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Videogiochi e storie infinite

Trame impossibili da seguire, avvenimenti che si dilungano per decenni... non sarà arrivato il momento di concludere le storie infinite nei videogiochi?

VIDEO di Francesco Serino   —   17/05/2021

Siamo nel 2021, ve ne siete resi conto? Ci sono serie di videogiochi che stanno festeggiando il loro venticinquesimo anniversario, un quarto di secolo sulla cresta dell'onda. Alcuni personaggi ne compiono addirittura quaranta, vero Donkey Kong? Eppure, per alcuni franchise estremamente orientati alla narrazione e alle storie, quel che prima non era un problema lo sta diventando oggi. Delle storie iniziate anni e anni fa continuano a essere portate avanti, diventando spesso racconti sempre più intricati da seguire, specialmente per chi vuole avvicinarsi a una determinata saga per la prima volta. La domanda che ci poniamo oggi verte proprio su questo aspetto: siamo sicuri che queste interminabili storyline siano un punto di forza? Non sarebbe meglio per dei franchise storici voltare pagina, lasciarsi il passato alle spalle e ripartire da zero?

In ambito cinematografico, qualcuno potrebbe pensare a Star Wars, ormai in circolazione dal 1977: eppure in quarant'anni sono arrivati nei cinema solo nove film e soltanto di recente abbiamo assistito alla proliferazione di spin-off, guarda caso proprio quando George Lucas ha abdicato in favore di Disney. La scomparsa dall'equazione del creatore originale è un elemento importantissimo, perché decaduto l'amore paterno, subentra e dilaga lo sfruttamento economico anche a discapito della qualità, e senza temere l'inevitabile stanchezza del pubblico. Con Lucas al comando, qualsiasi cosa legata a Star Wars uscisse rappresentava un evento da festeggiare, mentre oggi il pubblico ne è completamente assuefatto. Ma stiamo divagando, del resto la trama di Star Wars, il caro vecchio Guerre Stellari, è nella sua semplicità un canovaccio narrativo ottimo, perfettamente comprensibile anche senza leggerne i libri, i fumetti, e senza inseguire i personaggi tra diverse piattaforme di differenti epoche.

Vuoi goderti l'epopea degli Skywalker? Vai su Disney+ e hai tutto ciò che serve e in un pomeriggio annoiato puoi arrivarne alla fine. Al netto di remastered e remake, giocare tutti i capitoli di una serie videoludica è molto più difficile e in certi casi anche molto meno divertente, visto che gli episodi di dieci, venti anni fa non sono come quelli di oggi, non cambiano solo gli effetti speciali ma anche le soluzioni di gameplay. Cambia la fruibilità.

Resident Evil e l'horror bicefalo

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In molti casi, serie diventate oggi storiche nascevano per essere giochi prima, e racconti dopo. Prendete Resident Evil: Capcom creò la serie usufruendo di sceneggiatori che provenivano prevalentemente dalla programmazione, invece che da una formazione specifica per questo compito, senza contare che ai tempi i videogiochi non avevano nemmeno il budget per sviluppare un racconto memorabile. Spesso si faceva il classico buon viso a cattivo gioco, cercando di contestualizzare e sfruttare questi punti deboli, che è un po' quello che oggigiorno ripropongono certi sviluppatori indipendenti. Ecco perché, in Giappone, si decise che questo primo survival horror avrebbe strizzato l'occhio ai film horror di serie Z: era il massimo a cui si poteva aspirare, ed era comunque un salto notevole rispetto a quel che era stato proposto fino a quel momento in questo campo.

Dal primo Resident Evil ci separano oramai circa ventisei anni, in questo lasso di tempo abbiamo assistitolo a dei salti quantici nella qualità della scrittura e nella composizione delle immagini. A volte i videogiochi hanno offerto storie addirittura superiori a quelle proposte al cinema, eppure il gioco Capcom è ancora fermo a personaggi e storie generati quando il medium era ancora largamente immaturo, dedicato a un pubblico ancora largamente giovanissimo. L'ultimo Resident Evil Village, per quanto divertentissimo, cerca di riarrangiare elementi vecchi e nuovi, mischiando personaggi ed elementi del passato a vampiri, licantropi e mutazioni genetiche, in un'esperienza che può lasciare spaesati tanto i nuovi arrivati che i fan di vecchia data. Ed è un gran peccato, un mucchio di catene che trasforma in un Circo Barnum un titolo che in ogni altro aspetto sfiora l'eccellenza.

Assassin's Creed: Desmond per sempre

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Non molto lontano è finito Assassin's Creed, serie che non ha ancora avuto il coraggio di dire addio a una storyline che ha esaurito le sue argomentazioni già da diversi anni. La parabola di Desmond interessa solo a quegli irriducibili che rappresentano sempre più una minoranza, tra i tanti che corrono ogni volta a comprarne un nuovo capitolo. Non solo non c'è più niente da dire, ma chi aveva immaginato questa battaglia millenaria tra crociati e assassini o non fa più parte del team, o ne è diventato una delle tante ruote dentate che se ne occupano da uffici disseminati in ogni parte del mondo. Naturalmente sarebbe sciocco chiedere a Ubisoft di abbandonare la serie per crearne un'altra con un altro nome, ma forse è arrivato il momento di un reboot, o di un nuovo corso che slega quasi totalmente questi affascinanti viaggi nel tempo al contesto che diede originariamente vita alla serie.

Kingdom Hearts e il rispetto per i fan

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Forse il caso più eclatante è tuttavia quello di Kingdom Hearts, una serie che porta avanti una lore che sempre meno persone riescono a seguire, spezzettata in una dozzina di titoli diversi per piattaforme che non hanno nessuna continuità. Venti anni di una trama confusa e che ancora ha l'ardire di non chiudere gli archi narrativi aperti in principio, quasi arrivando a mancare di rispetto a un pubblico che in venti anni si è fatto una famiglia, si è costruito una carriera o ha smesso di videogiocare: il tutto senza venire a capo di questa storia con Topolino e Paperino, che s'arrocca, si reinventa, inganna e riparte come se dovesse rivelare chissà quali segreti. Il che è un peccato, perché è impossibile non apprezzare lo sforzo produttivo di Kingdom Hearts 3: la maestria che si nasconde in molte delle sue caratteristiche più riuscite, l'innegabile qualità artistica che regge in piedi l'esperienza nel suo totale. Kingdom Hearts meriterebbe molto di più, e lo meriterebbe anche il suo pubblico.

Hideo Kojima e la prigione dei creativi

Videogiochi e storie infinite

La perversione di queste meccaniche raggiunge l'apice quando si analizzano i feedback dell'utenza, divisa tra persone a cui non interessa minimamente se una storia passa cinquanta volte di mano, perdendo ogni forma di coerenza, e altri che invece vorrebbero imprigionare un autore al suo titolo più famoso. Prendiamo come esempio Metal Gear Solid, come si può sperare in un nuovo capitolo senza avere Kojima a bordo? Allo stesso tempo, come si può chiedere al director giapponese di lavorare per sempre a un solo universo, quando la sua carriera gli ha permesso di raggiungere quell'assoluta libertà creativa che ci ha regalato una gemma rara e preziosa come Death Stranding? Eppure, c'è chi vorrebbe Kojima, di nuovo, dietro nuove avventure di Solid Snake.

Ogni cosa deve avere un inizio e una fine. Basta con l'accanimento terapeutico che tiene in vita serie come zombie, nel disinteresse crescente dei più giovani a cui dovremmo prima o poi affidare le chiavi dell'industria dei videogiochi, e nell'eccitazione di chi ancora non riesce a dire addio al suo dolce passato.