Julian Gollop ha potuto realizzare Phoenix Point grazie al successo degli XCOM di Fireaxis, che a sua volta è partita dal suo XCOM per fondare la sua eccellente serie. In realtà Gollop pensava di dare un seguito a quella fruttuosa esperienza, che ricordiamo risalire alla metà degli anni '90, da prima che Fireaxis la prendesse in mano, ma la storia ci dice che fu frenato proprio dal successo degli XCOM: come avrebbe potuto competere? Chaos Reborn, il suo gioco precedente, è venuto su con molta fatica, aggiornamento dopo aggiornamento.
Snapshot Games, il suo studio attuale, è pieno di talenti ma molto piccolo. Una pulce in confronto alla corazzata di Sid Meier, che non solo conta ottime risorse, ma anche il blasone di essere una delle migliori software house del mondo.
Phoenix Point nasce solo grazie a una campagna di crowdfunding di successo, cresce quanto può e arriva fino al punto da essere un buon gioco, con alcune meccaniche addirittura più profonde del rivale. Purtroppo, come vedremo nel corso della recensione, ha anche tanti limiti che lo frenano.
Gameplay - Combattimento
Il punto di partenza di Phoenix Point è sicuramente la serie XCOM originale, da cui eredita una visione del genere a tratti intransigente e meno incline alla semplificazione, rispetto a quella degli XCOM di Firaxis, pur mescolandola con meccaniche più moderne. Il sistema di combattimento prevede sempre un certo numero di punti azione da spendere per compiere le diverse azioni, ma mescola un po' le carte vincolandoli alla forza di volontà, elemento determinante per la resa dei nostri soldati sul campo di battaglia, che diminuisce quando si viene colpiti, quando i soldati sono troppo stanchi o quando qualcuno viene ucciso, e a diversi altri fattori che emergono con l'evolversi del gioco.
Il sistema di coperture è invece molto simile a quello di XCOM: alcuni oggetti offrono una copertura completa (esempio: muri) e altri lasciano parzialmente scoperti (esempio: guardrail).
Il tocco di genio di Phoenix Point è però tutto nel sistema di attacco, con il giocatore che ha la possibilità non solo di attaccare genericamente un avversario, con i singoli proiettili sparati dalle armi che hanno tutti una loro balistica e un loro effetto, ma anche di attivare un sistema di mira che consente di puntare arti o equipaggiamento nemico facendo danni localizzati, in modo da massimizzare certi effetti. L'utilità di questa novità emerge sin da subito con alcuni nemici generici dotati di scudi, ma se nelle prime missioni non è vitale, con il proseguo della campagna diventa sempre più essenziale da utilizzare, come ad esempio contro alcuni boss. Le dinamiche del campo di battaglia sono quindi simili, ma allo stesso tempo diverse da quelle degli XCOM, tanto da donargli una sua precisa identità, nonostante gli accostamenti siano inevitabili.
Meccaniche di gioco
Phoenix Point prevede una serie di missioni dagli obiettivi abbastanza scontati: eliminare tutti i nemici di una certa area, proteggere alcune risorse, sabotare infrastrutture e così via. Per sfruttare al meglio il sistema di gioco conviene selezionare sin da subito uno dei due livelli di difficoltà più elevati, perché quello standard e quello facile mostrano un'intelligenza artificiale davvero deficitaria in alcune situazioni.
Purtroppo qui il gioco paga molto la sua produzione, perché le mappe sono tutte molto simili tra loro, pur essendo generate proceduralmente. I problemi dell'intelligenza artificiale emergono soprattutto nelle missioni di difesa, con gli avversari che hanno qualche difficoltà di troppo a elaborare strategie di attacco efficaci e a volte se ne rimangono imbambolati, presi da qualche dubbio esistenziale su come muoversi. Da ciò non deducete che Phoenix Point sia un gioco facile, perché non è così. Anzi, è decisamente più spietato degli XCOM, soprattutto all'inizio, quando si hanno pochi uomini a disposizione, le reclute ancora non si vedono, le tecnologie sono scarse e le fazioni non si fidano di noi. Mettiamoci anche la gestione del fuoco amico, non proprio intuitiva durante le prime ore, e quella delle munizioni, che ci costringe a costruire a mano i caricatori e ad assegnarli alle truppe, e capirete che ci troviamo di fronte a un titolo ben più complesso di quanto si pensi. Ad appesantire il tutto ci pensa anche l'interfaccia, molto simile a quella degli XCOM, ma decisamente meno chiara in certi aspetti.
Fase gestionale
Come avrete capito, Phoenix Point prevede anche una sezione gestionale. Il gioco racconta della nostra lotta contro il Pandoravirus, una terribile nebbia mefitica di origine aliena che trasforma in mostri tutte le creature viventi.
La Terra è ormai in ginocchio, molti stati non esistono più e l'unica possibilità rimasta per salvarsi è quella di riunire le piccole comunità che si sono formate dopo la catastrofe, divise però dalle loro ideologie. Per farlo è stato ripristinato il Phoenix Project, un piano d'emergenza su scala globale che, partendo da risorse limitate, dovrà ricollegare le forze dell'intero pianeta (ma senza portare pacchi). Ciò si traduce nel girare per il globo a bordo di un aero base, in puro stile XCOM, esplorando i punti di interesse scovati dai radar e svolgendo missioni. Tra una missione e l'altra bisogna anche migliorare le nostre basi con infrastrutture sempre più moderne, acquisire nuovo equipaggiamento per gli operatori, curare i feriti, ricercare nuove tecnologie e parlare con le diverse fazioni scoperte (tre in totale) per ottenerne la fiducia. Solo gestendo il tutto a dovere si ottengono gli strumenti necessari per proseguire nel gioco e affrontare i pericoli più grandi.
Fondamentale è sapere che durante la campagna bisogna scegliere da che parte stare e che ciò si traduce nell'abbracciare completamente una certa linea di progressione tecnologica, che ha effetti molto forti sul gameplay. Se vogliamo, ciò rende Phoenix Point rigiocabile almeno tre volte, il che non è male visto che per finire una partita ci vogliono circa trenta ore. Delle fazioni si è già parlato più volte in fase di anteprima, ma riportiamo per comodità: una è formata da militaristi che credono di poter risolvere tutto a suon di missili, un'altra è una setta religiosa con tendenze transumaniste che vuole andare oltre la vecchia umanità a suon di mutazioni genetiche, mentre la terza è una fazione fondamentalmente anarchica, che mal sopporta le altre due.
Grafica
Dal punto di vista grafico Phoenix Point si presenta come una versione dark di XCOM, con alcune missioni dalle atmosfere lovecraftiane, tra nemici pieni di tentacoli e situazioni che sembrano uscite più da un libro horror che da uno strategico a turni. Ovviamente il livello di dettaglio è inferiore. Del resto è l'intero gioco a mostrare scelte fatte al risparmio. Ad esempio l'intero lato narrativo è affidato a dei testi e di filmati se ne vedono decisamente pochi.
Senza dubbio non se ne può fare una colpa a Gollop e i suoi, visto che certe 'decorazioni' costano, ma è inevitabile che provenendo dalla sontuosità di, ad esempio, War of the Chosen, o anche solo dalla varietà di Mutant Year Zero, ci si possa fare caso. Anche la colonna sonora è molto più oppressiva di quella del rivale, tanto da creare un'atmosfera molto più pesante e opprimente. Non male, nonostante qualche sbavatura.
Conclusioni
Phoenix Point è un titolo ambiguo: da una parte piacerà a tutti gli appassionati di strategici a turni che non temono qualche spigolosità di troppo e cercano un'esperienza vecchia scuola, dall'altra troverà sicuramente la resistenza di chi è ormai abituato ad altro. Gollop è riuscito a confezionare un altro ottimo strategico, riuscendo a dargli una sua identità nelle meccaniche di gioco. Purtroppo i limiti dell'intelligenza artificiale e la poca varietà non gli permettono di raggiungere l'eccellenza.
PRO
- Meccaniche di gioco profonde
- Rigiocabile almeno tre volte
- Piacerà agli appassionati di strategia a turni
CONTRO
- Intelligenza artificiale da rivedere
- Scarsa varietà nelle mappe
- Manca di tante rifiniture