Primo mito da sfatare: il nerd asociale e foruncoloso
Per prima cosa, è ora di abbandonare l'immagine stereotipata del videogiocatore: oltre a non essere necessariamente un adolescente complessato, questi è spesso tutt'altro che asociale. Lo dimostrano numerosi studi svolti negli Stati Uniti, di cui il più recente è stato reso noto lo scorso giugno dal Pew Internet & American Life Project: l'obiettivo dell'indagine era sondare l'impatto delle tecnologie d'intrattenimento digitali e online sulla vita dei giovani; il campione di 1.162 persone, selezionate per età, sesso ed etnia in modo da riflettere la composizione della popolazione studentesca, è stato sottoposto a sondaggi e osservazione diretta presso laboratori informatici e luoghi di ritrovo degli istituti scolastici più rappresentativi; i risultati ottenuti sono poi stati confrontati con quelli di un precedente studio, svolto da ricercatori di Princeton.
Primo mito da sfatare: il nerd asociale e foruncoloso
Tra i dati emersi, è degno di nota il fatto che l'online gaming sia più popolare tra gli studenti universitari che tra gli adolescenti (questi tendono infatti a preferire le console). Giocare è ormai un'attività diffusa e perfettamente integrata nella vita scolastica e sociale dei giovani americani: nel complesso, il 66% degli universitari si è dichiarato giocatore occasionale o abituale e, più precisamente, il 57% delle ragazze e il 75% dei ragazzi hanno affermato di giocare regolarmente via Internet. Le principali motivazioni addotte nei sondaggi e riscontrate nell'osservazione diretta sono il desiderio di socializzare e condividere esperienze ludiche con gli altri, concedersi un po' di svago dallo studio o passare il tempo. La natura fortemente sociale di quest'attività è confermata dal fatto che la maggioranza dei giocatori prediliga i titoli multiplayer e ami giocare in compagnia, che sia online o con amici fisicamente presenti: se tutti concordano sul fatto che i videogame possano essere un surrogato cui ricorrere quando gli amici non sono disponibili, il 65% assicura comunque che il gioco non incide sul tempo trascorso in famiglia o con gli amici, anzi, il 20% è convinto che sia un ottimo mezzo per fare nuove conoscenze.
La generazione del multitasking
Gli studenti presi in esame dal Pew Internet & American Life Project, inoltre, integravano il videogioco allo studio, alle visite agli amici e ad altre attività quotidiane: il più delle volte, lo affiancavano a tutta una serie di occupazioni abituali e simultanee, quali l'ascolto di musica e la conversazione, dedicandocisi raramente in modo esclusivo e facendo dell'interazione una componente essenziale nell'intrattenimento, in un contesto di perfetto multitasking. A conforto dei genitori, si precisa comunque che ciò non va a detrimento delle ore destinate allo studio: sebbene il 32% dei videogiocatori abbia ammesso di giocare in orario di corsi e il 9% di farlo espressamente per evitare i libri, la media del tempo da essi dedicato allo studio coincide con quella di due terzi dei coetanei americani ed è perfettamente nella norma – se non altro significa che, a prescindere dai videogame, chi non si applica non è mai a corto di distrazioni!
La generazione del multitasking
E' ormai assodato che "i giovani d'oggi" - e i videogiocatori in particolare - hanno imparato a gestire lavoro e tempo libero in multitasking: chi è cresciuto usando il computer e integrando progressivamente la tecnologia nella propria vita quotidiana ha adattato abitudini e processi cognitivi ai ritmi dell'era digitale, in poche parole, "pensa in digitale e in parallelo" – è in grado di analizzare contemporaneamente più flussi d'informazione, riorganizzandoli con lucidità e distinguendone priorità e provenienza, studiare davanti alla TV o parlare al cellulare facendo shopping. Già negli anni '80, uno studioso dell'Università di St. Louis, Walter J. Ong, predisse che la "tecnologizzazione" e il PC avrebbero sconvolto il nostro approccio alla lingua e ai concetti stessi, proprio come accadde nella transizione dalla tradizione orale a quella scritta, ovvero quando il baricentro della cultura si spostò dalla memoria (cui prima veniva affidata ogni conoscenza) alla scrittura e alla catalogazione sistematica del sapere.
Cos'ha più peso nel gioco?
"Daedalus Project" - Nicholas Yee
Questi dati sono stati ricavati da un campione di 2.850 giocatori di MMORPG, tramite questionari online.
Una lezione di sociologia
Le comunità online legate ai MUD (Multi-User Dungeon) furono le prime a suscitare l'interesse degli studiosi: i sociologi vi riconobbero subito validi laboratori per l'analisi delle dinamiche sociali, i letterati nuove forme espressive in grado di mettere in discussione il tradizionale rapporto tra autori e lettori, i filosofi un efficace esperimento sul divario tra realtà e simulazione, i linguisti nuovi contesti comunicativi. Tuttavia, vista la loro forma testuale, queste comunità rientrano solo marginalmente nell'universo dell'online gaming e sono più spesso accomunate alle chat room: esaminando la natura dei MUD, il loro stesso padre si chiese se non fosse il caso di considerarli attività sociali piuttosto che ludiche. Nel suo studio "Hearts, Clubs, Diamonds, Spades: players who suit MUDs", Richard Bartle giunse infatti alla conclusione che la linfa vitale di queste comunità fossero proprio l'interazione e il gioco di ruolo, ma che gli utenti fondamentalmente tendessero a vivere lo stesso MUD in modo diverso. Cercò quindi di distinguere le principali tipologie di giocatori: socializer (socializzatore), explorer (esploratore), achiever (ambizioso, intraprendente) e killer (approfittatore, dispotico).
Una decina d'anni più tardi, nei suoi approfonditi studi sulla psicologia dei giocatori di MMORPG, Nicholas Yee partì dallo stesso presupposto e giunse alla conclusione che anche nei giochi di ruolo online l'obiettivo principale è socializzare, piuttosto che fare a pezzi gli avversari. Esaminando migliaia di campioni, ridefinì le categorie di giocatori in base alle loro motivazioni, scoprendo che queste sono spesso complementari e interdipendenti: oltre al desiderio di relazioni sociali, immersione, gioco di ruolo, prevaricazione e ricerca di successo, in molti rilevò comportamenti gregari o autoritari e una naturale predisposizione al comando. La maggior parte dei giocatori, fin dalla creazione del personaggio, oltre all'aspetto estetico e al nome (anch'essi validi fattori di attrazione e accettazione) cura con particolare attenzione statistiche e abilità in maniera tale da conformarsi alle necessità degli altri e non soltanto garantirsi possibilità di sopravvivenza individuali - impersonare un eroe con poteri curativi, per esempio, è una garanzia di successo: si diventa indispensabili. Tutto ciò prova che l'uomo non può esimersi dall'essere un animale sociale neppure online e che non si rivolge al gioco per isolarsi rifiutando la realtà, ma per scopi diametralmente opposti e per sperimentare realtà alternative.
Una lezione di sociologia
Come Sherry Turkle fece notare fin dal 1997, nel suo libro "La vita sullo schermo, nuove identità e relazioni sociali nell'epoca di Internet" (edito in Italia da Apogeo), questi mondi virtuali sono molto meno lontani dalla vita reale di quanto si possa pensare e proprio per questo offrono interessanti spunti di riflessione. Il computer, in questo senso, non è più solo uno strumento per vivere i propri sogni ma anche per capirsi meglio: la sperimentazione in ambienti online consente ai giocatori di riscoprire se stessi e gli altri, venendo in contatto con realtà diverse, liberi da preconcetti e barriere di ogni sorta - non soltanto geografiche. Tanto nell'ambito del gioco vero e proprio quanto in quello delle comunità sviluppatesi intorno ad esso, vengono a crearsi forti legami: gli appassionati di FPS si riuniscono in clan e i rapporti che s'instaurano tra loro trascendono spesso la dimensione ludica, assumendo il valore di amicizie in piena regola; altrettanto si può dire delle comunità dei MMORPG, note per le loro dimensioni e il loro impatto sociale - basti pensare al fenomeno delle gilde di EverQuest. E' sufficiente visitare un qualunque forum di discussione, per rendersi conto che le dinamiche interpersonali e i contatti regolari tra i giocatori online non hanno nulla da invidiare alle amicizie "tradizionali".
Tanto per fare un esempio, nel caso del titolone targato Sony, esistono numerose comunità per ogni server di gioco (i server sono ormai più di 40) e ciascuna gilda ha almeno un sito di riferimento, al quale se ne aggiungono altri amatoriali e altri ancora dedicati specificatamente alle varie classi di personaggi... il numero di comunità che orbitano intorno a giochi di questa portata è impressionante e, pur essendo frutto della passione per i MMORPG, si sviluppano indipendentemente e spesso non limitano la propria attività al gioco online: dopo conoscenze virtuali durate anni, molti giocatori s'incontrano di persona e si legano in solidi rapporti d'amicizia. In queste occasioni, gli amori nati tra battaglie contro orchi e draghi possono anche fiorire in relazioni stabili: i matrimoni virtuali o reali tra i membri delle gilde non si contano più. Come testimonia Cindy Bowens, esperta di comunità online e per due anni responsabile di quella di EverQuest, è emozionante assistere a uno degli eventi periodicamente organizzati dai fan negli Stati Uniti: la passione comune per il gioco abbatte ogni barriera sociale e culturale, così che può capitare di vedere un distinto uomo di mezza età che conversa amabilmente con un giovane punk crivellato di piercing o rimanere sorpresi nello scoprire che il più fidato compagno d'avventura online, pur facendosi chiamare "HotBabe", sia in realtà un novantenne con tanta voglia di divertirsi!
Cupido nell'era digitale
Ancora oggi, se qualcuno ci rivela di essersi innamorato online, rimaniamo perplessi e tendiamo ad avere qualche riserva sulla natura di una relazione simile. Eppure dovremmo ricrederci, di fronte al fatto che molti giocatori considerino gli amici online al pari di quelli che hanno nella vita reale, se non addirittura più intimi, e che i MMORPG abbiano ulteriormente rimpolpato il numero di storie d'amore nate in rete. I rapporti online sono spesso giudicati superficiali, soprattutto se basati sulla premessa di un gioco di ruolo in cui lo scopo è fingersi qualcun altro, ma giustamente Nicholas Yee ricorda che anche nella vita reale s'indossano delle maschere: ci sono giocatori convinti che le relazioni online siano di gran lunga più profonde, poiché la rimozione di connotazioni materiali come aspetto, età e classe sociale obbliga a interagire con gli altri senza pregiudizi. Chi teme che online ci siano più probabilità d'incontrare malintenzionati sottovaluta il fatto di esserne circondato anche nella vita reale: dopo tutto, le cattive persone in cui ci s'imbatte negli ambienti virtuali vivono pur sempre nel nostro mondo e la prudenza è d'obbligo in entrambi! Ma ci si conosce e ci s'innamora diversamente in questi universi virtuali? E' un quesito che Yee ha posto a più di 3.000 giocatori di EverQuest, Dark Age of Camelot e Ultima Online, cercando di scoprire se non siano proprio questi ambienti e le loro modalità di comunicazione a favorire i rapporti, platonici o meno.
Cupido nell'era digitale
Sono emerse varie ragioni per cui sarebbe più facile fare amicizia e innamorarsi online. Il primo fattore non è limitato ai MMORPG e si manifesta in qualunque forma di comunicazione scritta o mediata: via chat, così come per posta o per telefono, siamo meno inibiti e più propensi a condividere dettagli intimi. Mentre digitiamo sulla tastiera, tutta la nostra concentrazione è assorbita dal messaggio e non ci preoccupiamo che le apparenze, l'abbigliamento o il linguaggio del corpo ci tradiscano. Nella vita di tutti i giorni non è sempre facile raggiungere una certa intimità con qualcuno, è un processo graduale e ci sentiamo a nostro agio a trattare certi argomenti solo dopo averlo conosciuto meglio. Nel mondo dei MMORPG tale processo è accelerato, poiché l'ambiente di gioco offre maggiori opportunità di approfondire una conoscenza. Va pure tenuto presente che il gioco di ruolo in sé è un passatempo molto particolare, che attrae persone con gusti e interessi affini, aumentando quindi i fattori di compatibilità. Inoltre, qualunque tipo di rapporto viene subito messo alla prova in un MMORPG: i giocatori sono continuamente sottoposti a sfide e situazioni di stress, che tirano fuori il meglio e il peggio di ognuno, e per sopravvivere sono costretti ad aiutarsi l'un con l'altro - capiscono molto in fretta di chi fidarsi o meno, mentre nella vita reale non è altrettanto facile purtroppo e scopriamo come sono fatte veramente le persone che ci circondano solo in determinate circostanze.
Il gioco di ruolo online consente di esplorare tutte le dimensioni di una relazione, magari calandosi nei panni di un personaggio del sesso opposto, fenomeno generalmente indicato come gender bending (o swapping). Inutile dire che Nicholas Yee ha indagato anche questo aspetto curioso, scoprendo fra le altre cose che è una pratica particolarmente diffusa tra i giocatori maschi: per molti si tratta di una vera e propria strategia di gioco, essendo opinione comune che ai personaggi femminili venga riservato un trattamento migliore nei mondi virtuali, mentre la maggior parte delle donne che si cimentano nel gender bending dichiara di farlo essenzialmente per curiosità o proprio per non ricevere trattamenti indesiderati.
Cupido nell'era digitale
I personaggi maschili flirtano in continuazione con quelli femminili, malgrado non sia un mistero per nessuno che l'80% dei giocatori di MMORPG è costituito da uomini! Il sesso anagrafico, in effetti, non sembra avere grossa importanza in questi mondi virtuali, il che rientra perfettamente nello spirito del gioco di ruolo. Ciò non toglie, però, che anche gli RPG online abbiano una componente sessuale, dettaglio che non è sicuramente sfuggito a due intraprendenti americane lanciatesi nello sviluppo del primo MMORPG dichiaratamente erotico, Playskins: il cyber-sesso non è una novità, così come non lo è neppure il connubio tra sesso e videogame ma, una volta avviato, questo gioco di ruolo in stile anime sarà il primo interamente basato su flirt, preliminari e… "abilità" non certo comuni ad altri RPG online. L'intento delle sue creatrici, la programmatrice Anne-Marie Schleiner e l'artista (nonché esperta di sado-maso) Melinda Klayman, è incoraggiare la comunicazione tra uomini e donne, con un approccio al sesso che sia meno pornografico e più umano – una sorta di educazione sessuale virtuale, insomma.
Non tutti i giochi vengono per nuocere...
Quest'anno, dei ricercatori dell'Università di Rochester hanno dimostrato che i giochi d'azione in visuale soggettiva potenziano riflessi e capacità visive: nei loro esperimenti sull'elaborazione di segnali ottici in rapida successione, coordinati dai neurologi Bavalier e Green e pubblicati su Nature, chiunque avesse giocato nei sei mesi precedenti otteneva risultati superiori alla media (anche soggetti estranei ai videogame, con un po' di allenamento, manifestavano percezioni potenziate). Non è certo una novità per l'esercito americano, che da anni allena i soldati con simulazioni affini agli FPS, ma ora si prospettano applicazioni in campo medico e altri studi volti a individuare gli effetti dei videogame su processi di elaborazione ottica e memoria a breve termine.
Gioca che ti passa...
Se i MMOG possono spingere certi giocatori alla dipendenza, per altri si rivelano un prezioso strumento terapeutico. A detta di parecchi psicologi, sarebbero particolarmente efficaci per aiutare i ragazzi a superare problemi emotivi e comportamentali: in questi mondi virtuali, gli adolescenti possono sperimentare liberamente ruoli diversi e trovare la propria identità. Come il cinema, i giochi di ruolo sono un veicolo di evasione dalla realtà e, ovviamente, ciò può rivelarsi tanto utile per alcuni quanto dannoso per altri, come dimostrano le drammatiche esperienze legate a titoli quali EverQuest. Grazie alle testimonianze raccolte nel corso delle sue ricerche, Nicholas Yee ha potuto confermare l'ipotesi che i MMORPG costituiscano un valido mezzo terapeutico oltre che di evasione, uno spazio rassicurante e catartico: nei suoi sondaggi, la maggioranza dei giocatori dichiara di dedicarsi ai MMORPG per rilassarsi dopo una giornata di lavoro e per dimenticare le preoccupazioni quotidiane, ma altri confessano di farvi ricorso per superare forti traumi emotivi, riacquistare fiducia in se stessi, combattere ansie legate ai rapporti sociali (timidezza cronica, agorafobia...) e trovare sostegno e compagnia, che gli sarebbero altrimenti preclusi per via della loro situazione - in un gioco di ruolo non ci si limita a seguire la storia di qualcun altro, si diventa la storia, e in quale altro contesto le emozioni di un impavido guerriero potrebbero essere vissute anche da un paraplegico?
Insomma, non dovrebbe sorprenderci troppo il fatto che qualcuno abbia più amici online di quanti ne abbia mai avuti nella vita reale, né che si rivolga ad essi nel momento del bisogno: cerchiamo tutti qualcuno con cui parlare e infondo è meglio che sia estraneo al nostro mondo, visto che molti dei problemi che abbiamo derivano proprio dal rapporto con amici e parenti che ci circondano. Nei racconti dei giocatori interrogati sulle loro esperienze online più memorabili, generosità e altruismo sono temi ricorrenti e riscontrati molto più spesso che nella vita reale. Ma, dopo tutto, dietro agli avatar ci sono persone reali e conseguentemente lo sono anche le interazioni nei mondi virtuali. All'interno di queste comunità, ci si sostiene a vicenda nei momenti di crisi, si offrono lavori agli amici in difficoltà, si organizzano collette per regalare computer e abbonamenti a chi non se li può permettere. In seguito all'attacco dell'11 settembre, molti giocatori di EverQuest e Anarchy Online si sono precipitati al computer per assicurarsi che i loro compagni d'avventure stessero tutti bene, confortando i famigliari delle vittime e incoraggiando donazioni del sangue e manifestazioni di solidarietà online. Messo di fronte a episodi di cronaca quali il suicidio di Shawn Woolley, Yee non esita a dichiararsi convinto che i MMORPG abbiano già aiutato a scongiurare più suicidi di quanti potrebbero mai causarne.
Gioca che ti passa...
Anche il campione d'incassi The Sims è stato una rivelazione in tal senso: neppure Will Wright in persona poteva aspettarsi che, dopo l'introduzione degli Album di Famiglia per immortalare le esperienze degli utenti online, questi ne avrebbero ignorato l'intento originario trasformandoli in un potente mezzo di espressione e sfogo personale. Inaspettatamente, migliaia di giocatori si sono improvvisati registi, servendosi di questa funzione per creare piccoli fotoromanzi e documentari verità, in cui si narrano anche complesse storie di abusi e violenze, razzismo, povertà, tossicodipendenza e alcolismo. Chi ha sempre considerato questo gioco solo come una versione digitale della casa delle bambole sarà sorpreso di apprendere che sul sito ufficiale si contavano ben 100.000 Album, nel giugno di quest'anno. Sulla scia di "The Sims Online", stanno nascendo altri universi virtuali dove, oltre a giocare, sia possibile socializzare senza pregiudizi e liberi dal vincolo delle apparenze: i progetti più promettenti sono There.com, che ha richiesto quattro anni di sviluppo e un investimento iniziale di 33 milioni di dollari, e Second Life, un esperimento col quale Linden Lab promette di realizzare il concetto di metaverso, ovvero un ambiente virtuale piuttosto che un gioco vero e proprio, in cui niente è programmato e tutto è affidato all'immaginazione dell'utente.
Gioca che ti passa...
La riscossa dell’online gaming proseguirà al nostro prossimo appuntamento, che sarà anche l’ultimo: passeremo rapidamente in rassegna le applicazioni didattiche dei videogiochi, le connotazioni politiche ed economiche degli universi persistenti e le prime sperimentazioni culturali ispirate proprio da questi mondi virtuali online.
BIBLIOGRAFIA E RISORSE DI APPROFONDIMENTO:
- D&D Tech News
- Game Research
- Nick Yee Hub
- Wired News
- Punto Informatico
- Salon
- Online Community Report
- Women Gamers
- AVN Media Network
- Philly.com
- ZDNet
- Games-to-teach Project
- National Institute on Media and the Family
- Entertainment Software Association
- Ateneo Multimediale
- USA Today
- News.com
- Slate
- The Industry Standard
- CNNMoney
- Washingtonpost.com
La parola alla difesa...
D'accordo, finora abbiamo passato in rassegna i capi d'imputazione a carico dei videogiochi e dell'online gaming in particolare: si teme che favoriscano l'isolamento e l'alienazione, che espongano contenuti violenti e sessisti alimentando l'aggressività, che incidano sul rendimento scolastico e mettano a repentaglio la salute dei più giovani. Si dice inoltre che una forma d'interazione impersonale e anonima come quella offerta da Internet tiri fuori il peggio di noi, ma è davvero così? E tutte le ore dedicate al gioco sono veramente buttate via, come ci sentiamo ripetere in continuazione da chi non condivide questa nostra "insana" passione? Per scoprirlo, non ci resta che vedere come queste stesse problematiche vengono affrontate dall'altra parte della barricata, dove sono schierati appassionati ed esperti che studiano e sperimentano ogni giorno i fenomeni legati all'online gaming, cercando di carpirne le dinamiche e valutarne le potenziali applicazioni. Nella seconda e terza parte di questo speciale, abbiamo visto che un solo aspetto mette d'accordo giocatori e oppositori: pur se in misura variabile e in presenza di determinate concause, il gioco online può dare dipendenza proprio come l'alcol, le droghe, il gioco d'azzardo o il cioccolato. In realtà, non è ancora stata dimostrata alcuna connessione diretta tra violenza virtuale e reale, né tanto meno hanno trovato conferma le presunte ripercussioni dei videogame sulla salute fisica e mentale degli utenti. Quindi, non ci soffermeremo più di tanto su queste argomentazioni. Vedremo invece qual è stato l'impatto culturale dei MMOG in senso più ampio e per quali ragioni anche autorevoli esperti di altre sfere abbiano iniziato a studiarne le implicazioni sociologiche, pedagogiche e morali, convincendosi che la rete e la tecnologia abbiano trasformato radicalmente le nostre abitudini e relazioni sociali, piuttosto che comprometterle...