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Hideki Kamiya - Monografie

Scopriamo qualcosa di più sul genio che ha inventato la procace Bayonetta

RUBRICA di Christian Colli   —   29/09/2014

Monografie è una rubrica a cadenza mensile che racconta i momenti essenziali nella storia di alcune società, franchise o personaggi di spicco che hanno lasciato il segno nel mercato videoludico.

Hideki Kamiya - Monografie

Hideki Kamiya ormai lo conoscono tutti, anche perché è attivissimo su Twitter e per chi ha un minimo di dimestichezza con i social network è un vero e proprio personaggio pubblico, uno di quelli che twitta tutto, ma proprio tutto, e che si fa notare per le sue sfuriate contro altri personaggi pubblici, software house e testate giornalistiche. Una testa calda, il Kamiya, ma sebbene un po' di umiltà non gli farebbe male, con un curriculum come il suo non vi è da stupirsi che gli piaccia fare casino. In queste settimane è al centro dei riflettori per il suo Bayonetta 2, esclusiva Wii U che Nintendo ha strappato alla concorrenza, ma non è stata la sexy strega tutta curve a renderlo famoso: prima ci sono stati zombi, diavoli in lacrime, super eroi super deformed e divinità giapponesi.

Da Resident Evil a Bayonetta 2, la carriera dell'esplosivo Hideki Kamiya

Resident Evil 2

La passione per i videogiochi di Hideki, nato nel 1970 nella prefettura di Nagano, risale alla sua infanzia ed è tutto merito di un vicino di casa che lo invitava spesso a giocare con il suo Epoch Cassette Vision. Kamiya, però, non si innamorò subito del gameplay o della grafica, ma della musica... anzi, dei suoni. Dato che non poteva continuare a scroccare le partite dal suo amichetto, Hideki si fa regalare una console tutta sua all'inizio degli anni '80: è il Famicom, quello che in Occidente conosciamo come NES, e la sua prima cartuccia è Nuts & Milk, un platform sviluppato da Hudson Soft.

Hideki Kamiya
Hideki Kamiya

Il vero colpo di fulmine, però, arriverà solo tre anni dopo, nel 1986, con il primissimo Castlevania di Konami, di cui Kamiya si innamora perdutamente: lo considera ancora oggi il suo videogioco preferito, quello che lo ha definitivamente segnato insieme a The Legend of Zelda: A Link to the Past e Gradius. Complice un'intervista a Shigeru Miyamoto, pubblicata su una rivista giapponese, Hideki intuisce finalmente quale sarà il suo destino: fare anche lui videogiochi. Non sarà facile, però. Kamiya si compra un NEC PC-8801 per imparare a sviluppare durante il liceo, ma in realtà passa più tempo a giocare che a studiare il linguaggio di programmazione. Una volta diplomatosi, è il momento di far girare il suo curriculum: rifiutato da SEGA, Kamiya viene assunto da Namco in qualità di artista piuttosto che di game designer. La riscossa sarà solo nel 1994, quando Hideki riesce a farsi assumere da Capcom e lavora da principio su due nuovi giochi: uno si chiama Arthur to Astaroth no Nazomakaimura: Incredible Toons, un puzzle game per Saturn e PlayStation che non ha mai varcato i confini del Giappone. Nel caso ve lo steste chiedendo, si tratta di una specie di Ghosts 'n Goblins con l'engine del Sid & Al's Incredible Toons sviluppato da Dynamix. L'altro gioco si intitola Resident Evil, che riteniamo non abbia bisogno di presentazioni, anche perché non fu esattamente il vero e proprio trampolino di lancio per il Kamiya, che esordisce come direttore con il suo sequel, Resident Evil 2.

Resident Evil 2, 1998
Resident Evil 2, 1998

Lo sviluppo del secondo survival horror di Capcom non fu esattamente facilissimo. Il gioco fu realizzato da cinquanta persone circa, più di metà delle quali avevano già lavorato al precedente Resident Evil, il cosiddetto Capcom Production Studio 4. All'inizio, Kamiya si scontrò più volte con il producer del franchise, Shinji Mikami: non erano d'accordo praticamente su nulla e Mikami cercò spesso di convincere il team a seguire le sue indicazioni e non quelle di Kamiya. Poi, però, si fece indietro, e si limitò a fare da supervisore, controllando lo sviluppo del gioco una volta al mese. Il che permise a Kamiya di dare sfogo al suo estro creativo, anche perché sulle sue spalle pesava una responsabilità piuttosto pesante: per Capcom, Resident Evil 2 avrebbe dovuto vendere almeno due milioni di copie, e Kamiya doveva trovare un modo per attrarre ancor più giocatori. Decise quindi di adottare un impianto narrativo spiccatamente hollywoodiano, scartando alcune idee di Mikami e facendo assumere un nuovo sceneggiatore, Noboru Sugimura. Quanto era già stato sviluppato fu soprannominato Resident Evil 1.5 e traslato in quello che sarebbe diventato Resident Evil Director's Cut: il gioco fu venduto insieme a una demo di Resident Evil 2 così che Capcom potesse scusarsi per il ritardo. Nel frattempo, la motociclista Elza Walker era diventata Claire Redfield e, a differenza da quanto previsto originariamente da Mikami, la sua avventura si sarebbe incrociata con quella dell'altro protagonista del gioco, Leon Kennedy. Alla fine, le intuizioni di Hideki Kamiya e il duro lavoro del suo staff furono premiate dall'entusiasta accoglienza di pubblico e critica.

Devil May Cry e il Clover Studio

Chiamato a fare da supervisore per il progetto Resident Evil Zero, Kamiya nel frattempo dirigeva lo sviluppo di un altro gioco di Capcom che, a modo suo, avrebbe fatto la storia: Resident Evil 4. La cosa buffa, però, è che il Resident Evil 4 di Hideki Kamiya divenne in realtà... Devil May Cry.

Devil May Cry, 2001
Devil May Cry, 2001

Stupiti? Continuate a leggere. Dato che non andavano molto d'accordo, Shinji Mikami decise di affidare a Kamiya lo sviluppo di uno spin-off di Resident Evil, franchise che nel frattempo era diventato famosissimo e i capoccia Capcom avevano deciso di trasformare in una "meta-serie". Concessagli praticamente carta bianca, Kamiya si diede alla pazza gioia, ideando un Resident Evil che sarebbe dovuto essere "cool" e pieno di stile: insieme a Noboru Sugimura azzardò una storia in cui il protagonista, Tony, possedeva abilità sovrumane grazie alla biotecnologia. E dato che il gioco, a testa sua, sarebbe dovuto essere un action game frenetico, Kamiya decise di abbandonare le inquadrature fisse a favore di un sistema di telecamere dinamico. Per Mikami, però, la deriva "cool" era troppo... be', "cool", per Resident Evil, che doveva restare un survival horror. Le idee di Kamiya, comunque, erano troppo interessanti per essere abbandonate, e così si pensò di trasformare il tutto in un franchise completamente nuovo. Kamiya riprese carta e penna e riscrisse la storia da capo, ambientandola in un mondo pieno di demoni in cui si muoveva il protagonista, Dante. E così, nel 2000, vide la luce Devil May Cry: Kamiya si fissò particolarmente sul sistema di combo (scoprì praticamente per caso la questione dei "juggle) e sulle acrobazie di Dante, ma anche e soprattutto sul livello di difficoltà, volutamente alto. Nonostante il successo di Devil May Cry, Capcom non affidò a Kamiya lo sviluppo del sequel, e i lavori furono anzi cominciati senza che lui ne sapesse nulla. E questo fu il momento in cui si incrinarono i rapporti con Capcom: Kamiya e i suoi fedelissimi, insieme a svariati membri del reparto di ricerca e sviluppo di Capcom, furono riuniti nel cosiddetto Clover Studio, un team che si sarebbe dovuto occupare di nuove proprietà intellettuali. Tra il 2003 e il 2007, Kamiya diresse lo sviluppo di due giochi in particolare: Viewtiful Joe e Ōkami.

Ōkami, 2006
Ōkami, 2006

Il primo faceva parte dei Capcom Five, cinque titoli originariamente in esclusiva per GameCube di Nintendo, e fu sviluppato inizialmente da sei persone, il Team Viewtiful. Eventualmente il team si espanse e il gioco vide la luce nel 2003: era un action game assolutamente folle e in cel shading in cui si controllava un super eroe che racchiudeva in sé tutte le fissazioni di Kamiya. Joe era "cool", pieno di stile, poteva eseguire combo lunghissime e usare poteri strambi per farsi strada in livelli sempre più allucinanti. Fu accolto molto bene da critica e pubblico, ma non vendette quanto si era aspettata Capcom, benché il basso budget certo non implicasse risultati stratosferici. Ōkami, invece, fu l'occasione per Kamiya di sviluppare il suo The Legend of Zelda personale. L'avventura del cane divino Amaterasu è oggi nota soprattutto per la sua incantevole grafica in cel shading e per lo stile visivo sumi-e, ma in realtà, all'inizio, Ōkami avrebbe dovuto sfoggiare una grafica super realistica. Tuttavia, l'hardware di PlayStation 2 non riusciva a reggerla e, in più, Kamiya e i suoi avevano deciso di concentrarsi sulla tematica della natura e sull'obiettivo di ripristinarla, ragion per cui lo stile cartoonesco del cel shading pareva molto più adatto. La decisione, peraltro, fece venire a Kamiya l'idea del "celestial brush", il pennello magico attraverso cui si combatte e si risolvono gli enigmi nel gioco. Considerato un gioco di culto, Ōkami non vendette però tantissimo e insieme alle misere vendite di God Hand (sviluppato in contemporanea sempre da Clover Studio) convinse Capcom a riprendersi i suoi più grandi talenti: Mikami, Kamiya e Atsushi Inaba, però, avevano già fiutato il "pericolo" e si erano licenziati per formare una software house tutta loro. A Capcom, insomma, non restò che chiudere e smantellare il Clover Studio.

Platinum Games

Kamiya, Mikami e Inaba fondarono dunque Seeds Inc. La nuova società durò pochissimo, nel senso che nel 2007 si fuse con un'altra compagnia, ODD Inc., diventando ufficialmente Platinum Games. Il primo contratto della nuovissima Platinum Games fu sottoscritto con SEGA e riguardava lo sviluppo di quattro giochi. Atsushi Inaba avrebbe diretto i lavori di MadWorld (Nintendo Wii) e di Infinite Space (Nintendo DS). Shinji Mikami si sarebbe occupato di Vanquish (PlayStation 3 e Xbox 360). Hideki Kamiya, invece, avrebbe lavorato a Bayonetta per PlayStation 3 e Xbox 360. Per Kamiya si trattava dell'occasione d'oro per far confluire in un solo gioco tutte le sue passioni, i suoi tratti caratteristici e le sue idee: non a caso Bayonetta ricorda, in un colpo solo, sia Devil May Cry sia Viewtiful Joe con uno spruzzo di Resident Evil, persino citandoli in più riprese. Per Kamiya la protagonista doveva essere - indovinate un po'? - "cool" e stilosa, perciò il suo character design fu affidato a Mari Shimazaki che disegnò una strega tutta curve che combatteva armata di pistole e tacchi alti.

Bayonetta, 2009
Bayonetta, 2009

Kamiya insistette perché Bayonetta portasse gli occhiali, così da darle un tocco di intelligenza e mistero e differenziarla da molte altre protagoniste videoludiche. Bayonetta, insomma, era la "donna ideale" del suo creatore, ma in seguito Kamiya ha rivelato che nel suo staff alla fine era diventata molto più popolare la comprimaria Jeanne. Nonostante ciò, per Kamiya il fulcro fondamentale del gioco e del gameplay doveva essere... il suo lato sexy. Persino il fatto che potesse trasformarsi in una pantera era un qualcosa di erotico, a detta di Kamiya, e i lavori sul modello poligonale della protagonista durarono tantissimo perché avesse le curve assolutamente perfette. Tra capelli che formano indumenti, spruzzi di petali di rose al posto del sangue e altre follie, Bayonetta era un gioco praticamente fondato sul fan service. Per Kamiya, insomma, era arrivato il momento di lavorare divertendosi, un traguardo che pochi raggiungono. Bayonetta ebbe un ottimo successo di pubblico e critica, e convinse il suo direttore a spingere sul fan service e sulla follia anche col suo titolo successivo, The Wonderful 101 per Wii U, che però mutò radicalmente rispetto alle idee iniziali: sarebbe dovuto essere una specie di Super Smash Bros. con i personaggi Nintendo che dovevano collaborare per completare le varie missioni, ma poi le differenze tra personaggi e franchise convinsero Kamiya a scegliere un'altra strada e, dopo qualche mese di pausa, si preferì creare dei protagonisti completamente nuovi (inizialmente cinque e poi... cento!) caratterizzati come super eroi giapponesi in un contesto narrativo decisamente più occidentale. The Wonderful 101 avrebbe dovuto essere sviluppato per Wii, ma poi Kamiya convinse Nintendo a dirottare lo sviluppo sulla nuova console anche per sfruttarne il GamePad: il risultato fu quella divertentissima baraonda che mischia tokusatsu, kaiju e fumetti americani e che riassume perfettamente la follia e i tratti distintivi del suo creatore. Ora tocca a Bayonetta 2: riuscirà il matto e ribelle Hideki Kamiya a convincere nuovamente i suoi fan? Speriamo di sì, altrimenti chi lo tiene più su Twitter...