Il nostro precedente speciale sulle risoluzioni video ci ha suggerito un nuovo spunto di analisi, strettamente correlato ed estremamente spinoso, quello dei fotogrammi al secondo, o semplicemente FPS, utilizzati in questa generazione di console. Un parametro rilevante nelle valutazioni dei giochi, soprattutto in relazione ad eventuali cali del framerate che possano comprometterne la fruizione. Ma quanto sappiamo sulla percezione della fluidità da parte dell'occhio umano? Esiste veramente una differenza percettibile tra i trenta e i sessanta fotogrammi al secondo? E quale tra i due standard risulta il più adatto per le produzioni presenti e future? Seguiteci per scoprire le risposte.
Solo per i tuoi occhi
Tanto per cominciare occorre fare un salto indietro. Pensiamo al fatto che il cinema muto raramente arrivava a 18 fotogrammi al secondo, e solo con il colore si è raggiunto uno standard equivalente a 24 fotogrammi, le pellicole in 8mm arrivano a 16 FPS e lo standard televiso europeo a 25. Eppure mai nessuno vi dirà che un film o una trasmissione risultano scattosi, mentre simili valori in un videogioco sarebbero scarsamente accettabili. Il motivo può essere analizzato da due punti di vista: il primo è che i videogiochi rappresentano un caso praticamente unico nell'universo dei media audiovisivi, il secondo è che la percezione del movimento da parte dell'occhio umano segue schemi ancora non del tutto chiariti dalla scienza. In origine si pensava che l'effetto fosse conferito dalla persistenza delle immagini nella retina, successivamente questa teoria è stata confutata da un nuovo studio che ritiene il cervello come principale responsabile della interpretazione delle immagini, attraverso un vero e proprio montaggio dei vari fotogrammi detto "fenomeno phi".
Quel che è certo è che l'occhio è perfettamente in grado di riconoscere valori superiori ai trenta fotogrammi al secondo, ma che questa capacità risulta influenzata da diversi fattori, non ultimo quello della soggettività. Ecco perché non tutti sono in grado di capire esattamente il livello di fluidità offerto da un videogioco, molti spettatori si ritengono sostanzialmente soddisfatti una volta raggiunta la soglia della corretta percezione di movimento (illusione del flusso continuo). Non dimentichiamo poi che ad un crollo di framerate segue una catena di problematiche non indifferenti. A partire dal fenomeno denominato input lag, ovvero il ritardo tra gli impulsi del controller e l'azione effettuata a video, fino allo screen tearing, fastidioso artefatto video che si verifica in assenza di sincronia verticale, spezzando letteralmente lo schermo in due su una linea orizzontale. Entrambi sono deficit che pesano come macigni in questo tipo di valutazione, pensiamo per esempio alla saga di Assassin's Creed, da sempre afflitta dall'annoso problema del tearing.
La rivoluzione del motion blur
Per quale motivo il videogioco rappresenta un caso così unico? Per la sua stessa natura fatta di immagini artificiali e movimenti rapidi, che impone un elevato numero di fotogrammi per dare l'illusione del flusso continuo. Escludendo ovviamente tipologie di prodotti come le avventure grafiche, un videogioco è paragonabile a una complessa scena d'azione ripetuta all'infinito. Chiedete a un animatore l'importanza del numero dei disegni di intercalazione in una sequenza ad alto budget, vi risponderà che questi aumenteranno vertiginosamente in proporzione alla complessità dell'azione.
Nel campo cinematografico per fluidificare le scene veloci si cerca di evitare fotogrammi statici, ma piuttosto se ne utilizzano alcuni generati da immagini bloccate in movimento. È sostanzialmente la tecnica della sfocatura, o motion blur, che permette a un film di risultare sufficientemente fluido all'occhio anche senza un numero esorbitante di fotogrammi. In ambito console siamo rimasti un po' tutti influenzati dal mito dei sessanta fps, prediletti soprattutto per gli sportivi ed i racing game, che hanno elevato questo standard nello splendore delle sale giochi, trasmettendo grandi aspettative nelle conversioni casalinghe, anche se non sempre mantenute (celebre il framerate ballerino di Sega Rally 2 per Dreamcast). L'inevitabile evoluzione dei videogiochi verso forme sempre più simili alla realtà ha obbligato gli sviluppatori, specie quelli occidentali, ad accettare compromessi sul framerate, abbracciando filosofie simili a quelle utilizzate nel cinema. Un passaggio per certi versi rivoluzionario è stato proprio quello effettuato da Project Gotham Racing 3 nel 2005, il primo titolo di corse su console ad utilizzare il motion blur per compensare la mancanza di fotogrammi posseduti, giusto per citare un equivalente temporale, da Ridge Racer 6. Nonostante quindi girasse a 30 FPS, il titolo di Bizarre Creations riusciva a ottenere una buona sensazione di fluidità, tanto da ingannare molti giocatori sul suo effettivo framerate.
Qualità d'immagine o fluidità?
Altri generi non possono usufruire dei medesimi escamotage, perché andrebbero a scapito della comprensibilità dell'azione. È il caso per esempio dei già citati titoli sportivi come le simulazioni di calcio, che non possono fare uso del motion blur fuori da eventi circoscritti come un replay, perché ciò renderebbe problematico anche capire cosa sta accadendo in campo o seguire semplicemente il pallone. Serie come quelle di Fifa, Pro Evolution Soccer o NBA 2K adottano quindi i sessanta fotogrammi come standard assoluto, ma risultano agevolate dal fatto di essere produzioni imperniate sull'intelligenza artificiale prima della complessità grafica.
Per quanto concerne gli sparatutto il discorso si fa più complicato, in quanto gli sviluppatori hanno dimostrato una certa difficoltà a mantenere framerate stabili su questa generazione di console, legati come sono ad architetture chiuse ed immutabili, spesso faticando anche a raggiungere la soglia minima di tollerabilità. Considerata la parentela sempre più stretta con il mondo PC è impossibile non riconoscere un gap tecnologico che si fa in certi casi piuttosto vertiginoso (vedi la saga di Crysis). Particolarmente significativo si è rivelato il compromesso per agevolare l'impatto visivo a scapito della fluidità. In questo quadro produttivo si è fatto strada, diventando per certi versi un vero e proprio segno distintivo di questa generazione, l'utilizzo degli effetti video. Non solo il già citato motion blur, ma soprattutto le fonti di luce e gli effetti particellari. Titoli come Killzone 3 non girano certo a sessanta fotogrammi, ma riescono a rendere una qualità di immagine di stampo fotorealistico, abusando con effetti di ogni genere e compensando con il motion blur alla carenza di fotogrammi nelle azioni rapide.
È importante ricordare che simili tecniche prevengono anche il motion sickness, un disagio del tutto paragonabile al "mal di macchina", provato dalla spettatore davanti a scene eccessivamente fluide e rapide. Altre produzioni si presentano invece come vere mosche bianche: è il caso di Rage di id Software, un mostro tecnologico in grado di muovere un'elevata mole di poligoni e garantendo l'agognato picco dei sessanta FPS, a scapito però della qualità di immagine, che risulta maggiormente elementare, quasi fumettosa e con texture non particolarmente definite. La stessa considerazione possiamo farla per altri titoli: Gran Turismo 5, Wipeout Fury HD, Daytona USA, Dead or Alive, Virtua Fighter 5, Ninja Gaiden, Forza Motorsport 4, sono tutte produzioni che per naturali esigenze ludiche prediligono la fluidità sul mero impatto visivo. La sindrome della tovaglia corta si palesa invece in casi come Far Cry 3 che, probabilmente a causa della natura open world e l'alto livello di dettaglio, fatica considerevolmente a tenere il passo con le versioni PC in termini di fluidità.
Questione di priorità
Cosa possiamo ricavare quindi da questa analisi? Che l'occhio umano è perfettamente in grado di rilevare un numero superiore a 30 FPS, anche se non sono del tutto chiare le modalità, ma che questa capacità risulta influenzata da soggetto a soggetto, mentre per tutti un valore inferiore ai 25 fotogrammi rende una sensazione di scarsa fluidità, compromettendo la fruizione di un videogioco. Tuttavia prima di inneggiare a una prossima generazione ancorata ai sessanta fotogrammi occorre porsi una domanda: è preferibile una qualità di immagine sempre più fotorealistica o una fluidità senza compromessi?
È alquanto improbabile che le nuove console siano in grado di conciliare le due esigenze, considerando anche l'aumento delle risoluzioni, mentre sono stati appurati i risultati benefici degli effetti speciali applicati ai fotogrammi intermedi, come il motion blur, per compensare le azioni con movimenti veloci e rendere un effetto molto simile a quello ottenuto con un elevato numero di frame. Non per ultimi, i fenomeni dell'input lag e lo screen tearing conseguenti a un crollo del framerate sono i principali fattori di disturbo alla fruizione di un videogioco, e la loro eliminazione dovrebbe rappresentare l'obiettivo primario di qualsiasi produzione. In fin dei conti possiamo affermare che, almeno su determinati generi, non vi è una vera necessità di superare la soglia dei trenta fotogrammi, purché costanti, e rimane quindi agli sviluppatori il margine per curare altre caratteristiche.