Parallelismi
a cura di Mauro Fanelli
Tocca ritornare a inizio anni ottanta, al 1982 per la precisione, per trovare quello che senza alcun dubbio, è il vero antenato di Prince of Persia, nonché il capostipite del genere action adventure. Si tratta di Pitfall!, il classico di David Crane per Atari 2600. I due giochi hanno molto in comune: entrambi sono costruiti attorno al protagonista, ponendolo al centro dell’attenzione. Pitfall! fu il primo titolo a proporre un personaggio umano animato, con tutti i limiti della tecnologia dell’epoca, Prince of Persia il primo a proporre un protagonista dotato di animazioni davvero realistiche, fluide e coerenti. E poi l’azione suddivisa in schermate fisse, i salti da eseguire con tempismo…
Certo le differenze tra i due titoli sono enormi, ma le lontane radici di POP sono evidenti. 11
Il Ritorno del Principe di Persia
Come i giocatori un po’ più smaliziati si ricorderanno, furono ben tre i Prince of Persia che calcarono il palcoscenico videoludico: i primi due realizzati tra il 1989 ed il 1993 ad opera del buon Mechner, secondo un’impostazione inevitabilmente bidimensionale, mentre il terzo vide la luce nel 1999, come tentativo (piuttosto malriuscito, ad essere sinceri) di traghettare la saga nelle tre dimensioni. Dopo quattro lunghi anni il franchise è passato in mano ad Ubisoft, e con l’aiuto di Mechner la software house francese ha intrapreso l’ambizioso progetto di restituire alla serie il suo smalto originale, sfruttando però le imponenti risorse che le piattaforme attuali mettono a disposizione. Con risultati che sono davvero strabilianti: gli sviluppatori sono riusciti a mantenere inalterato lo spirito del gioco, pur aggiornando il gameplay ed adattandolo ad un mondo completamente tridimensionale. La meccanica di gioco ora ricorda molto da vicino Ico, alternando fasi di furioso combattimento a fasi di esplorazione del palazzo, tra piattaforme sospese e trabocchetti macchiavellici che faranno arrovellare i giocatori, alla costante e disperata ricerca di una via di salvezza. Gli enigmi, elemento portante del gioco, sono sempre logici e mai frustranti, spesso accompagnati da una rapida carrellata della telecamera ad indicarci la strada corretta da seguire, lasciando sovente a bocca aperta il giocatore per la spettacolarità dei passaggi in cui cimentarsi. La presenza dell’avvenente Farah ad accompagnarci subito dopo le fasi iniziali del gioco (elemento che richiama ancora più marcatamente Ico, seppure qui Farah svolga un ruolo decisamente più attivo ed indipendente di Yorda) fornisce al giocatore un ulteriore supporto per la risoluzione degli enigmi, che spesso richiedono l’azione combinata dei due personaggi per essere superati, anche se la scelta di non rendere la ragazza direttamente controllabile comporta qualche (raro, per fortuna) problema di coordinazione, con la fanciulla che rimane irrimediabilmente bloccata in qualche punto del livello costringendoci a ricaricare la posizione salvata. Fondamentale anche l’introduzione della sabbia del tempo che fa da sottotitolo al gioco: si tratta di un misterioso artefatto magico che ci fornisce, previo riempimento di un’apposita barra con le ricariche che si trovano sparse per i livelli oppure uccidendo i nemici, il potere di riavvolgere e bloccare il flusso temporale, regalando al giocatore la possibilità di ripetere passaggi male interpretati e conclusi non per il verso giusto, o magari paralizzare i nemici nelle situazioni più calde, fornendo una comodissima seconda (ma anche terza, quarta…) chance che permette di evitare una prematura dipartita.
I combattimenti sono estremamente dinamici e rappresentano un piacevole diversivo all’esplorazione, in particolare dopo che Farah si sarà aggregata a voi, dato che con il suo arco è in grado di fornire un ottimo supporto ma vi costringerà ad un continuo lavoro di difesa (è infatti piuttosto gracilina ed indifesa agli attacchi nemici: inutile dire che la sua morte comporterà un immediato game over), tuttavia, specie nella seconda metà dell’avventura, tendono a diventare un po’ ripetitivi ed invadenti, impegnandovi in lunghe sessioni contro orde fin troppo numerose di avversari.
La leggenda continua
Oltre che per il gameplay, l’originale Prince of Persia si conquistò le luci della ribalta grazie ad un comparto tecnico assolutamente all’avanguardia per l’epoca, ed ovviamente questo nuovo episodio targato Ubisoft non può esimersi dal fare altrettanto. Basta anche solo una semplice occhiata alla ricchezza delle enormi ambientazioni, rigogliose e brulicanti di particolari come non mai, accompagnate da texture che stupiscono per bellezza e dettaglio, per rendersi conto di come l’hardware del monolite sia stato spremuto davvero fino all’osso. I modelli dei personaggi, pur non abbondando in quanto a poligoni, lasciano a bocca aperta per la varietà e la cura delle animazioni (giusto per sparare qualche numero, sappiate che il solo protagonista può vantarne qualcosa come ben 750), mentre la pletora di effetti speciali, come la splendida realizzazione dell’acqua, oppure gli evocativi giochi di luce e trasparenza, contribuiscono a creare un’atmosfera davvero senza eguali. L’eccezionale motore grafico, evoluzione del JADE sviluppato dal team responsabile di Beyond Good & Evil, riesce a muovere tutta questa meraviglia a 30 FPS, perdendo sporadicamente qualche colpo solo nelle situazioni più caotiche e sature di dettagli, ma senza creare mai problemi al giocatore.
Fantastico il comparto sonoro, caratterizzato da un accompagnamento musicale non troppo vario ma davvero ben realizzato, con motivetti che riprendono i temi dell’originale Prince of Persia, rimodernati però in chiave “rockettara”. Particolare, seppur a nostro avviso azzeccata, la scelta di limitare le musiche alle scene di combattimento o agli intermezzi, in modo da lasciare il giocatore in balia dei soli effetti sonori durante l’esplorazione, garantendo, grazie agli effetti di riverbero ed eco, un’atmosfera estremamente suggestiva e credibile. Buono anche il doppiaggio (in italiano), che in virtù dell’elevato numero di battute scambiate dai due protagonisti assume un ruolo molto importante per il coinvolgimento del giocatore.
La longevità si attesta su livelli più che buoni considerando il genere, richiedendo circa una quindicina di ore per portare a termine il titolo, e seppur la particolare tipologia di gioco non si presti molto ad essere rigiocata, l’inclusione dell’originale Prince of Persia, come bonus da sbloccare nel corso dell’avventura principale, rappresenta un valore aggiunto al prodotto sicuramente gradito. Oltre che, ovviamente, una ghiotta possibilità per riscoprire una delle pietre miliari del firmamento videoludico.
Commento
Prince of Persia: Sands of Time riesce nell’arduo obbiettivo di riportare in auge una serie che ha segnato la storia, aggiornandola ai canoni del videogioco moderno, ma senza snaturarne lo spirito che l’ha resa immortale. Raramente infatti il passaggio alle tre dimensioni è stato così efficiente, capace soltanto di migliorare la meccanica di gioco, arricchendola di nuove situazioni e variandola nella sostanza. Un po’ Ico, un po’ Blinx (limitatamente alla possibilità di manipolare il tempo, per fortuna), con evidenti influenze cinematografiche da titoli come Matrix e La Tigre e il Dragone per quanto riguarda il sistema di combattimento, questo nuovo prodotto Ubisoft riesce ad accontentare davvero tutti, dai nostalgici fan della serie al giocatore meno smaliziato, che non ha potuto apprezzare i vecchi capitoli. Insomma, un titolo che davvero non può mancare nella collezione di nessun videogiocatore che si rispetti ed uno dei migliori giochi per PlayStation 2 di sempre.
- Pro:
- Tecnicamente straordinario
- Giocabilità immutata
- Enigmi sempre logici e coerenti
- Contro:
- Combattimenti che tendono ad essere leggermente invadenti
- Qualche sporadico bug nella gestione di Farah
Correva la seconda metà degli anni ‘80, il mercato videoludico non rappresentava nemmeno un’unghia di quello attuale, eppure era l’ambiente ideale per molti game designer emergenti, liberi di scatenare la propria creatività nel coltivare quella che era una passione prima che un business. Era l’epoca in cui molti nomi illustri ottennero la definitiva consacrazione, in cui nacquero titoli che oggi chiamiamo classici, in cui il videogioco era considerato un passatempo per pochi, piuttosto che l’importante media che è ora. Fu proprio questo il periodo (era il 1989, per essere precisi) in cui il mondo imparò a conoscere Jordan Mechner, ambizioso game designer che, reduce dal debutto con Karateka, sbalordì la comunità videoludica con un titolo il cui impatto sul panorama contemporaneo fu devastante, una vera e propria pietra miliare da cui intere generazioni di giochi hanno saputo trarre ispirazione. Di cosa stiamo parlando? Ma di Prince of Persia, naturalmente!