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Oggi ci lamentiamo delle recensioni che escono prima del tempo, ma come ci si informava agli albori dell'industria dei videogiochi?

Scopriamo un po' di storia del medium videoludico

NOTIZIA di Simone Tagliaferri   —   11/04/2018

Visto che oggi gli argomenti interessanti scarseggiano, ma un Parliamone non può mancare sulle vostre tavole, approfittiamone per raccontare qualcosa di interessante su come funzionava l'industria dei videogiochi ai suoi albori, leggendo alcuni passaggi del libro "Electronic Dreams: How 1980s Britain Learned to Love the Computer" di Tom Lean.

Lean racconta in modo davvero efficace l'anarchia dei primissimi anni '80 e il modo in cui i giochi arrivavano sul mercato e come ci si informava su di essi: sostanzialmente chi li sviluppava lo faceva in completa autonomia e per venderli metteva annunci sulle varie riviste disponibili allora. Stiamo parlando di vendita per corrispondenza di prodotti di cui spesso gli acquirenti non conoscevano nulla: molte inserzioni erano formate da semplici linee di testo che descrivevano i giochi a grandi linee (quando c'erano delle descrizioni) e questi ultimi venivano confezionati nelle case degli sviluppatori che si occupavano di disegnarne le copertine e di spedirli ai clienti. Alcuni, i più intraprendenti, andavano in giro per i negozi specializzati, allora non moltissimi, portando copie dei loro prodotti dentro a delle semplici bustine di plastica. Del resto, spesso il difficile non era nemmeno vendere, ma proprio far capire cosa si stesse vendendo, visto che i videogiochi erano ancora un mistero per molti.

"Sia l'industria, sia i videogiochi era influenzati dalla società e dalla cultura britannica di allora. I computer casalinghi permettevano di creare titoli a chiunque ne avesse uno e sapesse programmare. All'inizio non c'era alcuna barriera d'ingresso per entrare nel mercato dei videogiochi."

"'Spesso non sapevi niente di cosa stavi acquistando per posta', ricorda Simon Goodwin. 'Non c'era modo di avere informazioni. Avevi un nome, un prezzo e una piattaforma. E i giochi erano almeno belli? Normalmente no. Poche volte sì. Così la volta successiva ti riaffidavi a quelli da cui avevi ottenuto dei buoni prodotti.'"

Particolarmente illuminante questo passaggio in cui Jon Ritman (Match Day, Head Over Heels) racconta di come funzionavano le cose allora:

"'Pubblicare un gioco richiedeva solo la volontà di farlo. Non c'era alcun processo di approvazione da superare. Le società di sviluppo spuntavano da ogni dove e coinvolgevano differenti tipi di persone. I programmatori da cameretta diventavano imprenditori andando in cucina, adolescenti creativi lanciavano imprese di famiglia con i loro genitori, gli amici collaboravano per realizzare e vendere giochi e dei piccoli uomini d'affari s'improvvisavano publisher. Spedii il mio gioco a tre diversi publisher e tutti mi risposero nei giorni immediatamente successivi che sì, volevano comprarlo' - ricorda Jon Ritman parlando dei suoi inizi nell'industria dei videogiochi - 'Mi offrirono delle somme ridicole e ne accettai una perché non avevo idea di come funzionasse la cosa... 150 sterline. Solo Dio sa quanti soldi ci abbiano fatto.'"