Quante volte vi è capitato di sentire parlare i vostri nonni, o i vostri genitori, di come la tecnologia abbia fatto passi da gigante? Eeeh, "ai miei tempi la televisione era in bianco e nero": una frase che avrete sentito dozzine di volte, senza poter però assaporare quel momento di incredulo stupore in cui i vostri occhi si posavano per la prima volta su uno schermo a colori. Per i videogiocatori più vecchierelli una situazione simile, tutto sommato,
si è verificata quando Nintendo lanciò il primo Game Boy Color nel 1998, abbandonando la monocromia e intraprendendo un sentiero che l'ha portata, più di dieci anni dopo, a realizzare la prima console portatile 3D. Di acqua sotto i ponti ne è passata, e adesso non ne potremmo parlare neppure se non ci fosse stato un arzillo ometto giapponese di nome Gunpei Yokoi. Il prossimo 4 ottobre saranno passati 15 anni dalla sua scomparsa: ma chi era Gunpei Yokoi e in che modo ha cambiato per sempre il mercato dei videogiochi?
Umili origini
"Sempre due ce ne sono, né più né meno. Un maestro, e un apprendista" diceva Yoda alla fine de La Minaccia Fantasma, e la regola dei Sith vale anche in questo caso dato che Gunpei Yokoi è stato il mentore di uno sviluppatore giapponese "abbastanza" famoso: Shigeru Miyamoto. Incredibile? Non proprio. Gunpei Yokoi nasce nel 1941 a Kyoto e trascorre una vita tranquilla e banale, laureandosi in elettronica presso l'università di Doshisha. Viene assunto poco tempo dopo da Nintendo:
è il 1965 e Gunpei Yokoi deve occuparsi dei marchingegni che assemblano le carte Hanafuda di Nintendo che, a quei tempi, ai videogiochi neanche ci pensava. Alcuni anni dopo, la fabbrica presso cui lavorava Yokoi fu visitata dal presidente di Nintendo in persona, Hiroshi Yamauchi, il quale rimase talmente colpito da un giocattolo che Yokoi aveva realizzato per sé nel tempo libero al punto da ordinarne una produzione in massa da distribuire entro Natale. Il giocattolo, rinominato Ultra Hand, fu un successo straordinario: sostanzialmente si trattava di un meccanismo composto da due aste di plastica incrociate, che permettevano di afferrare piccoli oggetti stringendo le manopole all'estremità opposta. Le vendite di Ultra Hand fecero guadagnare a Yokoi una bella promozione: iniziò dunque a lavorare per Nintendo su numerosi giocattoli, tra i quali spiccavano una sorta di versione cilindrica del famigerato cubo di Rubik e una macchinetta che sparava palline morbide da battere con una specie di mazza da baseball. L'inventiva di Yokoi non passò certo inosservata. Quando Nintendo decise di cominciare a sviluppare videogiochi, fu proprio Gunpei Yokoi uno dei primi designer a cui si rivolse.
Game & Watch
All'inizio degli anni ottanta, Yokoi ebbe un ruolo importantissimo nell'evoluzione di Nintendo. In primo luogo, progettò i primi sistemi portatili per videogiochi: l'idea del Game & Watch gli venne osservando, sul treno, un uomo d'affari impegnato a giocherellare con la sua calcolatrice. Yokoi pensò a una sorta di orologio multi funzione che permettesse anche di giocare: in realtà, non era certo per leggere l'ora che furono acquistato più di quaranta milioni di unità. I Game & Watch furono uno dei primi grandi successi di Nintendo e diedero il via alla moda del videogioco portatile, al punto da essere copiati anche da altre ditte, come Tiger. Il tipico Game & Watch era sottile e di piccole dimensioni, sebbene ne esistessero alcuni (chiamati Multi Screen) provvisti di due schermi e chiusura a conchiglia:
praticamente lo stesso design riutilizzato da Nintendo per Game Boy Advance SP e Nintendo DS. Alimentati da semplici batterie per orologi, i Game & Watch erano piccoli videogiochi passatempo che spesso proponevano due modalità o difficoltà di gioco. Nel 1982, Yokoi progettò anche quella che sarebbe diventata la croce direzionale standard nei controller per videogiochi, ricevendo perfino un premio ufficiale. Nintendo produsse numerosi tipi di Game & Watch, ciascuno legato a un gioco differente per via dello schermo LCD segmentato pre-stampato: a distanza di anni, Game & Watch resta un marchio molto caro anche e sopratutto ai nostalgici, tant'è che tra il 1995 e il 2002 sono stati ristampati svariati Game & Watch, e alcuni software fanno tuttora capolino anche nel servizio DSiWare, all'insegna del vintage. Ma mentre Nintendo si godeva il successo internazionale di Game & Watch, distribuito in numerosi paesi, Italia compresa, Yokoi era già tornato a lavoro. Aveva intuito che era quella la direzione giusta da prendere, quella dell'intrattenimento portatile. Insieme allo stesso reparto responsabile del Game & Watch, chiamato anche RD1 (Ricerca e Sviluppo), Yokoi cominciò a lavorare su un nuovo handheld.
Pensiero laterale
Nel frattempo, Yokoi si ritrova a supervisionare un nuovo videogioco arcade: è il 1981, stiamo parlando di Donkey Kong. Gunpei Yokoi segue da vicino lo sviluppo del gioco e diventa un vero e proprio mentore per il suo creatore, Shigeru Miyamoto, al quale insegna la sua filosofia di game designer e tutti i trucchi del mestiere. Il progetto Donkey Kong, in effetti, viene approvato proprio perché è Gunpei Yokoi a metterci una buona parola, portandolo all'attenzione del presidente Yamauchi.
Insieme a Miyamoto, Yokoi crea praticamente la "base" videoludica dell'universo Nintendo. È lui a suggerire i super poteri salterini dell'idraulico Mario e la possibilità di giocare con un amico a Mario Bros. È sempre lui a supervisionare lo sviluppo di Kid Icarus e Metroid. E in seguito, sarà lui a disegnare la Principessa Daisy di Super Mario Land. Un po' sviluppatore, un po' designer, Yokoi nel frattempo si dedica anche ai suoi giocattoli: nel 1985 si inventa R.O.B., quel robottino per NES che in Italia pubblicizzava in TV Jovanotti all'inizio degli anni novanta. R.O.B. supportava soltanto due giochi e fondamentalmente non serviva a un tubo, ma ebbe un'importanza cruciale nel risollevare gli animi degli investitori dopo la crisi del mercato videoludico del 1983, convincendoli della bontà e innovazione dei sistemi Nintendo.
La filosofia di pensiero su cui Yokoi si basava quando sfornava i suoi "giocattoli" era piuttosto semplice: trovare sempre modi nuovi per utilizzare tecnologie note ed economiche. Secondo Yokoi non era importante che i giocattoli fossero all'avanguardia, ma soltanto che divertissero l'utente; a dirla tutta, secondo lui la tecnologia più avanzata rischiava di boicottare lo sviluppo di un nuovo progetto. Fu così che sviluppò Game & Watch, quando Sharp e Casio stavano combattendo per il mercato dei calcolatori digitali, un mercato con schermi a cristalli quindi e semiconduttori in abbondanza: una tecnologia economica e diffusa che poteva essere sfruttata nel modo appropriato. Quello che Gunpei Yokoi non poteva sapere è che, all'inizio del nuovo millennio, il rifiuto da parte di Nintendo di sfruttare la moderna tecnologica, nella forma dei compact disc, fu la principale causa del fallimento di Nintendo 64 durante la battaglia con PlayStation di Sony per il dominio del mercato.
Il ragazzo dei giochi
D'altra parte, la scelta della monocromia per garantire una maggior durata delle batterie fu uno dei motivi per cui la principale creatura di Gunpei Yokoi, il Game Boy, ad oggi si è già reincarnata già una dozzina di volte o giù di lì, schiacciando senza pietà il suo principale rivale del tempo,
il Game Gear di SEGA, console dai colori sfavillanti e la longevità di una gallina in una gabbia di leoni affamati. Game Gear non era l'unico rivale di Game Boy, per la verità, ma in America SEGA ricorse perfino a campagne pubblicitarie denigratorie nei confronti della console Nintendo. Era il 1989, e Yokoi presentava la sua ultima creazione, sviluppata nel solito reparto RD1, a un prezzo contenuto e con un'autonomia di almeno dieci ore con quattro delle più economiche pile sul mercato. Il portatile Lynx di Atari costava e consumava molto di più, e fu la prima console a sparire dal mercato, schiacciata dalla concorrenza. Con buona pace di SEGA, Game Gear sopravvisse di più grazie anche alla compatibilità con le cartucce per Mega Drive, ma fu spazzato via dopo qualche anno. Nel 1997 il Game Boy, pur monocromatico ed essenziale, in circa sette anni aveva venduto più di sessanta milioni di unità in tutto il mondo. Numerosissime le revisioni della macchina, dal Game Boy Pocket al Game Boy Light; la più importante di tutte fu sicuramente il Game Boy Color, anche se a quel punto gli sviluppatori cominciavano a sentire il peso della vetusta tecnologia 8 bit e delle limitate palette cromatiche. Accompagnato da un'immensa ludoteca per tutti i gusti, franchise famosissimi e brand estremamente popolari (basti pensare ai Pokémon!) il Game Boy si ritagliò un posto speciale nel cuore di milioni di giocatori, diventando per molti sinonimo di videogioco. E Yokoi, in quegli anni, non era rimasto con le mani in mano: mentre gli altri reparti di Nintendo si concentravano sullo sviluppo del successore dello SNES, Nintendo 64, Yokoi era libero di sperimentare nuove idee e tecnologie che assunsero la forma del Virtual Boy. La nuova console, però, fu un vero disastro.
Addio, Gunpei
L'idea di Yokoi era quella di spingersi là dove nessun'altra società era mai giunta prima: nel campo delle tre dimensioni e della realtà virtuale. A conti fatti, Virtual Boy era una macchina scomoda e ingombrante, decisamente inadatta al gioco portatile, benché venduta come tale, che sfruttava una tecnologia astrusa basata sull'illusione ottica tramite effetti di parallasse: in sostanza il giocatore infilava la faccia in questa specie di mascherone e guardava le immagini proiettate attraverso questi strambi occhiali in neoprene. Anche le immagini del Virtual Boy erano monocromatiche, in rosso per la precisione: una scelta proprio operata da Yokoi, dovuta al tentativo di abbassare i costi tramite i LED più economici sul mercato.
E tuttavia, la console era tutt'altro che economica: costava molto di più del Game Boy e proponeva molti meno giochi. La campagna promozionale fu altrettanto disastrosa: nonostante gli slogan aggressivi, Nintendo commise l'eclatante errore di consentirne l'affitto, scoraggiando definitivamente i potenziali acquirenti. Alla fine del 1995, ad appena un anno dal lancio e con soltanto ventidue giochi, Nintendo cessò la produzione di Virtual Boy senza tante cerimonie. Nel 1996, dopo trentun anni dalla sua assunzione, Yokoi lasciava Nintendo. Le sue dimissioni non avevano direttamente a che fare con il fallimento del Virtual Boy; secondo il suo collega Yoshihiro Taki, Yokoi aveva pianificato di ritirarsi dall'industria una volta raggiunti i cinquantanni. Tuttavia Yokoi non si ritirò affatto: lasciò Nintendo insieme a vari colleghi e con essi formò una nuova compagnia chiamata Koto, sviluppando per Bandai un altro portatile monocromatico, WonderSwan. Yokoi non vide mai il frutto del suo nuovo lavoro. Il 4 ottobre 1997, Yokoi stava guidando sulla Hokuriku Expressway, accompagnato dal suo socio Etsuo Kiso. Si trattava soltanto di un semplice tamponamento: Yokoi aveva urtato il veicolo di Takashi Okushima e i due conducenti erano scesi dalle loro auto per osservare i danni. Fu in quel momento che prima un auto, poi un'altra, investirono in pieno Yokoi, mettendo fine alla vita di uno dei più brillanti game designer della storia.