È vero che pur connessi costantemente a qualcosa, siamo sempre più soli. Ce lo testimoniano persino i videogiochi che con le loro molteplici modalità online, sembrano aver dimenticato totalmente il multiplayer locale. Niente più caro vecchio split screen che ci andava bene su un quattordici pollici, figuratevi ora con gli schermi enormi che abbiamo a disposizione, e niente più idee strampalate che con le loro bizzarrie ci radunavano tutti attorno alla console. Perché il videogioco da console è sempre stato quello più sociale, il che rende l'andazzo di oggi ancora più atipico.
Portatili non portatili
Sono pochissimi i giochi pensati anche col multiplayer locale ad aver fallito il bersaglio negli ultimi anni, anzi spesso hanno avuto grandissimo successo. Joseph Fares e gli Hazelight Studios stanno facendo i soldoni puntando tutto, ma proprio tutto, sul coop da divano di It Takes Two e Split Fiction. Nintendo lo sa bene, e la sua console permette da oramai due generazioni di ingaggiare un altro giocatore all'istante: basta sfilare i Joy-Con e si è pronti per Mario Kart, Pikmin 3, Minecraft e tanti altri. Non è ironico che gli stessi giochi che ci vorrebbero sempre connessi facciano di tutto per tenerci fisicamente lontani?
Riflettevo su tutto questo ricordando le estati di tanti anni fa, e di quanto allora fosse semplice portarsi una console dietro, ficcarla in uno zaino spingendo un po'. Il passaggio da giocattolo compatto e resistente ad accessorio hi-tech ha diminuito via via la portabilità delle console. Senza Internet poi non sei mai sicuro di nulla: funzionerà tutto quando accenderai la console ultimo grido nel vecchio grottino di Piccapadula? Quanti chilometri ha fatto invece la mia prima PlayStation, e senza battere ciglio. Nell'estate del 1998, con gli amici affittammo un enorme camper con tanto di gruppo elettrogeno, direzione Amsterdam, e come prima cosa lo dotai di televisore e Play: tra Driver, un tentativo a testa, e Winning Eleven, un Round Robin dietro l'altro, fu davvero epico.
Rocker da salotto
Addirittura mi ritrovo a sentire la mancanza degli sportivi multi evento: quanto mi sono divertito per esempio con i giochi basati sulle Olimpiadi, dove a turno o contemporaneamente te la vedevi con gli amici in gare di tuffi, di triathlon, di bob. Gli sportivi erano ancora uno spasso, ed erano perfetti per questo tipo di occasioni perché tutti potevano più o meno competere senza dover imparare dozzine di combinazioni di tasti. Sono morti e sepolti anche i giochi musicali, i vari Bemani di Konami e naturalmente Guitar Hero e Rock Band. Insopportabili quei maledetti strumenti di plastica, ho davvero goduto quando li ho finalmente gettati, consunti, nel secchione; ma che bello che è stato quel periodo di immaginarie jam session tra Killer Queen, Psycho Killer e Here Comes the Sun con gli amici, brilli dopo un pranzo domenicale, esausti e rosolati dopo una giornata al mare.
Degli arcade non ne parliamo nemmeno. Un tentativo ciascuno a Crazy Taxi e il pomeriggio volava, e quando sentivi giare la chiave nella toppa subito di corsa a nascondere il posacenere, tutti nuovamente più o meno composti. I doppi a Crackdown su Mega Drive, le partite infinite a quel delirio di Super Smash TV su Super Nintendo, le corse in quattro a San Francisco Rush e poi Point Blank. Serve aggiungere altro? Forse uno dei lasciti del COVID è stato quello di spingere tutti verso esperienze più individuali, pensando che non saremmo più usciti di casa; a prescindere da cosa abbia generato questa mutazione è chiaro che nell'offerta videoludica di oggi ci sia un grosso buco da colmare.
Servono videogiochi che uniscano, ma per davvero, esperienze divertenti e anche corali. È bello e comodo starsene nella propria abitazione a contarsi il ping ma mi spiace dirvi, parafrasando Tarantino, che non è affatto lo stesso fottuto campo da gioco. Le sgomitate amichevoli, le chiacchiere, la musica, il passare da un gioco all'altro in attesa di un appuntamento estivo, dello spegni tutto e raggiungiamo gli altri o del prendi il Multitap, che stanno venendo qui a fare notte con Micro Machines V3 servono come servono i single player da affrontare in perfetta solitudine. Paradossalmente anche i giochi catalogati come single player erano comunque così sfaccettati e profondi che avere uno o due amici accanto non era visto come un problema, bensì una risorsa.
Insieme davvero
I più vecchi diranno che gli manca il tempo, i più giovani mi manderanno più semplicemente a quel paese, ma hanno ragione: la colpa è anche dell'offerta oramai striminzita che di certo non invoglia a tornare del tutto bestie sociali. Sapete a cosa ho giocato qualche mese fa con grande soddisfazione? Al mitico Buzz! in versione PlayStation 3, che ci ha fatto divertire per buona parte del dopocena. Erano anche questi i giochi per cui valeva la pena avere una console. Il processo però è iniziato da prima della pandemia, con Discord e tutti quei succedanei alle chat di gioco che hanno reso sempre più silenziose le partite in multiplayer. Tutti si sono rinchiusi nelle loro bolle, tutti si sono rinchiusi nelle loro case, le sale giochi non esistono più e non è certo nei negozi che trovi più gli appassionati.
Siamo sempre di più, evviva, e sempre più connessi, fantastico, ma nello spazio infinito della rete ci ritroviamo anche molto più lontani di prima. I LAN party esistevano anche quando era già da un pezzo possibile giocare online, ma ci andavi lo stesso sì per giocare, ma soprattutto per conoscere nuove persone, per respirare quel puzzolente ma inebriante senso di comunità, per affrontare un po' di vita insieme ad amici e sconosciuti col pretesto di una notte con Quake Arena, un'alba a Starcraft, un giro di waltzer su Unreal Tournament.