saga, rimanendo però in un limbo senza dubbio elettrizzante e piacevole, ma che non può convincere appieno né gli amanti degli sparatutto in terza persona né quelli che conoscono tutte le evoluzioni della saga. A rendere ancor più esplicito questo cortocircuito ci sono sezioni su mezzi, di terra e d'aria, che sembrano prese di peso da un generico Call of Duty. Nulla da recriminare si intende, ma una scelta del genere esplicita di più la voglia di Capcom di mettere in scena un vero e proprio blockbuster al pari delle serie cinematografica, che non brilla certamente per qualità e raffinatezza.

Luci e tante ombre

A livello tecnico Resident Evil 6 non può non seguire il percorso ondivago del gameplay. Tante luci, ma anche tante ombre. Nulla da obiettare sulla modellazione poligonale e sulle animazioni dei personaggi, dei boss e dei nemici "umani", un pò meno forse sugli zombi, che pagano in termini di texture meno definite l'avere un corpo in decomposizione o un banale completo da salary men. Alla stessa maniera un lavoro eccezionale è stato svolto sul design della fauna che mano a mano incontreremo nel gioco, che spazia da diverse tipologie di non morti, armati e non, a soldati mutati con maschere da luchadores e vere e proprie aberrazioni che denotano uno spiccato gusto per il grottesco e il disturbante dei ragazzi giapponesi.

Un nuovo inizio?

Tutte poi da affrontare con giudizio, scegliendo con cura i loro punti deboli, mettendo in gioco tutto il potenziale del combat system. Lo stile non manca senza dubbio, forse si poteva fare di più su alcuni shader, sulla qualità generale di alcuni fondali e degli elementi secondari, in alcuni casi davvero poveri di dettaglio e visibilmente affrettati per arrivare a chiudere il gioco, e su un sistema di illuminazione ancorato al passato, con intere sezioni che si "accendono" al nostro passaggio per poi "spegnersi" di nuovo quando ce ne andiamo. Senza poi dimenticare un level design che per lunghi tratti banalizza le dinamiche shooter del gioco, piatto e monocorde, senza nessuna possibilità di aggiramenti, cosa comunque non necessaria data la scarsa intelligenza artificiale dei nemici. Un plauso va fatto per il doppiaggio italiano, con attori in parte e ben recitato, capaci di farci percepire distintamente le diverse personalità dei protagonisti.

Il multiplayer

Resident Evil 6 propone la modalità cooperativa, tanto online che in split screen, per godere al meglio delle complesse dinamiche "di coppia" del gioco. L'intelligenza artificiale quando si gioca da soli si limita a fare il compitino, ovvero a rianimarci e spingere leve al momento giusto, ma senza dubbio ha una buona mira e non ha mai avuto problemi di pathfinding. Giocando in due invece è possibile concertare al meglio gli attacchi e sfruttare quindi le peculiarità dell'arsenale di ogni personaggio aumentando di molto il tasso di divertimento. Ad esempio la piccola Sherry può utilizzare il suo manganello elettrico per stordire gli avversari, favorendo gli attacchi corpo a corpo di Jake, mentre il fucile da cecchino di Piers, dotato di zoom e visore notturno può colpire agilmente gli avversari dalla distanza. Da un punto di vista visivo non abbiamo notato particolari problemi di frame rate, ma bisogna per forza di cose fare il callo alla porzione ridotta della schermo che acuisce nei momenti più concitati le problematiche di cui abbiamo già parlato. Ci sono poi alcuni frangenti in cui da due si passa alla coop a quattro, momenti ovviamente scriptati e che rappresentano punti di svolta del gioco e che amplificano a dismisura l'epicità di alcune situazioni. Roba da far gongolare i fan più esigenti. A completare l'offerta multigiocatore c'è poi Caccia all'uomo, per invadere le partite degli altri giocatori online nella parte di uno zombi e la modalità Mercenari, che ci permette di impiegare anche Ada e la sua balestra esplosiva. Una classica orda a tempo, con la possibilità di guadagnare secondi preziosi effettuando combo, contromosse e distruggendo cristalli, molto utile per accumulare ulteriori punti da spendere per l'upgrade del personaggio.

Conclusioni

Versione testata: PlayStation 3
Multiplayer.it
8.0
Lettori (591)
7.4
Il tuo voto

Capcom ci aveva promesso il Resident Evil più grande di sempre, e senza dubbio la promessa è stata mantenuta. Ma ci aveva anche promesso tre storie dagli stili di gioco differenti e dalle atmosfere peculiari e qui purtroppo non ci siamo. Resident Evil 6, ad esclusione di alcune parti da intendere come un gratuito e stucchevole fan service è uno shooter puro, estremamente derivativo, pieno di buone idee certo, ma dai fondamentali zoppicanti, eccessivamente lungo, stiracchiato e di conseguenza ripetitivo, ma comunque divertente, soprattutto se giocato in cooperativa. Le eccellenze non mancano, come gli scontri con i boss, il sistema di combattimento e la messa in scena degli incroci tra i personaggi, ma la sensazione è che alla lunga l'epopea Capcom manchi di compattezza e di senso della misura, il tutto per rivaleggiare non tanto con i precedenti episodi del franchise quanto con la saga cinematografica.

PRO

  • Oltre 25 ore di gioco
  • Ricchezza di contenuti
  • Il sistema di combattimento
  • I boss più grandi di sempre
  • Cooperativa ben strutturata

CONTRO

  • Eccessivamente derivativo
  • Shooter puro dai fondamentali incerti
  • Decisamente striracchiato e ripetitivo
  • La telecamera traballante e il level design rendono spesso il gioco confusionario
  • Il fan service è talvolta stucchevole