Last of all he will be able to see the sun..
L’inizio di Dragon Quarter, anche per i non fan della serie, sarà abbastanza traumatico. Com’e facile immaginare, il protagonista Ryu anche in questo caso possiederà i poteri del drago, ma c’e un piccolo cambiamento: ogni volta che si userà tale potere, un contatore comincierà a salire, e se arriverà a 100 il gioco è finito. Per questo è necessaria una certa parsimonia nell’utilizzarlo, e durante l’esplorazione non sarà facile. Infatti, il titolo capcom è strutturato come un dungeon crawling, con tante piccole aree piene di nemici da sconfiggere, che fortunatamente potremo vedere sullo schermo. Una volta iniziato il combattimento, avremo di fronte un sistema di gioco che può essere definito come una via di mezzo tra Vagrant Story (perché ogni personaggio ha il suo raggio di azione) e un qualsiasi strategico ala Final Fantasy Tactics, poiché i personaggi si muovono secondo un certo criterio e con l’utilizzo di ability points. Com’e consuetudine, gli attacchi speciali sono quelli che portano via più punti, ma fortunatamente il giocatore è in grado di equipaggiare quelli che sono più utili alla situazione, e vista la presenza veramente scarna di negozi e di denaro, non sprecare troppe risorse durante il combattimento si rivela fondamentale, peraltro non soltanto per finire il gioco. Qui entra in gioco una delle caratteristiche più innovative del nuovo capito di breath of fire, ovvero la capacità di rigiocare la stessa partita con le abilità acquisite in precedenza. Questa possibilità viene data addirittura senza bisogno di finire il gioco, fin dal primo salvataggio. Ogni volta che ricomincerete infatti, nuove cut-scenes, nuovi oggetti, o nuove abilità potrebbero essere già sbloccate, questo a seconda del vostro D-ratio, che migliorerà ad ogni partita ben fatta. Questo aspetto gioca sicuramente a favore della longevità, che altrimenti sarebbe limitata dal tempo necessario per concludere il gioco, la cui durata non supera le venti ore, ma che non permette di svelare tutti segreti, se non dopo aver finito almeno un paio di volte il titolo.
...And not mere reflections of him in the water
L’austerità della trama si riflette prontamente anche nella realizzazione tecnica, che incide nella valutazione complessiva più di quanto non possa apparire a prima vista. Vi è in generale una profonda sensazione di claustrofobia, con ambientazioni sottoterra o comunque al chiuso, ricreate appositamente con pochi colori e scarne texture ma che rendono un effetto di desolazione, di un mondo che sembra in costante disfacimento, vista anche la scarsità di luoghi abitati. Sembra di essere cosi in un’enorme dungeon, intervallato solo saltuariamente dai save point o da locazioni naturali come grotte. Un cambiamento veramente notevole, considerando che i precedenti episodi erano soprattutto concepiti all’aperto. Di certo è particolare il character design in cel shading, che per quanto sia meno “kawaii” dei passati episodi, mitiga in parte l'atmosfera una vicenda dai toni adulti e dai forti contrasti. A questo va ad aggiungersi che i personaggi sono piuttosto stilizzati, cosi come i modelli poligonali dei nemici, ma conservano comunque un buon livello di dettaglio. Poco incisiva, invece, la colonna sonora, che pur vantando una guest star d’eccezione come Mitsuda, ha ben poco di memorabile e si limita ad accompagnare l’azione senza infastidire o esaltare più di tanto.
Commento
Con il quinto capitolo, anche Capcom sembra voler entrare in quel gioco di ruolo moderno, dai tratti seriosi e dalle ambientazioni sofisticate e oscure, contemplando solamente, più per la solita voglia di autocitazione che per altro, ricordi di un remoto passato con il character design e alcuni aspetti di gioco. In realtà Breath Of Fire conserva la microstruttura interna di tutti i suoi precedessori, composta da una trama esile ma ben raccontata, e un gameplay più profondo di quanto possa apparire a prima vista, rinnovandola semplicemente agli standard odierni che vogliono forti contrasti e un messaggio o comunque una iconografia in primo piano. In questo senso, la struttura rigida e incentrata sulla rigiocabilità, ma anche, in parte involontariamente, l'atmosfera e le varie locazioni, possono definirsi tra le migliori viste sulla console Sony, e al tempo stesso dei limiti non indifferenti che ne freneranno il consenso anche tra più appassionati del genere. Nota conclusiva per la versione Pal, in italiano e con la graditissima presenza del selettore 60 HZ.
- Pro:
- Atmosfera originale
- Ottimo battle system
- Longevo
- Contro:
- Longevo si, ma anche ripetitivo
- Tecnicamente non esaltante
- Non per tutti
Nei primi anni 90, Capcom era al vertice della popolarità grazie ad un picchiaduro che aveva rivoluzionato il genere: Street Fighter. Forte di questo largo consenso anche in patria, la software nipponica decise di creare una serie di rpg sulla falsariga delle celebri saghe di enix e squaresoft, ovvero Breath of fire. Il nome era piuttosto epico e rimandava alla tradizione fantasy, ma il primo capitolo del nuovo gdr si rilevò una delusione sotto diversi punti di vista, una blanda imitazione dei capolavori nipponici del genere. Capcom non si diede tuttavia per vinta, e ne realizzò prontamente il seguito, che si rilevò assai superiore al primo capitolo, pur non riuscendo a raggiungere le vette dei più grandi di quel periodo. La saga continuò negli anni successivi su Psx con risultati a tratti alterni, ma sempre mantenendo un atteggiamento poco serioso, e rappresentando cosi una spassosa alternativa alle epopee sempre più profonde degli altri publisher. Tutto questo fino a quando breath of fire non è sbarcato finalmente su Playstation 2, stravolgendo apparentemente il suo aspetto ed entrando nel nuovo millennio. Sarà veramente così oppure è tutta apparenza?