Arte del riciclare?
Parliamo ora delle similitudini che si riscontrano nel gioco. La parte “edilizia” del titolo banalizza quella vista in Sim City, o perlomeno deriva da quelle giocate in Actraiser e Breath of Fire. Non basta ricollocare case e negozi: bisogna soddisfare anche le richieste dei proprietari, posizionandole come si deve e collezionando tutti gli oggetti (o persone) ad essi corrispondenti. Da Diablo discende la generazione casuale delle struttura dei dungeon (rientrando in uno di essi occorre trovare di nuovo mappa e chiavi relative a porte sigillate); la personalizzazione delle armi paga anch’essa dazio al titolo Blizzard: si può personalizzarle inserendo gemme e artefatti che donano danni specifici e caratteristiche peculiari, si potrà anche trasformarle e potenziarle. La gestione del personaggio risente pesantemente della influenza di Zelda, interfaccia compresa. Vi sono poi dei sottogiochi, ormai parte integrante degli ultimi RPG nipponici, tipo la pesca. Per ultimo, tocco di classe infinito, alcuni scontri vengono visualizzati come duelli uno contro uno: si passa quindi ad una struttura da rhythm game dove bisogna premere in tempo i tasti per progredire positivamente nel gioco. Questo è quanto. Come ho detto prima alcune componenti si amalgamano bene, altre rimangono un po’ in superficie, palesando scelte a livello di gameplay perlomeno discutibili.
Scenografi svogliati?
Graficamente parlando, D.C. denuncia un aspetto discreto, che non lascia spazio ne a cadute di tono vistose, ne a strabilianti piacevolezze estetiche. I personaggi principali (noi e i nostri alleati) sono animati bene, non perdono frames e sono anche dotati di buone textures, riccamente dettagliate. Lo stesso discorso va fatto per i nemici che si incontrano nei dungeon. Meno buoni sono i boss che si incontrano progredendo nel gioco: a delle buone textures fanno da contraltare un esiguo numero di poligoni. I fondali e le ambientazioni sono realizzati però con sufficienza e penalizzati oltre modo da una ripetitività veramente scocciante. In parole povere sono tutti uguali: il primo dungeon consta di 15 livelli che a parte la pianta sono identici in tutto e per tutto! Molto ben realizzate sono le valli da ricostruire: case, mulini, fiumi, ponti, empori sono ottimamente realizzate e piene di dettaglio. Peccato per l’effetto pop up degli abitanti che appaiono e scompaiono a seconda della lontananza da essi. Bello è anche l’effetto che la differente luce del giorno getta su cose e persone: niente di trascendentale, ma ben realizzato e funzionale. Nel complesso è giustificabile una veste grafica più che onesta, certamente non al passo con le ultime produzioni Square: si tratta pur sempre di uno dei primi titoli presentati per Ps2 nel lontano 1999, quindi tutto è (parzialmente) giustificabile. L’audio è anch’esso nella norma. La colonna sonora varia in pesantezza da ambientazione a ambientazione. Io ho apprezzato molto gli arpeggi che si ascoltano nella piana di Nolun,ma si sa qui si entra nell’ambito della soggettività. Non vi sono dialoghi parlati in quanto i testi sono imprigionati in baloon fumettistici.
Giochiamo al piccolo capitalista!
La giocabilità è un parametro piuttosto difficile da valutare. Iniziamo col dire che il titolo L.5 ad un primo approccio promette bene: il gioco funziona, è divertente, ma andando avanti ci si accorge che alcune peculiarità non sono state messe a punto a dovere, inficiando non poco un giudizio tutto sommato positivo. La vita del nostro alter ego si basa su tre parametri fondamentali: energia, rottura delle armi e sete. Oltre a queste è possibile poi personalizzare a piacimento le nostre armi mediante gemme e ammennicoli vari che fanno alzare i valori di offesa di esse nelle classi più disparate: dai classici attacco, resistenza, fuoco, ghiaccio, fulmine ad altri più specifici come anti piante, anti pietra, anti volatili, anti strega e così continuando. Come in Diablo, questo meccanismo di upgrade fa scattare nel giocatore, la da me battezzata, “sindrome dell’accumulo da capitalista insoddisfatto”, che ci spinge a visitare anche zone già visitate pur di ampliare a dismisura il nostro inventario. Questo meccanismo fa perdere un po’ di vista il vero motivo del gioco, che non è avere tutto e a tutti i costi per guidare un eroe più bardato di Scwartznegger in Commando, quanto quello di compiere una missione. Per fortuna ci pensano i programmatori a riportare il giocatore sulla terra, con mezzi, ad onor del vero, poco onesti però. E qui si ritorna all'usura delle armi e dell’acqua. Questi due parametri tendono ad azzerarsi con una velocità spaventosa e di conseguenza ecco spendere dei bei soldoni per riempirci di acqua e polvere riparatrice. Implementare in questo modo questi due valori, ha più il sapore di uno stratagemma subdolo per aumentare il livello di difficoltà che quello di una scelta precisa a livello di gameplay, un po’ come ripetere tutti i boss in successione al cospetto del boss finale. Peccato perché il meccanismo di upgrade delle armi è gratificante e da luogo a scelte tattiche decisive (siamo in una foresta, cosa aumento, l’offesa contro le piante o quella contro gli animali?). E’ anche possibile trasferire il 60% del potere della propria arma in una cosiddetta sfera di sintesi, che impiantata in una nuova arma erediterà le caratteristiche di quella precedente, utile nel caso di rotture improvvise o in presenza di nuovi spadoni più performanti. Durante il gioco ci alterneremo nei livelli con degli alleati che si uniranno a noi pian piano. Ognuno di questi ha sue caratteristiche peculiari, che ci saranno di aiuto per sbloccare situazioni che richiedono l’impiego di uno invece che dell’altro.
Le nuvole nere si diradano?
In ultima analisi posso dire che Dark Cloud è un titolo che può lasciare perplessi e infastiditi chi si è fatto le ossa nei ben più corposi titoli del genere su PC. Voler cercare di impressionare mettendo sul piatto più modalità possibili, ha come risultato che nessuna di esse è stata trattata con precisione, rimanendo sempre ad un livello di superficialità generalizzata. Certamente tutto ciò favorisce chi non sa niente di mana, punti ferita, evocazioni e occultismi vari. Il neofita si trova a suo agio insomma. In altre parole possiamo definire Dark Cloud come il più arcade tra gli rpg presenti per Ps2. Questo è quanto.
- PRO
- Immediatezza
- Vastità delle locazioni
- CONTRO
- Poco spessore
- Grafica scarsamente definita
- Gameplay non accurato
Arte del campionare
Dark Cloud è un titolo francamente strano, non perché difficilmente classificabile o troppo originale e avanti rispetto alla media,anzi è proprio tutto il contrario: è lo stato dell’arte nell’ambito del riciclo e del riutilizzo, in ambito videoludico. Se facessimo un paragone con la musica, sarebbe come ascoltare una canzone composta quasi di solo campioni di altre tracce. Tutti sappiamo che quando si parla di videogiochi il copiare, citare o come lo vogliamo chiamare, è una pratica comune, ammessa e rispettata. Ma qui si va ben oltre: il titolo Level 5 si affida nelle sue parti fondamentali, a scelte di game design proprie di altri titoli: che a seconda dei casi sono perfettamente integrate e funzionali, altre volte sembrano essere solo dei mezzi messi lì per allungare la minestra. Questo però non è sinonimo di cattiva realizzazione e scarso divertimento, ma usando una terminologia da bravo presentatore, posso dire che si è messa troppa carne al fuoco, quindi c’è il rischio che non tutto venga cotto a puntino. La trama è ridotta all’osso: il vostro mondo è stato cancellato dai soliti cattivoni; sta noi mediante l’aiuto del mago buono, esplorare dungeon e aree pressoché simili, alla ricerca di sfere che racchiudono parti e infrastrutture del mondo stesso. Scopo ultimo sarà lo sconfiggere i soliti cattivoni e ricreare ex novo la vostra patria.