Dopo aver parlato della nuova missione single player (che trovate poco sotto) è ora, ad embargo scaduto, di condividere le nostre sensazioni riguardo la sessione multiplayer nei panni delle forze speciali in Medal of Honor: Warfighter. Il test avrebbe dovuto comporsi di cinque mappe, ma a causa di alcuni problemi che hanno funestato il codice (e che gia avevano afflitto la campagna) abbiamo "solamente" provato quattro mappe, con tre diverse modalità di gioco a disposizione. Le ambientazioni più grandi, ovvero Somalia stronghold, Al Fara Cliffside e la strepitosa Shogore Valley hanno tutte messo in mostra un level design sopraffino, riuscendo a creare in modo intelligente un campo di battaglia capace di non limitare nessuna delle classi a disposizione. In questa sede non torneremo a descrivere esaustivamente le diverse "tipologie di soldato" a disposizione avendo gia affrontato più volte e approfonditamente l'argomento, basta semplicemente dire che tutte le peculiarità possono essere messe alla frusta in modo coerente, non ci sono insomma situazioni o strozzature che castrano il divertimento scegliendo il cecchino invece che il "tank".
Un campo da gioco perfetto
Proprio quest'ultimo, ovvero il demolitore russo che come abilità speciale può indossare una tuta balistica, sacrificando la velocità al costo di una resistenza maggiore ai colpi, è perfetto per le strette stradine somale o di Al Fara, ma al contempo le lunghe linee di tiro, le piazze, i crocicchi, e le numerose zone rialzate sono perfette per il continuo fuoco di soppressione tramite treppiedi del mitragliere inglese di supporto o per il letale cecchinaggio dalla distanza.
Alla stessa maniera la possibilità di vedere per un breve istante grazie agli infrarossi chi si cela dietro gli angoli, rende lo Spec Ops americano la scelta perfetta per sfruttare alla perfezione le contorte vie di fuga e di defilamenti strategicamente disposti intorno alle "zone calde". Anche perchè Medal of Honor: Warfighter punta tutto sul gioco di squadra e sulla cooperazione. In tal senso, tanto il sistema del Fire Team - ovvero l'essere sempre legato ad un compagno di squadra mediante tag a schermo, con vantaggi sul respawn e sulla crescita del proprio contatore delle azioni di supporto - tanto le modalità di gioco a disposizione sono pensati proprio per rendere le partite il più tattiche e "ragionate" possibile. Shogore Valley giocata come Combat Mission con ticket di respawn decrescenti ne è un'esempio perfetto. L'assalto ad un compound terrorista in Afghanistan viene reso alla perfezione, costruendo una mappa per certi versi che ricorda quelle montane di Battlefield 3. Si parte con la squadra che attacca che deve scalare una montagna, tra avvalamenti, alberi e salite, una volta arrivati in cima, in quello che sembra un vero e proprio altipiano, far detonare le bombe in zone decisamente protette, ma comunque costruite con diverse zone di accesso, sbarramenti, e punti elevati dove la squadra, se ben assortita, può sfruttare tutto il suo arsenale in modo intelligente.
Andando poi avanti le salite continuano, visitando un poligono di tiro, una serie di edifici, il tutto circondato da camminamenti, balconate, strozzature e passaggi laterali. Una mappa che molto probabilmente diventerà il fiore all'occhiello del gioco, che sancisce la grande capacità di Danger Close di non scontentare nessuno, ne il camper più accanito, ne il "corridore" più indefesso. Siamo poi tornati a giocare nella piccolissima porzione del distrutto stadio di Sarajevo in Home Run, ovvero un veloce e freneticissimo Capture the Flag, senza respawn, con le due squadre che devono, quasi come in una sorta di Tower Defence, disporsi tatticamente secondo i ruoli per dare l'assalto o difendere la propria zona di partenza, il tutto con solo due punti di accesso. Spazi stretti, grande uso di fuoco di soppressione, di granate e tanta paura nello svoltare gli angoli ciechi degli edifici diroccati dello stadio. Questa ennesima prova di Medal of Honor: Warfighter conferma le sensazioni positive avute nei precedenti incontri. Questa volta Danger Close sembra aver capito cosa serve per rendere il gioco il più peculiare possibile. La personalità aumenta ad ogni test, cosa questa che mancava nel primo capitolo del reboot, e senza dubbio l'inedito sistema di classi ha tutte le carte in regola per reggere le bordate in arrivo dalla concorrenza.
Lo sbarco
La missione single player testata ha visto le forze speciali americane lanciarsi in caduta libera da un aereo di trasporto, con tanto di gommone a rimorchio, per tentare l'infiltrazione poco silenziosa in una città portuale somala.
La bella scena in computer grafica ambientata nella pancia dell'aereo che ha preceduto la battaglia ha messo subito in chiaro uno dei fondamenti del franchise, ovvero l'attenzione alle storie personali dei protagonisti, cosa questa perfettamente in linea con la voglia di raccontare con crudezza e rispetto la vita vera degli uomini in guerra. Il cameratismo regna sovrano, non siamo certamente di fronte ad una introspezione psicologica a tutto tondo, ma una semplice e fulminante battuta getta una luce profonda sull'amicizia fraterna che lega i soldati, il tutto nell'ottica di un forte senso di immedesimazione rispetto al semplice guscio vuoto che spesso è la prassi in titoli del genere.
Casa per casa
Una volta a terra, anzi in acqua, il gruppo ha dato l'assalto ai primi difensori della città, spostandosi di copertura in copertura tra i flutti, una sorta di sbarco in Normandia in miniatura, ma comunque efficace visto che il primo edificio da bonificare, costruito presumibilmente in barba al piano regolatore direttamente sul mare, ha ospitato numerosi cecchini e milizie locali armate di Kalashnikov e mitragliatrici leggere. Una volta entrati nel palazzo abbiamo fatto conoscenza col sistema di irruzione.
Accanto alla porta è possibile scegliere come prendere di sorpresa i nemici: appare una ruota dalla quale scegliere se usare un calcio, una carica di esplosivo o colpi di fucile sui cardini. Non tutto è disponibile da subito però. Una volta entrati con un bel calcione e tanto di flashbang per ammorbidire gli astanti, grazie al solito bullet time abbiamo con facilità fatto fuori tutti i nemici. Colpendoli in testa è possibile riempire un contatore che presumibilmente sblocca nuove possibilità di irruzione. In tal senso, dopo quattro headshot possiamo utilizzare il tomahawk, arma secondaria comunque presente per il corpo a corpo. La missione è continuata mettendo in scena il più classico dei combattimenti casa per casa: spazi stretti, raffiche brevi e piccoli ripari dai quali fare capolino. Se poi una struttura gigantesca diventa un'ostacolo insormontabile, piena zeppa di nemici armati di tutto punto, c'è sempre la possibilità di farla bombardare, utilizzando il puntatore laser. Un paio di JDAM ben piazzate e la battaglia ricomincia, ma qui tra polvere e strutture pericolanti i soldati hanno preferito utilizzare il piccolo drone su cingoli armato di lanciagranate e Minimi.
Dalla prima persona ad altezza d'uomo si passa a quella terra terra ad altezza robot. Apriamo la strada agli uomini insomma, prendendo alle spalle un paio di nemici e dando man forte ad un gruppo di commilitoni caduti in un'imboscata da tiri di cecchino e RPG. Una volta fuori uso il drone, siamo "tornati in noi", non prima però di aver ripulito un palazzo di fronte e di aver aggirato con la solita tecnica una mitragliatrice sul cassone. Uno dei punti cardine di questo Medal of Honor: Warfighter sembra essere la presenza continua di passaggi laterali per prendere d'infilata gli avversari, il tutto però all'interno di un contesto estremamente lineare e scriptato. Messa fuori uso la jeep abbiamo quindi iniziato a bersagliare cecchini e RPGisti salendo sui piani alti di un palazzo, ribaltando quindi l'imboscata. Rimanendo sui tetti abbiamo abbandonato il fucile d'assalto per imbracciare un grosso fucile da cecchino, di quelli bolt action a colpo singolo, dalla generosa ottica e dall'altrettanto generoso rinculo. In attesa della cavalleria (dell'aria) abbiamo dovuto ripulire dai nemici un palazzo vicino, ma contrariamente al solito hitscan, il proiettile ha una traiettoria realistica, la balistica gioca quindi un ruolo importante. Non stiamo certamente parlando di un qualcosa di proibitivo, non c'è da calcolare vento, umidità e forza di Coriolis, ma senza dubbio è apprezzabile che non basta sparare in linea retta per colpire, anticipare il movimento degli avversari e intuire la traiettoria parabolica del colpo è qualcosa che bisogna tenere in conto. Anche perchè se non si è abbastanza veloci i numerosi RPG ci fanno a pezzi, col rischio di dover iniziare di nuovo la sezione. Successivamente, dopo aver assistito ad un nuovo filmato, quello dell'attentato alla metro di Madrid, avremmo dovuto giocare una missione in auto, realizzata direttamente da Criterion chiamata Hot Pursuit, ma per motivi tecnici non è stato possibile. Da quel poco che abbiamo potuto osservare però, non sembra il solito livello di alleggerimento tra una sparatoria e l'altra, ma una sezione racing vera e propria, con tanto di visuale dall'abitacolo e col marchio di fabbrica del traffico super congestionato a rendere il tutto davvero complicato. Questo nuovo incontro con Medal of Honor: Warfighter ci ha lasciato sensazioni positive, lo schema dello sparatutto lineare e scriptato c'è, è innegabile, ma sembra comunque che il level design spinga per allargare gli spazi creando defilamenti e zone sopraelevate per variare l'azione. Parlando di grafica, giocato su PC a dettaglio massimo, il nuovo lavoro di Danger Close non ci ha particolarmente impressionato, non sembra raggiungere le vette sublimi di Battlefield 3 nonostante utilizzi lo stesso motore, ma comunque l'impatto è notevole, anche se paga un pò in termini di dettaglio (non dei modelli dei soldati) e distruzione ambientale, qui "ridotta" alle sole coperture, e non alla totalità degli ambienti.
CERTEZZE
- Il level design sembra allargare gli spazi
- Il sistema delle classi funziona
- Sezione sniping non banale
- Criterion ha realizzato il livello in auto
DUBBI
- Conosciamo ancora poco dell'evoluzione della storia
- Tecnicamente non al pari di Battlefield 3