Il successo dell'universo narrativo di The Witcher è al suo massimo storico. Tra una trilogia videoludica che ha catturato l'attenzione di milioni di giocatori e una serie Netflix che ha dato nuovo risalto alla saga letteraria da cui le avventure di Geralt di Rivia e compagnia sono tratte, non c'è mai stato momento migliore per essere appassionati di questo mondo fantasy estremamente maturo e brutale. Tra le varie operazioni transmediali, spicca quella dedicata al Gwent, gioco di carte che ha conquistato i giocatori di The Witcher 3: Wild Hunt, tanto da chiedere a gran voce un'istanza a sé stante, divenuta realtà con l'omonimo videogioco.
Pur avendo la possibilità di costruire il proprio mazzo per sfidare giocatori reali provenienti da ogni parte del mondo, molti utenti sono rimasti fedeli al minigioco apparso nel terzo capitolo della saga videoludica, spinti dalla sua natura non multigiocatore. CD Projekt RED si è accorta anche di questa tendenza e ha, così, consegnato ai giocatori una vera e propria avventura narrativa basata sul Gwent, Thronebreaker: The Witcher Tales.
Pensavamo fosse finita qui, oppure che avrebbero dato nuovo carburante a quest'ultimo "filone d'oro", comunque molto apprezzato. Invece, quasi a sorpresa, è stata rilasciata una nuova esperienza in giocatore singolo, ma con una minore spinta narrativa.
Vediamo più nel dettaglio di cosa si tratta in questa recensione di Gwent: Rogue Mage.
Un gameplay reinventato
Gwent: Rogue Mage è un roguelite basato sul gioco di carte che più o meno tutti abbiamo imparato a conoscere negli anni. Chi ha avuto modo di sperimentare la breve storia videoludica di quest'ultimo sin dalla prima apparizione, saprà dei profondi cambiamenti che lo hanno investito. Con l'uscita del titolo multigiocatore online si è raggiunto una sorta di "canone", che è rimasto più o meno invariato, ma le differenze sono parecchie se lo si mette a confronto con Thronebreaker e, ora, anche con Rogue Mage.
In questo caso specifico, le regole del gioco sono state rimaneggiate in modo sostanzioso. Innanzitutto, sono scomparsi i round. Ciò significa che fare strategia gestendo le proprie forze in modo tale da vincere la "guerra" pur cedendo qualche "battaglia" non è una prospettiva perseguibile qui. Il giocatore, infatti, è obbligato a giocare tutte e dieci le sue carte (cinque pescate contemporaneamente all'inizio della partita e altre cinque pescate lungo altrettanti turni), senza possibilità di passare, almeno finché avrà qualcosa da giocare in mano.
Altro elemento mutato è l'assenza della divisione in classi come nel gioco "canonico" (niente più Mostri, Scoia'tael, Nilfgaardiani e così via, per intenderci). Quindi, le carte, pur avendo caratteristiche e abilità sostanzialmente invariate rispetto al Gwent standard, possono influenzarsi a vicenda senza restrizioni di sorta. L'unica limitazione imposta è quella legata al mazzo di partenza (quattro in tutto), non modificabile preventivamente in alcun modo e ognuno legato a un determinato approccio alla battaglia. Quello iniziale è Baluardo, perfetto per chi ama potenziare le proprie unità piuttosto che attaccare direttamente il nemico. Il secondo è Furia Selvaggia, questo decisamente più aggressivo, mentre il terzo, Mente Alveare, è dedicato a chi preferisce schiacciare numericamente il nemico. L'ultimo, Caos, è invece un po' il jolly del gioco (come suggerisce anche il nome).
All'inizio della partita, dopo aver selezionato il proprio mazzo, viene richiesto di scegliere una carta fondamentale (una sorta di "capitano" che si va ad affiancare alle altre unità, fornendo un grande supporto), tre incantesimi (che vanno a sostituire l'ordine del comandante che abbiamo imparato a conoscere e che consumano un determinato quantitativo di Energia quando utilizzati) e una pozione, una sorta di amuleto permanente che fornisce bonus utili per raggiungere il nostro scopo. Ma qual è il nostro scopo? Raccogliere mutageni per creare esseri in grado di uccidere i mostri arrivati con la Congiunzione delle sfere. Ergo, creare i primi witcher.
Un mondo in costane mutamento
Avete capito bene. La (sottile) narrazione segue le vicende di Alzur, il mago che ha contribuito a dare vita ai witcher per "combattere i mostri con altri mostri". Il nostro obiettivo è quello di raccogliere tre tipologie di mutageni (che riassumiamo qui sbrigativamente e iconicamente con i colori Verde, Rosso e Blu) per dare vita al nostro "esperimento", cosa che si rivela essere più complessa del previsto. Per ottenere questi preziosi ingredienti, Alzur deve incamminarsi in un'avventura per le regioni del Continente, alla ricerca di creature portentose da sconfiggere. Ciò si traduce, a livello videoludico, in una mappa (visivamente sempre uguale) sulla quale sono posizionati diversi "segnalini", ognuno posto su una biforcazione diversa che porterà, però, sempre all'obiettivo finale: il boss che ricompensa con il mutageno.
Le tappe di questo viaggio possono essere battaglie o eventi. Gli scontri sono di due tipi, o normali o d'élite (boss intermedi). Nel primo caso, si ingaggeranno duelli con nemici non troppo impegnativi, ma ognuno con un'abilità speciale unica che necessiterà di una certa dose di tattica da parte del giocatore. La ricompensa per il superamento di questi scontri è quella di aggiungere o eliminare una carta dal proprio mazzo (entrambe le opzioni si basano su una scelta tra tre estratte casualmente). Nel secondo caso, invece, le battaglie saranno molto più impegnative, ma il bottino sarà decisamente più interessante. Infatti, il giocatore ha la possibilità di decidere se potenziare la propria carta fondamentale o se aggiungere al mazzo un tesoro (ovvero una carta che tornerà sicuramente utile durante le sfide più impegnative).
Per quanto riguarda gli eventi, invece, questi sono di tre tipi: un evento nel vero senso della parola, durante il quale verrà posto al giocatore un dilemma che può o meno assecondare per ottenere determinate ricompense; un luogo di potere, che, a seconda della tipologia di segno che lo contraddistingue, può fornire un bonus legato alle proprie carte o ricaricare parte dei punti Energia (utili per gli incantesimi da lanciare durante gli scontri e limitati a un massimo di cento); un forziere contenente tre carte "tesoro", tra le quali possiamo sceglierne solo una da aggiungere al nostro arsenale.
Se la via scelta vi porta fino al boss finale e, per grazia ricevuta, riuscite anche a sconfiggerlo, otterrete il mutageno. Ora cosa succede? Ora si ricomincia da capo, ancora e ancora, fino a che non avrete ottenuto tutti e tre gli ingredienti necessari alla vostra causa. E se si viene sopraffatti in battaglia? La stessa cosa. Sì, perché questo, come il titolo suggerisce e come accennavamo, è un roguelite travestito da gioco di carte.
Di indole roguelite
Unire le dinamiche del gioco di carte a quelle dei simil-rogue ha dato una bella rinfrescata al genere, come ha dimostrato lo scorso anno l'apprezzatissimo Inscryption. Certo, la saturazione del mercato è una realtà presente anche per questi prodotti, ma Rogue Mage si è palesato in un momento ancora abbastanza propizio, all'interno del quale è in grado d'inserirsi senza risultare un prodotto pesante o "già visto". Il "colpo di coda" di CD Projekt ha preso un po' tutti alla sprovvista e l'intuizione è senz'altro molto fortunata. Unire un universo narrativo alla ribalta con dinamiche di gioco dall'alto tasso di rigiocabilità, il tutto attraverso una serie di asset e dinamiche già ampiamente rodate, è stata senza ombra di dubbio una mossa astuta da parte dello studio polacco.
Il gioco era praticamente già pronto (non a caso viene comunicata come un'espansione single-player, nonostante non sia necessario possedere nessun altro titolo legato al Gwent). Ciò che hanno dovuto costruire è la cornice che lo circonda.
Per raggiungere il nostro obiettivo è necessario fallire. Non è possibile procedere senza perdere qualche partita. Questo perché, essendo un roguelite e non un roguelike, giocando si accumulano punti che poi andranno a convergere, alla fine della partita, nell'avanzamento di livello. Ogni livello (cento in tutto) permette di sbloccare nuove carte, pozioni, incantesimi e mazzi che ci aiuteranno ad affrontare con sempre minore difficoltà i nemici che si frappongono tra noi e i mutageni.
Ogni partita inizia sempre con le stesse carte base del proprio mazzo, il quale si espanderà man mano che ci faremo strada sul tabellone di gioco. Questo porta la fortuna a influire solo nelle sezioni più avanzate della partita, quando la vittoria può veramente dipendere dall'assenza o dalla presenza di una determinata carta. A volte avrete la meglio, altre volte verrete sconfitti miseramente. Ma, rispetto anche ad altri esponenti del genere, il divario tra caso, strategia ed esperienza è molto ristretto, non facendo sentire eccessivamente frustrato il giocatore e portando a quell'effetto "uno tira l'altro" che spinge a tornare subito in campo. Ad aiutare, in questo caso, è anche la durata di una partita completa (ossia, fino alla sopraffazione del boss), che si aggira intorno ai quaranta minuti.
Visivamente un passo indietro?
Se Gwent ci aveva regalato uno stile audiovisivo estremamente riconoscibile e pulito, Thronebreaker ci aveva viziato per tutto ciò che concerne mondo di gioco e interfaccia. Di conseguenza, siamo rimasti un po' spiazzati di fronte alle implementazioni visive di Rogue Mage.
In generale, il gioco è molto affascinante, ma il merito è appannaggio esclusivo di ciò che deriva dalle due precedenti produzioni. Ogni elemento aggiunto dal gioco in sé rimane molto sottotono rispetto a quanto è stato "recuperato", tanto che sembra quasi un titolo scisso, con due nature che coesistono in modo un po' rocambolesco. Si potrebbe dire che doveva uscire anche su mobile per giustificare la qualità grafica che lo ammanta, ma qui siamo oltre quel tipo di limitazioni (anche perché sia Gwent che Thronebreaker prosperano su smartphone). Quello di Rogue Mage è proprio un problema stilistico; si stacca dallo stile quasi fumettistico, dai tratti molto marcati, per andare più sul "fotorealistico" (nel senso di fisicamente aderente a un reame più pertinente alla realtà), cosa che ne compromette il carattere non tanto di opera indipendente, quanto di opera globale (dopotutto, è pur sempre un'espansione). Questa doppia natura ci ha fatto storcere il naso, ma la colonna sonora ci ha catapultato nuovamente in un marasma allo stesso tempo familiare e sconosciuto, con dei brani suggestivi, che danno la carica adeguata per superare qualsiasi tipo di avversità il gioco ci getti contro.
Conclusioni
Gwent: Rogue Mage è un esperimento senz'altro riuscito. L'intuizione di CD Projekt Red è un ottimo esempio di adattamento alle necessità di mercato. Reinventare per la terza volta il medesimo gioco di carte non è cosa da poco. E il risultato è decisamente sorprendente. Questa nuova avventura, a metà tra l'immediatezza spensierata del Gwent online e la propulsione narrativa di Thronebreaker, è in grado di catapultare nuovamente per diverse ore il giocatore all'interno di uno degli universi fantasy più interessanti che ci siano. Certo, avremmo gradito quel misto tra coerenza con le proprie radici e innovazione, tanto caro al comparto sonoro, espanso a ogni aspetto del gioco, oltre che una maggiore varietà di situazioni ed eventi, che iniziano a ruotare abbastanza velocemente, e un collegamento diretto almeno con l'esperienza multigiocatore (come era stato fatto con le ricompense di Thronebreaker). Tuttavia, il risultato è molto più roseo di quanto ci si potesse aspettare. E al team non è servito reinventarsi completamente, ma solo conoscere a fondo la propria creazione, esaltandone i punti di forza e portandola a essere una versione migliore di se stessa o, meglio, una nuova versione di se stessa.
PRO
- Ottima variazione sul tema Gwent
- Coinvolgente
- Colonna sonora di alto livello
CONTRO
- Varietà negli incontri appena passabile
- Visivamente poco coerente