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Only on PlayStation (Japan)

Ovvero una rassegna dei giochi per le console Sony che, purtroppo o per fortuna, non sono mai arrivati da noi

SPECIALE di Tommaso Pugliese   —   13/03/2014

Il mercato dei videogiochi giapponesi, nella fattispecie quelli che non hanno mai goduto di una distribuzione occidentale (o che magari si sono fermati a una stentata release americana), nasconde alcune gemme inedite ma al contempo titoli francamente improponibili, che per un motivo o per l'altro non potrebbero mai incontrare il gusto degli utenti nostrani. La stessa line-up nipponica di PlayStation 4 include produzioni che difficilmente varcheranno i confini del Giappone, e questo ci ha fornito lo spunto per fare una piccola rassegna di giochi "Japan Only" usciti nel corso degli anni sulle console Sony ma che mai e poi mai verranno importati ufficialmente in Italia. Dalle esplorazioni psichedeliche di LSD agli animali antropomorfi in stile Miyazaki di Tail Concerto, dai combattimenti con mostri e robot giganti ai simulatori di treno in full motion video, passando naturalmente per qualche ragazza discinta, ecco cosa abbiamo trovato.

Scopriamo insieme quei giochi tutti giapponesi che non sono mai arrivati in Europa

LSD

Uscito su PlayStation nel 1998 e sviluppato da OutSide Directors Company, un team completamente sconosciuto al di fuori dei confini nipponici, LSD si pone come un'esperienza di esplorazione psichedelica più che come un vero e proprio videogame.

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Il titolo starebbe per "in logic the symbolic dream", qualsiasi cosa significhi, anche se chiaramente il rimando è al ben noto allucinogeno conosciuto anche come "polvere d'angelo", di cui il nostro Alessio Pianesani è un appassionato consumatore. La cosa interessante è che i livelli del gioco, che vengono proposti in modalità completamente random, si basano sui sogni raccontati nel dream journal di Hiroko Nishikawa. Senza dunque alcuna soluzione di continuità, i contenuti di LSD possono apparire strambi e controversi, spaventare oppure divertire, mentre ci si aggira in prima persona all'interno di scenari tipicamente giapponesi, con i tradizionali templi e i pannelli in carta di riso, che si alternano a panorami pieni di colori acidi, con strane creature che si muovono e oggetti sospesi nel vuoto. L'esperienza potrebbe senz'altro guadagnare punti se accompagnata all'uso di cannabis... ma non vi stiamo dando un suggerimento, sia chiaro.

Tail Concerto

Fra i primi videogame realizzati da CyberConnect2, Tail Concerto (PlayStation, 1998) è uno di quei titoli che ci sarebbe tanto piaciuto giocare ma che purtroppo hanno a stento goduto di una distribuzione negli USA, peraltro viziata da una serie di problematiche legate alla localizzazione in inglese.

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Il gioco si presenta come un action adventure in terza persona in cui vestiamo i panni di Waffle, un cane antropomorfo appartenente al corpo di polizia, che pilota un robot in grado di afferrare praticamente qualsiasi cosa grazie a due lunghe braccia metalliche. Sullo sfondo del Regno di Prairie, un arcipelago fluttuante fra le nuvole, Waffle si trova nel mezzo di uno scontro fra cani e gatti quando la Black Cat Gang irrompe sulla scena, provocando alcuni tumulti. L'obiettivo della squadra di guastatori felini sembra essere quello di entrare in possesso di alcuni misteriosi cristalli che potrebbero riportare in vita un temibile gigante di ferro, lo stesso che secoli prima aveva devastato il regno. Il cane poliziotto decide dunque di partire per sventare questa minaccia, confrontandosi con vari avversari lungo il cammino ed esplorando numerosi scenari per interagire con i loro abitanti. Caratterizzato da un'affascinante ambientazione steampunk e da uno stile di disegno che molti hanno accostato a quello di Hayao Miyazaki, Tail Concerto ha visto alcuni anni fa l'uscita di una sorta di sequel spirituale su Nintendo DS, Solatorobo: Red The Hunter.

Train Simulator Real: The Yamanote Line

Avete sempre desiderato lavorare come conducenti di un treno? Magari in Giappone? Allora è un peccato che Train Simulator Real: The Yamanote Line non sia stato distribuito in occidente, perché vi avrebbe permesso di provare quell'ebbrezza.

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In realtà non si tratta che di uno dei numerosi episodi della serie Train Simulator, nata nel 1995 su PC e poi approdata sulle console Sony a partire dal 2001, appunto con il capitolo basato sulla linea Yamanote. Il gameplay del gioco è piuttosto semplice, nel senso che bisogna affrontare la giornata lavorativa di un conducente e cercare di raggiungere le varie fermate spaccando il minuto, dosando sapientemente acceleratore e gestendo nel migliore dei modi la frenata. A differenza di altri franchise simulativi, come Densha de Go!, il debutto di Train Simulator su PlayStation 2 è stato caratterizzato dall'uso di grafica completamente precalcolata, con veri e propri filmati in full motion video (una tecnologia che all'epoca faceva ancora la sua porca figura) che si sincronizzano con le nostre azioni per fornire una sensazione di realismo. Il successo della serie in patria non accenna a esaurirsi, e infatti dopo i sei episodi per PlayStation 2 ne sono usciti anche due per PSP e due per PlayStation 3, questi ultimi basati sulle linee ferroviarie di Chicago e Taiwan.

Ultraman Fighting Evolution 2

Parlare di videogame prettamente giapponesi, che non hanno goduto di una distribuzione occidentale, senza citare almeno un tie-in di Ultraman sarebbe stato francamente impossibile.

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Il telefilm prodotto da Tsuburaya Productions nel 1966 ha per gli appassionati di fantascienza nipponici la stessa valenza e lo stesso richiamo di uno Star Trek qui da noi, solo che il loro Capitano Kirk, al secolo Shin Hayata, non si limitava a prendere a pugni i Kaiju, ma lo faceva dopo aver assunto la forma di un potentissimo gigante, Ultraman Great. La serie di picchiaduro dedicata a questo iconico personaggio è partita dalle sale giochi, durante gli anni '90, per approdare poi rapidamente su Mega Drive, Super Nintendo e persino 3DO. Nel caso di Ultraman Fighting Evolution 2, uscito nel 2002, parliamo del capitolo di debutto per il franchise Banpresto su PlayStation 2. Grafica migliore, sonoro tratto dalla serie televisiva e la solita formula a combattimenti singoli rendevano questo titolo imperdibile per i fan irriducibili di Ultraman, che potevano divertirsi a picchiare i mostri alieni impersonando non solo il già citato Ultraman Great ma anche alcuni dei suoi più celebri parenti: Zoffy, Ultra Seven, Ultraman Jack, Ultraman Ace, Ultraman Taro e Ultraman Leo.

Mister Mosquito 2

Il primo episodio di Mister Mosquito ha riscosso talmente tanto successo in Giappone da rientrare nella top 10 dei giochi più venduti nel 2001, e ciò gli è valso un biglietto per gli USA e l'Europa.

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Non è però andata allo stesso modo per il sequel, uscito due anni dopo sempre su PlayStation 2, che cambiava ambientazione passando alle Hawaii pur mantenendo lo stesso set di personaggi dell'esordio, ovvero l'allegra famiglia Yamada. Pruriginoso di nome e di fatto, Mister Mosquito 2 ci mette nuovamente al controllo di una fastidiosa zanzara che ha il compito di mettere a segno il maggior numero possibile di morsi sulla vittima di turno, generalmente una bella ragazza, succhiando una determinata quantità di sangue ed evitando di finire schiacciata. Le meccaniche di gioco si rifanno per molti versi a quelle degli action game a sfondo aereo, ma non mancano sequenze basate su minigame, come l'atto stesso di succhiare il sangue e il "combattimento" che si svolge quando la persona che stiamo mordendo finisce per esasperarsi e decide di provare ad attaccarci. Tranquilli: un paio di colpi ben assestati e tornerà a rilassarsi, consentendoci di tornare a succhiarla come se non ci fosse un domani.

Katamari Damacy

Papere canterine? Panda che ballano? Arcobaleni utilizzati a mo' di faretti da discoteca? Rimandi alla sigla di Astroganga? L'intro di Katamari Damacy era questo e altro, e il gioco in sé riservava ancora altre sorprese.

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Uscito su PlayStation 2 nel 2004, il puzzle game di Namco Bandai è stato il capostipite di una serie che vive ancora oggi, seppure di rendita e con fortune alterne. Il concetto di base del gioco è semplice: nei panni del piccolo Principe, dobbiamo far rotolare la nostra pallina appiccicosa, il Katamari appunto, e inglobare lungo il cammino altri oggetti fino a creare un enorme ammasso rotante. Man mano che il "gomitolo" diventa più grosso, può assimilare anche automobili, piccole case, barche e così via, diventando davvero gigantesco durante gli stage più avanzati. La sfida è rappresentata da un tempo limite a nostra disposizione per raggiungere di volta in volta il diametro che ci viene chiesto, il che significa che dovremo scegliere con cura cosa inglobare e i percorsi da intraprendere, perché ce ne sono alcuni più ricchi di una determinata tipologia di oggetti e altri che magari ne comprendono di troppo grossi per il nostro Katamari. Pubblicato praticamente in sordina, Katamari Damacy si è rivelato una "sleeper hit" e ha venduto nel solo Giappone qualcosa come 500.000 copie, guadagnandosi una distribuzione negli USA ma non in Europa. La rivista Time lo ha definito "il più insolito e originale gioco per PlayStation 2". Sono soddisfazioni.

Remote Control Dandy SF

L'idea del ragazzino che tira fuori un radiocomando in stile Gig Nikko per comandare un robot gigante non è nuova, visto che è ciò su cui si basa il cartone animato "Super Robot 28".

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Sandlot, il team autore della celebre serie Earth Defense Force, dunque tutt'altro che nuovo alle più tradizionali tematiche giapponesi dei robot e dei mostri giganti che si affrontano all'interno di dettagliati dioram... ehm, centri urbani, è voluto partire proprio da lì per la serie Remote Control Dandy, di cui SF rappresenta l'episodio di debutto su PlayStation 2, pubblicato nel 2005. Le differenze con il primo capitolo sono fondamentalmente di carattere tecnico, visto che la nuova console Sony consentiva agli sviluppatori di muovere molto più poligoni e inscenare, dunque, combattimenti ancora più spettacolari. Durante le missioni, questa iniezione di potenza si vede tutta e va a sottolineare ulteriormente le potenzialità del prodotto, che rende perfettamente l'idea di controllare una macchina gigantesca, tutt'altro che scattante, intenta a scaricare tonnellate di metallo addosso al nemico di turno, anch'esso rigorosamente enorme. Fra pugni a razzo, raggi protonici, uppercut e tantissime altre manovre, i controlli di Remote Control Dandy SF rendono l'idea di un radiocomando vero e proprio, aumentando il coinvolgimento, specie tra i fanatici del genere robotico. È un peccato che molte delle prerogative del gioco si infrangano contro una pressante ripetitività dell'azione e caricamenti lunghissimi fra un livello e l'altro.

Super Robot Wars Z

E qui entriamo nel classico, nel senso che non esiste un appassionato di manga e anime, ergo di Giappone, che non conosca la serie Super Robot Wars.

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Nata nel 1991 su Game Boy e mai uscita dai confini nipponici, se non attraverso operazioni di localizzazione non ufficiali tramite emulatori, si basava su di un'idea semplice ma tremendamente affascinante: mettere insieme tutti i più celebri super robot della TV, affiancandoli ad alcuni comprimari originali, in uno scontro con gli invasori che si consuma sul campo degli strategici a turni. Ai comandi di Mazinger Z, Grendizer, Getter Robo e poi via via di tantissimi altri eroi metallici, il nostro compito in ogni missione era dunque quello di eliminare tutte le unità nemiche, proteggere degli alleati o raggiungere determinate zone della mappa. Super Robot Wars Z, uscito nel 2008 su PlayStation 2, è il primo episodio ufficiale a essere prodotto da Namco Bandai, nonché quello con il maggior numero di new entry all'interno del roster. Di fianco ai robot classici nominati poc'anzi, il gioco consente infatti di pilotare anche God Sigma, Baldios, The Big-O e altri ancora, introducendo sul fronte tecnico una serie di animazioni supplementari per i personaggi, che cambiano se lo scontro avviene a terra o in aria.

Dream Club

Si continua a parlare di PlayStation 3, dunque di storia recente (il gioco è uscito nel 2012 sulla console Sony, anche se in realtà il debutto è stato tre anni prima su Xbox 360), e di un prodotto che anche volendo proprio non potrebbe uscire dai confini nipponici.

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Dream Club è infatti un "simulatore d'appuntamento" ambientato, però, all'interno di uno di quei club giapponesi in cui generalmente si recano uomini d'affari stressati, desiderosi di bere alcol e di godere di una compagnia femminile tanto gradevole quanto remissiva. La situazione viene ovviamente interpretata in maniera "romantica" per l'occasione, mettendoci nei panni di un ragazzo che si innamora di una di queste hostess (una a caso, in pratica) e cerca in tutti i modi di conquistarla, non solo frequentando puntualmente il locale in cui lavora e chiedendo la sua esplicita presenza, ma anche comprandole dei regali e completando minigame che includono sessioni di karaoke in stile rhythm game, il tutto condito da dialoghi e interazioni anch'essi tipicamente giapponesi. Alla fine il nostro eroe riuscirà a ottenere un happy ending... qualsiasi cosa si intenda.