Nell'immaginario collettivo, Suda51, all'anagrafe Goichi Suda, non occupa lo stesso posto di rilievo di mostri sacri del calibro di Shigeru Miyamoto, Hideo Kojima e Shinji Mikami. Nell'ideale all-star team dei game designer più acclamati di tutti i tempi, l'affabile e pazzoide fondatore di Grasshopper Manufacture potrebbe al massimo ambire ad un posto in panchina, tra i primi a subentrare ai titolari, certo, ma pur sempre una seconda scelta.
Nonostante ciò, a ben pensarci, non sono in pochi a subire il fascino dell'eclettico sviluppatore (sottoscritto compreso), genio e sregolatezza che in quasi vent'anni di carriera sembra ben lungi dal trovare un equilibrio tra ambizioni e concretezza.
Analizzando il suo curriculum, difatti, si palesa un'unica (in)costanza, ovvero quella di dare forma a produzioni dalle immense potenzialità, puntualmente mortificate da sbavature tecniche, gameplay tutt'altro che rifiniti, trame certamente suggestive, ma non sempre contornate da una scrittura all'altezza. In altri termini, con Suda51 sembra di aver a che fare con il classico giocatore, scegliete voi di quale sport, dal talento cristallino, ma che non è mai riuscito a trovare la continuità necessaria per aggiudicarsi trofei di un certo peso.
La recente ripubblicazione di No More Heores 3, su PlayStation 4, PlayStation 5 e Xbox, rende quanto mai attuale la discussione, soprattutto considerando la parabola (discendente) di una saga che ai tempi su Nintendo Wii, nonostante tutto, seppe estasiare tanti fan. Tanti giochi, pochi davvero convincenti. Ma quindi perché amiamo tanto Suda51?
Content is king
Quelli con il pallino per le produzioni nipponiche di nicchia, titoli che spesso e volentieri non hanno mai superato ufficialmente i confini nazionali, vengono a conoscenza dell'esistenza del buon Goichi a cavallo tra il 1999 e il 2000, biennio in cui il giovane sviluppatore appone la sua firma, in qualità di direttore e sceneggiatore, su The Silver Case e Flower, Sun, and Rain.
Non si tratta dei suoi primi giochi in assoluto, il debutto è del 1993 con Super Fire Pro Wrestling 3 Final Bout, già in qualità di direttore, ma non è inesatto affermare che le opere sopracitate rappresentino il manifesto artistico di Suda51, nonché il punto d'origine di Grasshopper Manufacture, software house che fonda lui stesso nel 1998.
Entrambi i titoli ostentano trame contorte, controverse, zeppe di simbolismi criptici e passaggi enigmatici che esaltano l'eccentricità dell'artista che, sin dagli esordi, non sembra particolarmente interessato a spiegare, quanto a creare vivide suggestioni. La tendenza e preferenza ad indicare, piuttosto che a mostrare chiaramente, si riverbera ovviamente anche sul piano visivo, croce e delizia di qualsiasi produzione che porti la sua firma. Lo stile ha la priorità su tutto, anche a fronte di un'ormai conclamata difficoltà dello studio nel tirare fuori il meglio dagli hardware a disposizione.
Il messaggio prima, e spesso a discapito, di tutto. Questo suggeriscono le esperienze di The Silver Case e Flower, Sun, and Rain, un mantra che il nostro seguirà alla lettera anche nei suoi lavori successivi, a partire da quel Killer 7 che gli valse la fama internazionale, atipico FPS nato nell'ambito del così detto Capcom Five, collettivo di produzioni, inizialmente esclusive per Game Cube, di cui fecero parte anche Resident Evil 4, l'incompreso P.N.03, lo stilosissimo Viewtiful Joe e il mai completato Dead Phoenix.
L'art design ricercatissimo, la trama filtrata attraverso (almeno) sette punti di vista differenti, il gameplay che recuperava ed evolveva il concetto di sparatutto su binari, fecero la fortuna di un gioco che divenne immediatamente un cult, uno di quei titoli che offrono innumerevoli chiavi di lettura differenti, a seconda del piglio attraverso cui lo si guarda.
La magia si ripete con il poco conosciuto Contact e No More Heroes. Il primo è un particolarissimo e brillante RPG per Nintendo DS, del 2006, che usa i due schermi della fortunata console della Grande N per mettere a contatto due differenti realtà che, a loro volta, finiscono per collidere e fondersi con quella in cui vive l'utente stesso. L'altro non ha bisogno di grandi presentazioni, trattandosi forse del gioco più famoso di Grasshopper Manufacture, un action tutto smembramenti e antieroi con la battuta pronta, deliziato da un art design azzeccato e una soundtrack stilosissima.
Anche Shadow of the Damned, di cui tuttavia non va affatto sottovalutato l'apporto di Shinji Mikami, è certamente tra i titoli più noti ed apprezzati, merito soprattutto del carismatico protagonista, l'arrogante Garcia Hotspur, e dell'inusuale spalla che lo accompagna in un viaggio di sola andata per l'inferno, una sboccatissima pistola parlante. Anche Sine Mora, shooter a scorrimento in 2.5D merita una menzione d'onore, nonostante Goichi Suda sia stato coinvolto solo in veste di produttore esecutivo.
Sul resto della sua produzione, si stagliano ombre relativamente più cupe. Lollipop Chainsaw proponeva un gameplay non troppo soddisfacente; Killer is Dead sembra una copia sbiadita di No More Heroes; Let it Die è senza mezzi termini un disastro su ogni fronte; Travis Strikes Again: No More Heroes è così terribile che è cosa buona e giusta fingere che non sia mai esistito.
Un amore ribelle
Non che non manchino scheletri nell'armadio di qualsiasi game designer, ma la breve lista di titoli tirati in ballo, tratteggia i confini di un artista che pur avendo avuto i suoi picchi, non riesce mai a perfezionare la sua visione, quasi cercasse in tutti i modi di mortificare volontariamente le ambizioni delle sue opere prendendo qualche scelta di design discutibile, per non dire controproducente.
Ma per Suda51, dicevamo, il messaggio è tutto. Santa Destroy, la disabitata e desolante città che fa da sfondo alla carneficina di Trevis Touchdown, è una chiara denuncia agli open world, vuoti e ripetitivi, che saturavano il mercato già nei primi anni del nuovo millennio, un intento artistico drastico e a suo modo lodevole, che tuttavia costringeva l'utente a noiosi tragitti a bordo di una moto malamente controllabile o, peggio, a racimolare qualche soldo prendendo parte a minigiochi semplicemente frustranti.
Il capo di Grashopper Manufacture, insomma, non è uno che scende a compromessi e preferisce correre il rischio di fare a botte con il suo pubblico, piuttosto che cercare un facile e vuoto compromesso.
Anche in questo senso, No More Heroes funge da perfetto esempio. Videogioco tarantiniano all'apparenza, cela tra cut-scene e linee di dialogo il sofferto viaggio di formazione del suo protagonista, costretto a rivivere e superare i traumi che lo hanno reso un adulto immaturo ed intimamente fragile.
La propensione alla scomposizione continua, che sfocia nel puro meta e nella messa in discussione di ogni elemento costitutivo di un qualsiasi videogioco, è ciò che rende tanto affascinante l'operato artistico di Suda 51, un processo che non risparmia neanche lo stesso game designer che, come abbiamo visto, con Killer is Dead giunge al plagio di sé stesso, prima di puntare la pistola contro il suo brand più noto e fare fuoco, tra un Travis Strikes Again che tenta quasi un inelegante reboot e un No More Heroes 3 che ripropone, fuori tempo massimo, uno scenario open-world che non è altro che una parodia del macro-genere di riferimento e, soprattutto, della serie stessa.
Si svela così l'arcano, il motivo di un amore tanto insensato, folle, ribelle. Suda51 è un game designer coerente con la sua visione fino alle estreme conseguenze. Romanticamente, guardiamo a questo ecclettico artista con un pizzico di nostalgia per l'adolescente perduto che alberga nel nostro animo, sempre in lotta con tutto e tutti, pur di tenere fede ai propri ideali.
C'è una sorta di transfert, nei suoi personaggi che non si fanno scrupoli ad essere ciò che sono, in titoli che pur di proporre un messaggio specifico si fanno beffe degli standard, qualitativi e di approccio, imposti dal comune sentire e da un'industria ormai adagiata su determinati cardini fissi.
Suda51, con le sue scelte fuori dal comune e il desiderio di non conformarsi mai, è un po' come quel parente alternativo e fuori dagli schemi che un po' ammiravamo e un po' guardavamo con sentita preoccupazione durante i pranzi in famiglia, attratti dal suo modo di essere, spaventati all'idea di ritrovarsi, un giorno, a dover vivere come lui fuori da qualsiasi categoria e con gli occhi di tutti puntati addosso.
I suoi giochi non saranno perfetti e certamente manca nel suo curriculum il capolavoro senza tempo che possa mettere comprovare il suo talento cristallino una volta per tutte, ma di sicuro non sono mai opere banali o prive di anima, anche quando il fallimento è su tutti i fronti. E a volte, per fare della buona arte non serve molto altro.