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Luci e ombre del gioco online V

V PARTE: LE LUCI
Concludiamo il nostro viaggio nel mondo dell'online gaming, scoprendone le potenziali applicazioni didattiche e le implicazioni politiche ed economiche. I videogiochi fanno così male? No, anzi: ecco altre risposte che avreste sempre voluto sentire dagli esperti...

APPROFONDIMENTO di La Redazione   —   28/10/2003
Luci e ombre del gioco online
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I videogiochi fanno scuola

Da quanto detto finora, si evince che finalmente qualcuno comincia a chiedersi se non ci siano questioni culturali più importanti da porsi, al di là della solita domanda "I videogiochi sono pericolosi?". Se ne sta indagando l'impatto sulla narrativa interattiva e qualcuno è perfino pronto a riconoscerne il valore artistico: diversi musei negli USA e nel Regno Unito hanno già allestito mostre e retrospettive sui videogame. C'è soprattutto un'applicazione di questa forma d'intrattenimento ingiustamente sottovalutata, quella didattica: i videogiochi implicano pur sempre una forma di simulazione e alcuni permettono di rivivere fatti storici in prima persona, intuire i principi di evoluzione di una civiltà, cimentarsi nella gestione di città, ospedali, zoo, aeroporti e catene di ristoranti... Purtroppo, l'industria videoludica non si è mai dimostrata molto attiva nel campo del software didattico: secondo l'Entertainment Software Association, i titoli della cosiddetta categoria edutainment rappresentano solo il 7% delle vendite nel mercato delle console e meno ancora in quello dei PC. Le cause sono da ricercarsi nella natura dei prodotti finora offerti: la maggior parte di essi, infatti, si limita a proporre una serie di lezioni e test in una veste rinnovata, negando il presupposto stesso di ricorrere al gioco come strumento di apprendimento. Lo scopo non dovrebbe essere avvicinare il videogame alla scuola tradizionale ma l'esatto contrario: se i mezzi didattici convenzionali si rivelano inefficaci, è insensato adattarli a forme d'intrattenimento digitale, bisognerebbe piuttosto perfezionarli ispirandosi alle qualità di queste ultime.

E James Paul Gee, professore dell'Università del Wisconsin nonché uno dei maggiori esperti di pedagogia statunitensi, ci spiega quali sono esattamente queste qualità: oltre a fornire occasioni d'intrattenimento per tutta la famiglia e per tutte le età, i videogiochi hanno il pregio d'introdurre i bambini all'informatica, insegnare loro a seguire istruzioni, risolvere problemi logici e interagire con un ambiente predefinito. Uno dei loro punti di forza è la capacità di calamitare l'attenzione ed è soprattutto questo che si vorrebbe riprodurre in ambito scolastico: attraverso un gameplay stimolante, storie coinvolgenti, contenuti visivi originali e personaggi interessanti, i migliori giochi garantiscono un livello d'immersione e identificazione senza eguali, permettendo agli utenti di sentirsi attivamente parte della trama e vivere valori e sistemi di pensiero diversi. Un altro grosso pregio è l'offerta costante e incrementale di stimoli, associata alla massima facilità d'apprendimento delle meccaniche di gioco: per quanto complesso, un buon titolo non è mai impossibile da padroneggiare, offre solo informazioni strettamente indispensabili e solo nel contesto opportuno, in modo da consentirne un facile assorbimento tramite l'esperienza immediata – dev'essere un piacere per il giocatore sperimentare nuove strategie vincenti e porsi sfide di volta in volta più impegnative. Dietro allo sviluppo di giochi di successo si nascondono anni di studi sulle scienze cognitive e il motivo è semplice: i titoli troppo macchinosi non divertono tutti, quindi non vendono. Per la maggior parte dei videogiochi il manuale non serve più e questo dovrebbe bastare a farne intuire l'enorme potenziale didattico. Ci sono bambini che non riescono a concentrarsi per più di un quarto d'ora di fila sui libri, ma che sono perfettamente in grado di configurare il computer di casa, creare MOD e scrivere guide per i loro giochi preferiti. Se studiassero con altrettanta passione e determinazione, la scuola diventerebbe davvero un piacere piuttosto che un dovere!

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I videogiochi fanno scuola

Competere col gameplay e la grafica accattivante dei più popolari titoli commerciali è un'ardua sfida per i produttori di edutainment, ma presto anch'essi potrebbero avvalersi di tecnologie all'avanguardia: gli sviluppatori di Neverwinter Nights, per esempio, hanno messo i propri strumenti di design a disposizione di tutti e alcuni studenti del MIT ne hanno approfittato per creare una simulazione storica chiamata Revolution. Il Games-to-teach Project, frutto degli sforzi congiunti di ricercatori del MIT e di Microsoft, si ripropone di elaborare prototipi di giochi orientati all'apprendimento di discipline scientifiche per l'istruzione superiore. Il direttore della ricerca Kurt Squire si augura che l'integrazione dei videogame nel tessuto scolastico possa convincere anche i genitori più scettici del fatto che la tecnologia non atrofizzerà i cervelli dei loro figli, trasformandoli in zombi capaci solo di premere tasti, ma al contrario li aiuterà ad apprendere più velocemente, accrescendo senso critico, capacità decisionali ed empatia.

Dei pedagoghi hanno proposto l'adozione di un curriculum scolastico sul modello dello sviluppo dei personaggi nei giochi di ruolo: il giocatore di RPG investe molta energia nell'accrescimento e nella personalizzazione di abilità e statistiche del proprio personaggio, perché questo incarna l'esperienza da lui accumulata nel mondo virtuale. L'avatar è un'efficace rappresentazione delle conoscenze acquisite nel tempo da un individuo in un determinato contesto e, quindi, perché non applicarla anche a quello scolastico? Oltre a voti e frequenza, nel percorso educativo andrebbero registrati anche lavori di gruppo, corsi supplementari ed esperienze extrascolastiche, in modo da fornire agli studenti una visione più fluida e gratificante dei propri progressi, dando all'istruzione la dimensione di un universo virtuale persistente. C'è pure chi suggerisce il ricorso a simulazioni ispirate ai MMORPG per test attitudinali e corsi aziendali di leadership e team building: in un ambiente virtuale che richiede lavoro di squadra e complessi processi decisionali, i soggetti non potrebbero mentire come nei questionari a scelta multipla e sarebbero tenuti a dimostrare davvero di cosa siano capaci - fattori quali predisposizione al comando, intraprendenza, socievolezza o affidabilità emergerebbero in modo spontaneo, consentendo una valutazione rapida e concreta. Questi sono solo alcuni esempi delle potenziali applicazioni dei videogiochi in ambito didattico e chissà che in futuro non dimostrino di avere altro ancora da insegnarci!

Istituzioni e attivismo virtuali… ma non troppo

Forse era inevitabile che prima o poi McDonald's sbarcasse anche nel mondo di "The Sims Online" e altrettanto inevitabile che i contestatori dell'impero dell'hamburger provvedessero immediatamente a mettergli i pali tra le ruote pure online: i ristoranti virtuali sono stati boicottati da giocatori che si oppongono non solo a ciò che l'odiato marchio rappresenta nella realtà ma anche al fatto che i panini che lo sfoggiano nel gioco risultino più nutrienti di altri cibi disponibili ai Sims. Episodi di protesta analoghi si sono verificati nella comunità online di There.com, dove diversi giocatori hanno fatto indossare ai propri personaggi i colori della pace in segno di opposizione alla guerra in Iraq, e sui campi di battaglia virtuali di Counter-Strike, per cui Anne-Marie Schleiner ha creato la versione pacifista Velvet Strike predicando la non-violenza in un FPS, mentre un gruppo più radicale ha adottato la tattica delle missioni suicide per lanciare messaggi antimilitaristici.

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Istituzioni e attivismo virtuali… ma non troppo

Come sottolinea il direttore creativo di Sony Raph Koster, "la linea che separa il mondo reale da quello virtuale è molto più sottile di quanto si creda", tanto che i movimenti di protesta e l'attivismo politico si sono fatti strada anche nei giochi online. Ciò ha fatto nascere delle perplessità circa i limiti della libertà di parola in rete e, facendo presente la necessità di tutelare gli utenti, Koster ha elaborato addirittura una Dichiarazione dei Diritti degli Avatar. A prescindere dal loro impegno politico e sociale, infatti, è interessante osservare come i giocatori cerchino di esprimesi e farsi valere anche negli universi persistenti: il primo movimento di protesta nella storia dei MMORPG fu organizzato dagli utenti di Ultima Online nel 1997, quando centinaia di avatar si riunirono intorno al castello di Lord British, alter ego del creatore Richard Garriott, che durante un convegno cittadino venne addirittura assassinato… non ne conseguì lo scoppio di una guerra mondiale virtuale ma comunque un'azione repressiva che non mancò di scandalizzare l'opinione pubblica - vedendo cadere inaspettatamente il personaggio di Garriott, il suo principale collaboratore, Starr Long, reagì scatenando un'orda di demoni inferociti sulla folla presente. Anche gli utenti di Lineage si sono uniti più volte per manifestare contro difetti di programmazione che non venivano tenuti in considerazione dallo sviluppatore.

I mondi online non si sono limitati a importare usanze come la celebrazione del Natale o dell'attacco dell'11 settembre, ma hanno dovuto adottare a loro volta un sistema legislativo e una forma di ordinamento politico ed è naturale che, essendone parte integrante, i giocatori possano parteciparvi attivamente: quelle delle comunità online non sono proprio democrazie perfette, poiché fondate pur sempre su una gerarchia cui fa capo l'azienda produttrice del gioco e destabilizzate da frequenti conflitti interni, ma molti v'intravedono già il seme di arditi esperimenti politici e, dal momento che i MMOG si sono dimostrati capaci di riprodurre complesse dinamiche sociali, in futuro sarebbe legittimo aspettarsi l'inverso, ovvero che da essi possano scaturire nuovi modelli e soluzioni attuabili anche nel mondo reale!

Venditori di pixel

E' difficile crederci ma c'è chi ha fatto della vendita di articoli ed account di MMORPG la sua principale fonte di reddito: dei giocatori statunitensi sono pronti a pagare migliaia di dollari per un personaggio di massimo livello, equipaggiamento e oggetti rari. I cosiddetti loot farmer sono in prevalenze ex-appassionati che sfruttano la propria conoscenza dei giochi online per scovare occasioni sui siti d'aste (account appetitosi o articoli rari liquidati a prezzi stracciati) da rivendere poi a una cifra maggiorata. Alcuni si concentrano sul rilevamento di account degli utenti ritiratisi da EverQuest, altri trattano proprietà terriere e immobiliari nel mondo di Ultima Online, dove la sovrappopolazione ha fatto sì che un castello arrivi a sfiorare un valore di 1.000 dollari. Alla fine del 2001, il momento di massima fioritura di questo mercato nero virtuale, c'era chi dichiarava d'incassare in media 5.000 dollari al mese in questo modo – senza capacitarsi che la gente arrivasse a pagare tanti soldi per qualcosa che non può nemmeno tenere tra le mani!

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Il miracolo economico dei MMOG

Dalla costituzione di "vere" forme di governo all'emergere di una "vera" economia il passo è breve. Prendiamo i Sims, per esempio: sono una smagliante rappresentazione virtuale della società consumistica, dove la felicità è fatta di beni sempre più costosi e per guadagnarseli bisogna darsi da fare tanto sul lavoro quanto nella vita sociale. Ma The Sims è anche un ottimo esempio di come la comunità degli utenti possa contribuire attivamente al successo di un prodotto garantendone gran parte del marketing e delle innovazioni: infondo, anche nella realtà sono gli abitanti a produrre la ricchezza di una comunità, imparando a sfruttarne le risorse per creare beni di consumo e servizi e, col tempo, assicurare l'autosufficienza alla comunità, consentendone una progressiva espansione. Analogamente, quando nell'universo dei Sims si afferma una nuova tendenza lanciata da qualche giocatore (come dare scatenate feste a tema), Maxis pubblica un'espansione del gioco per assecondarla. "The Sims Online" porta questo processo un gradino più in alto e consente ai giocatori d'interagire liberamente tra loro, vendendo e acquistando in valuta virtuale beni e servizi di propria creazione.

Anche nei MMORPG, che vantano popolazioni online pari a quelle di vere città, vigono precisi meccanismi economici: i giocatori che portano a termine quest e sconfiggono mostri vengono ricompensati con artefatti e denaro, col quale acquistare l'equipaggiamento per progredire nel gioco; i più intraprendenti si guadagnano da vivere proprio acquistando oggetti in determinate aree e rivendendoli dove sono più rari, in alcuni casi possono offrire i propri servizi in cambio di denaro o fabbricare e vendere direttamente beni quali armi e vestiti. Tuttavia, la preponderanza di mercanti artificiali e la durata infinita dei beni hanno generato problemi economici imprevisti, che gli sviluppatori stanno cercando di arginare: Sony, per esempio, si è riproposta di offrire un modello economico più realistico in Star Wars Galaxies, affidando il controllo del commercio quasi interamente agli utenti e introducendo beni deperibili, che dovrebbero ovviare al fenomeno dell'eccesso di liquidità riscontrato sui server di gioco datati, in cui ormai è in circolazione troppo denaro.

L'aspetto più sorprendente dell'economia dei MMORPG è che ha oltrepassato i confini dei mondi online per interagire con la nostra: per avanzare nel gioco e avere un personaggio potente, qualcuno è disposto anche a pagare (e non solo in moneta virtuale). Oltre a account completi, si vendono armi, scudi, amuleti e incantesimi rari che normalmente richiederebbero ore di gioco e grossi rischi. Ai sistemi di scambio interni forniti dagli sviluppatori per il baratto o la vendita di equipaggiamento in valuta virtuale si è affiancato un "mercato nero": in genere le transazioni avvengono sui siti di aste online e in seguito venditore e acquirente si accordano per la "consegna della merce" all'interno del gioco. Prima che le aste legate a EverQuest venissero vietate per legge, su eBay le offerte per oggetti e personaggi oscillavano tra i 5 e i 1.500 dollari ad articolo. I giocatori in difficoltà finanziarie possono addirittura comprare oro o valuta virtuale in cambio di dollari (con 50 dollari vi portate a casa almeno 10.000 pezzi di platino, la moneta di EverQuest). In linea di massima, le aziende che gestiscono i MMORPG si oppongono a questo mercato illecito, sia perché la maggior parte dei giocatori lo ritiene scorretto sia per il potenziale rischio di frodi, ma non sono mai riuscite ad arginare completamente il fenomeno. Questa sì che è "economia virtuale": qualcuno è pronto a pagare monete sonanti per beni assolutamente intangibili e privi di valore nel mondo reale. Incuriositi, gli economisti si sono posti una serie di domande, alcune delle quali erano già emerse alla luce degli ultimi sviluppi economici della nostra era: come si attribuisce valore a beni immateriali, cosa definisce la proprietà quando questa è astratta e cosa definisce la produttività?

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Il miracolo economico dei MMOG

L'anno scorso, il professor Edward Castronova è arrivato al punto di pubblicare uno studio sul sistema economico di EverQuest: partendo dal valore degli articoli virtuali venduti nelle aste online, la cui stima complessiva finora è di 5 milioni di dollari, ha calcolato che il prodotto interno lordo pro capite di Norrath sorpassa quello di paesi come l'India e che il tasso di cambio tra pezzi di platino e dollaro è superiore a quello dello Yen. L'analisi di Castronova, "Virtual Worlds: A First-Hand Account of Market and Society on the Cyberian Frontier", è stata scaricata da almeno 16.000 persone ed è tuttora uno degli articoli più richiesti sull'Economics Research Network e il Social Science Research Network, librerie online che raccolgono migliaia di ricerche prodotte da economisti e sociologi di fama internazionale. EverQuest è presentato come un esperimento virtuale sui fondamenti del commercio, un'opportunità di rispondere ad annosi quesiti economici: quali sono le condizioni necessarie allo sviluppo dei mercati, quale dev'essere il ruolo del governo in rapporto al capitalismo e fino a che punto l'eguaglianza influisce sullo sviluppo economico? Presupposto fondamentale per l'economia di Norrath, come per qualunque altra, è il fatto che le risorse sono limitate e nulla è gratuito: per sopravvivere, ogni personaggio deve lavorare, combattere e aggiudicarsi nuove abilità. A detta di molti, ciò che ha reso fiorente la società di Norrath è la condizione iniziale di uguaglianza che condividono tutti i suoi abitanti: risorse e statistiche sono le stesse per ogni personaggio all'inizio del gioco – sta all'utente decidere se rinunciare a forza e agilità per potenziare le capacità magiche del proprio avatar o puntare tutto sulla forza bruta a discapito d'intelligenza o carisma. Altrettanto importante è la scarsa ingerenza del "governo" negli scambi commerciali, limitati solo dalle regole di base del gioco: la principale differenza dell'economia di EverQuest rispetto alla nostra è che nessuno stabilisce chi possa partecipare o meno alle varie attività e nessuno impone politiche fiscali o monetarie per regolare le oscillazioni della domanda e dei prezzi (almeno non ancora). Un'altra differenza sostanziale è che quando si fallisce, nel mondo di Norrath, è sempre possibile rifarsi una vita e una nuova identità!

"Una vita in gioco"

Vita reale e vita virtuale s'incrociano anche nel mondo onirico e questa è un'ulteriore conferma del fatto che la tecnologia influenzi pesantemente il nostro modo di pensare: i giocatori più accaniti dichiarano di sognare spesso personaggi o situazioni riconducibili ai videogame, soprattutto quelli online. Ma non è neanche giusto parlare di "vita reale", perché la rete ormai è parte integrante della nostra vita reale. Se è vero che i sogni sono un riflesso delle esperienze diurne e dei nostri pensieri più reconditi, come osserva il professor Doug Davis dell'Haverford College in Pennsylvania, è perfettamente normale che sempre più gente li leghi alla propria attività online, considerata anche la dilagante presenza dei computer nella nostra vita quotidiana. Il professore stesso, qualche anno fa, era tormentato da incubi su Tetris e si domandava se non stesse dedicando troppo tempo al gioco, ma si è poi ricreduto scoprendo che metà degli appassionati di EverQuest intervistati dal suo allievo Nicholas Yee ammette di "continuare a giocare" anche nel sonno, qualcuno di fare addirittura sogni erotici ambientati nel mondo fantasy di Norrath!

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"Una vita in gioco"

Insomma, abbiamo appurato che i videogiochi non solo si stanno facendo largo nelle nostre vite al passo con la tecnologia in senso lato, ma stanno finalmente acquistando dignità anche come forma artistica ed espressiva. Per la prima volta, nel giugno di quest'anno, in una causa legale contro la violenza dei videogame nella Contea di St. Louis, si è invocato il Primo Emendamento della costituzione americana ed è stato effettivamente riconosciuto il diritto alla libertà di parola anche nell'ambito dei contenuti videoludici: secondo la corte d'appello, l'accusa non è stata in grado di fornire prove concrete sui presunti danni psicologici causati ai minori dai videogiochi e il fatto che si tratti di un mezzo nuovo non significa che le immagini, i testi, le musiche e i concetti in essi contenuti non debbano essere tutelati al pari di quelli proposti in altre forme artistiche e letterarie. E' stata una grossa conquista per l'industria videoludica e avrà serie implicazioni anche nei futuri tentativi di regolamentare la produzione e distribuzione dei giochi, recentemente minacciate da restrittive proposte di legge sia negli USA che in Europa.

Vi lascio con un consiglio di lettura, dedicato a chi mastica l'Inglese ed è interessato ad approfondire alcune tematiche sfiorate in questo speciale su "Luci e Ombre del gioco online": "Dungeons and Dreamers: the rise of computer game culture from geek to chic", pubblicato negli USA il 19 agosto ad opera di due autorevoli esperti di tecnologia, John Borland e Brad King, racconta l'evoluzione della cultura videoludica attraverso le biografie e le memorie di coloro che vi hanno dedicato la propria vita, primo fra tutti il grande Richard Garriott, "Lord British" per i fan. Il libro delinea una vera e propria antropologia del videogame, descrivendone anche l'influenza sullo sviluppo dell'industria informatica in generale. Particolare attenzione è dedicata all'impatto sociale del videogioco, che specialmente online ha il potere di avvicinare persone con interessi e valori comuni, anche se fisicamente separate da grandi distanze: le comunità virtuali sorte intorno ai MMOG hanno cancellato ogni confine geografico, economico e culturale, affermandosi come mezzi di comunicazione rivoluzionari, dei veri e propri laboratori d'interazione sociale. Infine, viene dato rilievo a un altro aspetto che abbiamo analizzato in questa sede, ovvero il potenziale didattico dei videogame: come sottolinea Garriott, che attualmente lavora per la coreana NCsoft e vive in un castello nel Texas che ricorda quello del suo alter ego digitale Lord British, il gioco di ruolo in particolare è uno dei più potenti strumenti didattici esistenti, consente di esplorare infinite modalità d'interazione sociale e non si discosta poi molto da ciò che facevano i nostri nonni quando giocavano a guardie e ladri nei cortili. Il principale obbiettivo degli autori è quello di smentire i più diffusi pregiudizi sul mondo dell'intrattenimento digitale, rivendicandone il valore artistico e il peso culturale nel contesto di tutta una storia di sviluppatori, creativi, grafici e visionari che fin dagli anni '70 hanno contribuito a portare il gioco dalla carta ai pixel, da Dungeons & Dragons ai MMORPG, da SpaceWar a Quake.

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BIBLIOGRAFIA E RISORSE DI APPROFONDIMENTO:

- D&D Tech News
- Game Research
- Nick Yee Hub
- Wired News
- Punto Informatico
- Salon
- Online Community Report
- Women Gamers
- AVN Media Network
- Philly.com
- ZDNet
- Games-to-teach Project
- National Institute on Media and the Family
- Entertainment Software Association
- Ateneo Multimediale
- USA Today
- News.com
- Slate
- The Industry Standard
- CNNMoney
- Washingtonpost.com

Il professore ideale

James Paul Gee, un'autorità in campo pedagogico negli USA, ha fatto scalpore quest'anno col libro "What video games have to teach us about learning and literacy", in cui sostiene che non solo i videogiochi siano un potente strumento didattico ma anche una forma d'arte a tutti gli effetti. Avvicinatosi ad essi all'età di 53 anni per scoprire cosa ci trovasse il figlio, ne rimase folgorato: ora possiede ogni piattaforma in commercio e presiede un corso di video game e istruzione presso l'Università del Wisconsin. A suo avviso, i videogame hanno molto da insegnare se usati in modo critico e attivo, valutandone anche i principi di progettazione e il potenziale interattivo: titoli come Deus Ex sono complessi, coinvolgenti, istruttivi e offrono interessanti spunti di riflessione e diverse visioni del mondo, ma anche i più criticati, come Grand Theft Auto III, in realtà invitano semplicemente i giocatori ad accettare un presupposto (in questo caso, guadagnarsi da vivere col crimine) e vedere come se la cavano simulando un'esperienza di vita, cosa provano, come reagiscono. Al pari di ogni altra forma d'arte, traggono la propria linfa vitale da fonti esterne (cinema, letteratura...) ma molti non ne riconoscono il lato artistico perché lo cercano nelle immagini, mentre la vera arte dei videogame risiede nella capacità di creare mondi coi quali i giocatori possano interagire mentalmente e fisicamente.