Per comprendere da subito tutta l'assurdità e la mancanza di deferenza di Death of the Reprobate, l'ultima opera di Joe Richardson, basta poco, anche solo il nome del suo protagonista: Malcolm the Shit.
Abbiamo fiducia nel vostro livello di inglese (anche perché il gioco non è tradotto in italiano), e vi assicuriamo che mai come in questo caso il nome calza a pennello al personaggio. Il nostro protagonista è un orribile tiranno che tortura i suoi cittadini per divertimento, ma che dovrà fare i conti con la propria mancanza di bontà d'animo per intascare l'eredità paterna.
D'altronde Richardson non è nuovo a questi potpourri di scorrettezza che mescolano l'arte europea rinascimentale a una comicità inglese, figlia senz'altro dei Monty Python, ma anche della cultura internettiana dei meme, con parentesi che sfociano nel surrealismo puro. Ci aveva già incantati con Four Last Things e The Procession to Calvary, e Death of the Reprobate si pone un po' come capitolo conclusivo della trilogia.
Le inattese virtù di Malcolm the Shit
Ma torniamo a Malcolm che, nel suo regno, si diverte a torturare tutti quelli che non gli vanno a genio. Sta proprio decidendo la sorte di un paio di poveracci tra una lista di fantasiose sevizie quando riceve un messaggio dal padre, Immortal John, che a dispetto del nome sta per esalare l'ultimo respiro. Per recarsi al capezzale del padre e per discutere della cospicua eredità che gli toccherà intascare, Malcolm attraversa il regno a cavallo fino ad arrivare al cospetto dell'uomo. Ma le cose non vanno proprio come ha sperato: Immortal John gli dice che non è disposto a inserire nel testamento un bullo e che, per fargli cambiare idea, dovrà portare a termine sette atti caritatevoli per altrettanti abitanti del villaggio.
Purtroppo Malcolm, che è Shit di nome e di fatto, non ha idea di cosa fare per aiutare le persone del posto. Il sacerdote che si trova accanto al letto di John gli dà un suggerimento apparentemente allegorico: il Signore ti indicherà la via. Diciamo apparentemente perché, una volta usciti dalla casa dove il padre sta per morire, Malcolm vede un pescatore e, sopra la sua testa, un grosso cartello con una freccia che lo indica. Il cartello è tenuto niente meno che da dio in persona.
È così che inizia l'avventura di Death of the Reprobate: bisogna aiutare un pescatore mancato che deve riconquistare l'affetto dei figli, una donna invidiosa del matrimonio della sorella, un uomo che non sopporta più il pianto della sua prole.
Non sembrerebbero delle buone azioni, ma non è certo la logica a regolare questo folle e splendido mondo realizzato a mo' di collage mettendo insieme opere di Rembrandt, Botticelli, Michelangelo, Hieronymus Bosch e un'infinità di altri artisti. Anche le musiche sono curatissime e sempre diegetiche. Sono parte delle schermate stesse dal momento che c'è sempre un pianista, un violoncellista o spesso una piccola orchestra che sottolinea l'atmosfera fuori dal tempo con melodie di Mozart, Bach, Chopin e Vivaldi. Ma d'altronde, se avete già giocato i titoli precedenti di Richardson, siete abituati a tanta bellezza, e alla colonna sonora curata sempre da Eduardo Antonello.
Un punta e clicca surrealista
Death of the Reprobate è un punta e clicca molto classico nelle meccaniche. Il nostro Malcolm si sposta da una schermata all'altra e può interagire con oggetti e personaggi in tre modi: parlando, guardando e toccando. Tutti e tre gli approcci sono necessari per risolvere gli enigmi che vengono proposti e che spesso sfuggono totalmente dalla logica. Abbiamo la possibilità di accedere a un inventario e di evidenziare gli elementi con cui possiamo interagire nella schermata. Il resto è demandato alla nostra capacità di intuizione. E qui si apre una questione non indifferente.
Tutto il gioco è basato su un'ironia molto grezza che sposa le parentesi più surrealiste dei Monty Python e la loro capacità di scrivere gag attorno a temi irriverenti, perfino di cattivo gusto, con soluzioni narrative lontane da ogni logica. A volte anche metareferenziali. Per darvi un'idea, il primissimo enigma del gioco prevede che convinciate un tizio che continua a lanciare pietre nel lago a smetterla, perché altrimenti sarà impossibile pescare un pesce. Recandovi nella galleria d'arte della cittadina, e convincendo un gruppo di scimmie artistoidi a cambiare le caratteristiche della tela che ospita originariamente il personaggio, sarà possibile intervenire sulla realtà del gioco e cambiare la scena fuori dalla capanna di Immortal John. E questo non è l'unico frangente nel quale si deve interagire con l'arte vera per avere la meglio sugli enigmi architettati da Richardson.
Per fortuna esiste un personaggio che incontrerete quasi subito e che, in modo molto spicciolo, vi dirà per filo e per segno come risolvere ogni situazione per andare avanti. È una trovata molto bella e divertente, perché totalmente rispettosa del vostro tempo, e perché si sposa perfettamente con l'autoironia del videogioco e con la sua autoreferenzialità.
Dentro questo calderone, però, c'è anche una bella manciata di ironia da forum e board online, quell'amore per il nonsenso tipico dei meme e un linguaggio che rimanda al gergo internettiano. Tanto per fare un esempio, il primo personaggio che appare nella storia, un carceriere che entra nelle prigioni del palazzo di Malcolm the Shit, saluta i prigionieri chiamandoli "nerd". C'è inoltre un certo utilizzo di emoticon nei testi, e in generale di un sarcasmo molto moderno che, in bocca a questi personaggi così pomposi ed eleganti, ha una funzione perfettamente dissacrante. Nella galleria d'arte, per esempio, c'è una donna che tiene sempre con sé un piccolo dipinto che raffigura lo spacco del sedere del marito. Lo sventola a destra e sinistra, mostrandolo a chiunque, anche al nostro Malcolm che non ha alcuna intenzione di sbatterci il muso. Quando, suo malgrado, viene costretto a guardarlo, parte un siparietto dove altre miniature entrano in scena intonando una melodia dedicata ai sederi che sembra pensata per finire su YouTube. Vero e proprio materiale da meme.
Una serata dissacrante
Se lo si approccia nel modo giusto, non è difficile farsi rapire dalla follia di Death of the Reprobate. Si tratta di un videogioco sicuramente atipico, che non ha intenzione di rappresentare una sfida all'intelletto del videogiocatore, e nemmeno vuole sfoggiare trovate di gameplay raffinate.
È invece più vicino a un'opera teatrale caustica, le cui scenografie sono realizzate a partire dall'arte classica. Una divertentissima (e scorrettissima) disavventura che sfocia, con il passare dei minuti, nel surrealismo più sfrenato. Allo stesso tempo è anche una satira che pone in contrasto l'eleganza e la bellezza dell'arte del XVII secolo con il mondo spietato che rappresentava, dominato da uomini di potere vili e volgari, capaci di distruggere qualunque cosa per capriccio. Dura meno di tre ore, vi farà ridere a crepapelle e vi farà innamorare del suo stile inconfondibile e della bellezza delle opere d'arte che utilizza come elementi di un enorme collage.
Conclusioni
Joe Richardson chiude la sua trilogia con un ultimo episodio gretto, volgare, scorretto e irresistibile. Death of the Reprobate è un'avventura punta e clicca che non ha peli sulla lingua e che mescola continuamente sacro e profano: da una parte c'è l'eterna bellezza dell'arte rinascimentale europea, dall'altra le empie esistenze di personaggi capricciosi e avidi. Alto e basso si mescolano in questo collage di nonsense accompagnato meravigliosamente dai brani più famosi di Chopin, Bach e tanti altri compositori immortali. Gli enigmi a volte sono così assurdi che vi faranno venire il mal di testa, ma se avete una serata no questo è l'antidoto migliore che potete trovare per farvi tornare il buon umore.
PRO
- Uno stile inconfondibile e meraviglioso
- Umorismo tagliente che non guarda in faccia a nessuno
- È capace di farvi ridere fino alle lacrime
CONTRO
- Gli enigmi hanno una logica tutta loro
- Spesso ti costringe a una spietata caccia al pixel
- Si completa in meno di tre ore