The Light.
Dopo 11 anni, il 5 Maggio 1992, esce così "Wolfenstein 3D". Sviluppato dalla allora emergente iD (che fino ad allora si erano fatti conoscere solo per i divertimenti, ma nulla di più, platform della serie Commander Keen) e distribuito dalla Apogee di Scott Miller, "Wolfenstein 3D" (d'ora in poi Wolf3D) fu quello che può essere definito, a tutti gli effetti, un vero e proprio Istant Classic: il genere degli FPS (First Person Shooter) era appena nato.
Cosa bisognava fare in Wolf3D? Semplice, prendete il concept di "Castle Wolfenstein" riportatelo in una prospettiva in prima persona ed avrete il Gameplay del capolavoro iD. Una sorta di labirinto dove, dietro ogni angolo, porta o più nascosto anfratto, poteva celarsi un nazista pronto a spararci. Le nostre Soundblaster erano sfruttate fino all'ultimo KiloHertz e, ancor oggi, ricordiamo con nostalgia alle urla di intimidazione che emettevano le SS una volta che ci scoprivano.
Il gioco originale era composto da 6 episodi e alla fine di ognuno di essi il protagonista del gioco, tale William Joseph Blazkowicz, doveva incontrare il tipico Boss di fine zona che per essere ucciso necessitava di quintalate di piombo e di centinaia d'imprecazioni. Giocato oggi "Wolfenstein 3D" perde molto del suo fascino, sicuramente non è munito di quel fattore rigiocabilità di cui invce titoli come Tetris, Pacman o lo stesso DooM sono riccamente dotati.
Diventiamo programmatori.
Seppure non possa essere definito il primo videogioco tridimensionale a scorrimento continuo della storia dei PC (la Looking Glass uscì, qualche mese prima, con l'altrettanto mitico Ultima Underworld) Wolf3D fu il primo gioco ad implementare il Ray-Casting, ossia una particolare tecnica di rendering ideata dallo stesso John Carmack (lo storico lead programmer della iD) che permetteva di avere una fluidissima grafica "simil-tridimensionale" a tutto schermo.
Si, avete letto bene: "simil-tridimensionale". A differenza degli engine più ambiziosi infatti, che si riproponevano di riprodurre ambienti interamente tridimensionali a discapito però dell'elevata potenza di calcolo necessaria (la misera finestrella in stile francobollo utilizzata da Ultima Underworld ne era un rampante esempio), il motore grafico di Wolf3D si basava sulla semplice riproduzione di una mappa bidimensionale composta da normalissimi caratteri.
Durante la ricostruzione delle varie scene tridimensionali, veniva utilizzato un raggio che partiva dall'osservatore (x,y) ed andava verso l'esterno fino ad incontrare gli ostacoli rappresentati nella suddetta mappa (i caratteri diversi da spazio) . Una volta incontrato un ostacolo il raggio quindi ritornava una distanza che veniva poi utilizzata per calcolare l'altezza verticale dell'ostacolo stesso. Più in particolare l'altezza è inversamente proporzionale alla distanza dell'osservatore. Questa operazione veniva ripetuta per tutte le direzioni comprese nell'angolo di visuale, comprese tra -30 e + 30 gradi dall'asse verticale dell'osservatore, per un numero di volte pari alla risoluzione orrizontale utilizzata dalla grafica.
In soldoni vuol dire che utilizzando il RayCasting per riprodurre una scena alla tipica, per allora, risoluzione MCGA (320*200 pixel) bastava riepilogare i calcoli desunti da 320 singole tracciature, utilizzando invece un algoritmo in vero 3D (come il RayTracing) le tracciature necessarie diventano 320x200 = 64.000, quindi l'intero processo di calcolo sarebbe stato più lento nell'ordine di almeno 200 grandezze.
Tali semplificazioni nel processo di calcolo portavano inevitabilmente ad alcune limitazioni che, seppure marginalmente, furono poi superate da titoli come DooM. Ci riferiamo all'angolo formato dai muri che erano SEMPRE di 90 gradi, oppure all'altezza dei soffitti che rimaneva sempre costante. Ma queste, dinanzi al nuovo tipo di meraviglie grafiche che si potevano ammirare sui CRT a 14'' dell'epoca, erano solo sottigliezze e non impedirono certo, da li a poco, il proliferarsi di sempre nuovi e più numerosi cloni alla ricerca della nuova età dell'oro.
Tutte le incarnazioni di Wolfie.
Si fa spesso molta confusione sulle varie edizioni di Wolf3D, non che la cosa abbia molta importanza certo, tuttavia, visto che si parla della storia di questo gioco, non possiamo non approfondire questo pur sempre triviale argomento.
La prima uscita di Wolf3D fu, come già detto, per opera della Apogee Software che distribuì i 6 episodi del gioco, come sua consuetudine, attraverso il già allora fiorente circuito Shareware. Dopo pochi mesi, visto l'imponente successo del gioco, esce Spear of Destiny una versione retail, nel senso più classico del termine, formata da venti inediti livelli raggruppati in un unico episodio e distribuita dalla FormGen Corporation. Questa è la versione che molti giornali dell'epoca hanno recensito sulle loro pagine e quella che, soprattutto in Europa, molti di noi hanno avuto il piacere di giocare. I primi due episodi di Spear of Destiny uscirono anche sotto forma di DEMO ed è per questo che spesso si fa riferimento, erroneamente, a questa versione come agli episodi Shareware di Wolf3D.
Dopo pochi mesi entra in ballo anche la GT Software (futura GT Interactive e publisher della iD prima della Activision) che decide di vendere gli originali 6 livelli, con un nuovo packaging e nulla più, attraverso il normali Software Store.
Nel 1994 escono "Wolfenstein 3D - Mission 2: Return to Danger" e " Wolfenstein 3D - Mission 3: Ultimate Challenge." Due datadisk per Spear of Destiny distribuiti sempre dalla fantomatica FormGen.
Addirittura nel 1998 invece, sotto etichetta Activision, nasce una nuova riedizione di Wolf3D che, corredato da un Installer per Windows 95 (!!) racchiude nella lussuosa scatola cartonata tutte le versioni di Wold3D uscite fino ad allora, dagli originali 6 episodi Shareware fino agli ultimi due episodi sviluppati per Spear of Destiny.
Un motore per tutti.
Seguendo le orme dell'illustre predecessore anche Wolf3D diede quindi il via, seppure in maniera leggermente diversa, alla creazione di numerosi titoli basati sul fortunato motore grafico sopradescritto, fra questi ricordiamo i due capitoli fantascientifici di Blake Stone (Aliens Of Gold e Blake Stone: Planet Strike), i miseri Catacomb 3-D e Catacomb Trilogy, i mediocri "Corridor 7:Alien Invasion" e "Operation Body Count" e il seguito mancato "Rise Of The Triad: Dark War".
Il progetto "Rise Of Triad: Wolfenstein 3D Part II" nacque, infatti, dalla mente di un novello Tom Hall (avete bisogno di presentazioni?) che, solo in un secondo momento, decise di sfruttare il motore, pesantemente modificato, per un titolo completamente inedito e indipendente dal primo Wolf3D. Lo sviluppo del titolo si prolungò tuttavia per molto, troppo tempo, tanto che l'uscita del gioco coincise pressappoco con l'uscita di un certo DooM: quando si dice il gioco giusti nel posto sbagliato al momento sbagliato.
I due BlackStone furono giochi decisamente ben fatti, certamente non molto ambiziosi, ma proprio per questo godibili e sicuramente apprezzabili.
Ma l'engine di Wolfenstein fu portato anche su altre piattaforme diverse da quella x86. La prima conversione fu fatta nel 1994 per la console Nintendo SNES; nella più classica politica commerciale Nintendo tuttavia, vennero tagliati i particolari cruenti come la vista del sangue o l'uccisione dei pastori tedeschi. Seguirono poi altre versioni comq quella per Atari Falcon (splendido computer nato però nel periodo di decadenza della casa Statunitense) definita da molti come la migliore fra le varie reincarnazioni di Wold3D, quella per Machintosh e, non poteva certo mancare, quella per Applle II gs: il vero erede ideale di "Castle Wolfenstein".
Il ritorno di B.J.Blazkowicz.
Dopo quasi dieci anni, nel Natale del 2001, esce "Return to Castle Wolfenstein" (RtCW), sviluppato dalla Gray Matter Interactive (che si fecero le ossa con il deludente KingPin) tramite l'utilizzo dell'Engine di Quake III rappresenta sicuramente uno dei Migliori FPS del momento ma non è quello che Wolfenstein3D fu per Castle Wolfenstein.
La grafica è davanti anni luce, il Gameplay è immensamente più complesso, l'atmosfera è dannatamente più tangibile, il gioco è decisamente più divertente ... ma RtCW non rappresenta, e forse non avrebbe mai potuto rappresentare, un'ennesima "evoluzione della specie".
Vi lascio quindi con il commento che Luca "TheGrem" Paladino scrisse al termine della recensione dell'ultimo capolavoro dedicato alle avventure di questa spia americana, nata da genitori polacchi, il 15 Agosto 1911 e decorato con la Medaglia d'Onore dal Congresso Americano. Chissà, se prima o poi, non ci ritroveremo di nuovo per dei claustrofobici corridoi a correre, senza meta, con dei piani segreti nascosti nella nostra camicia. Stay a while, Stay forever.
Cosa ci lascia dentro questo Wolfenstein? Ci piace? Non ci piace? E perchè?
Se ricordate le mie parole all'inizio di quest'articolo, saprete che il mio giudizio è decisamente entusiastico e non ne ho fatto mistero. Ma vediamo perchè.
Abbiamo parlato di livello di dettaglio, abbiamo parlato di IA e credibilità, abbiamo parlato di animazioni e nuvolette di vapore, ma come contribuiscono tutti questi elementi a creare qualcosa di tanto emozionante? Semplicemente, in una parola: COINVOLGIMENTO!
Il successo di questo ricco mix risiede nel fatto che il giocatore si sente immerso in uno scenario in cui non solo è protagonista, ma dimentica persino di essere colui che muove il mouse. Senza scomodare il concetto di sospensione dell'incredulità, che sta alla base della riuscita di un buon romanzo, possiamo dire che finalmente cade il muro che divide il giocatore dal gioco.
Castle Verlassen.
Luger's Run , Eisenschwert, Adolph's Bane, The Fourth Reich, Hard Cell, Luger Me Now, Tank You Very Much, Castle Hasselhoff, Castle Verlassen, Sturmwind, Hollehammer , Hard Cell, Castle Ochtenstein.
Questi furono solo alcuni tra i nomi provvisori di uno fra i Videogiochi più famosi che la storia videoludica possa ricordare. Poi, si racconta, ad uno dei ragazzacci della iD venne in mente un vecchio videogioco che girava sui vetusti, anche per allora, Apple II ed era stato prodotto dalla "MUSE Software".
Il titolo in questione era, naturalmente, "Castle Wolfenstein" e "raccontava" le peripezie di una spia americana che doveva scappare dal Castello Wolfenstein (appunto) dopo aver rubato i piani segreti del Fuhrer in persona. I vari livelli, rigorosamente in 2d, terminavano quando tutti i nemici nazisti erano stati uccisi o quando, molto più probabilmente, il nostro alter ego veniva catturato. Il gioco, seppure oggi potrebbe far sorridere (se non peggio), al periodo consacrò definitivamente il creatore del gioco, un certo Sila Warner, nell'Olimpo dei Game designer grazie ad un gameplay affascinante e adrenalinico ed all'implementazione di soluzioni tecniche che risultavano inedite fino a quel momento. Prima fra tutte l'utilizzo del suono digitalizzato e, più in particolare, della riproduzione, quantomai realistica, delle voci delle guardie naziste che ci inseguivano.
"Castle Wolfenstein" è ricordato anche per essere stato il primo gioco ad aver dato "ispirazione" alla creazione di una MODification: "Castle Smurfenstein". Come facilmente intuibile dal nome "Castle Smurfenstein" era una Total Conversion dell'originale "Castle Wolfenstein" dove i simpatici (?) Puffi prendevano il posto dei soliti nazisti e ci puffano per tutti gli interminabili schermi.