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Project Earth: Starmageddon

La strategia in tempo reale conosce da poco tempo una nuova frontiera: quella dei giochi completamente in 3d ad ambientazione spaziale. Starmageddon ci offre un brillante esempio di questo nuovo modo di concepire la strategia, permettendo attraverso un gameplay relativamente semplice l'approccio a questo genere anche ai meno esperti

RECENSIONE di La Redazione   —   10/01/2003
Project Earth: Starmageddon
Project Earth: Starmageddon

Vivere Fuori

In un futuro non troppo prossimo, gli uomini si muoveranno alla conquista dello spazio. Dopo aver tentato vie più complesse come la terraformazione, i ricercatori si sono resi conto che il miglior modo per sopravvivere al di fuori della terra era di costruire astronavi madri della dimensione di una città, in grado di rifornirsi di materie prime e di costruire al proprio interno tutte le strutture necessarie per l’espansione. Alla guida di queste gigantesche regine dello spazio si trovano persone dotate di particolari poteri, una specie di capitano Kirk farcito di poteri psionici e mutazioni genetiche varie. Il nostro compito all’interno del gioco sarà, da buoni burattinai del terzo millennio, di muovere i fili di questi condottieri.

Project Earth: Starmageddon
Project Earth: Starmageddon

Nuove idee e vecchie glorie

Appena proiettati nel vivo dell’azione, ci si rende conto di alcune evidenze.
Principalmente il paragone con la fortunata serie Homeworld è inevitabile: entrambi sono RTS, entrambi sono ambientati nello spazio, ed entrambi godono di un sistema di gioco interamente tridimensionale.
Effettivamente la parola ‘clone’ si può affacciare alla mente, ma del resto è inevitabile che una buona idea, prima o poi, divenga a tutti gli effetti un filone a se stante (3-dimensional Real Time Strategy? Come suona 3dRTS?). I signori di Lemon Interactive, però, avevano in mente qualcosa di diverso quando hanno concepito il loro 3dRTS. Non proprio una rivoluzione, ma piuttosto un cambio di prospettiva. La particolarità di Starmageddon è una sorta di uovo di colombo: il gioco è Semplice. Non facile, ma semplice, quasi una specie di gioco degli scacchi.

Project Earth: Starmageddon
Project Earth: Starmageddon

Routine e Ruotismi

La meccanica di gioco si impara agevolmente in poco tempo: si parte con la sola astronave madre (behemoth) e con un numero limitato di risorse. La prima cosa da costruire sono gli harvester, navi delegate alla raccolta di marterie prime. La raccolta avviene in automatico. Ogni azione di base avviene in automatico, se non indicato diversamente.
Inoltre ogni unità svolge una e una sola funzione specifica, alla quale si aggiungono alcune funzioni generali. Questo è praticamente tutto quello che c’è da sapere, oltre al fatto che le unità si selezionano con il tasto sinistro e si deselezionano con il destro. Lo spostamento del punto di vista del giocatore avviene con combinazioni di mouse e frecce direzionali, oltre a una serie di comode shortcut. La pressione del tasto CTRL permette di passare all’interfaccia di gestione, sempre visibile. Aggiungete un paio di mappe ortonormali e avrete uno dei sistemi di comando più immediati degli ultimi tempi.

Project Earth: Starmageddon
Project Earth: Starmageddon

Iniziano le danze

Questo rende Starmageddon il gioco ideale per i principianti che si avvicinano alla strategia, e nel contempo ne fa per gli esperti una valida alternativa a giochi più complessi.
Starmageddon ha altre frecce al suo arco. Principalmente un apparato grafico davvero notevole, con tanto di effetti di luce, particellari, e tutta la gamma di effetti speciali in pieno stile Hollywood, fra l’altro nemmeno troppo gravosi per il sistema.
La colonna sonora, come da consegne, comprende soprattutto brani di genere ambient, che in un certo senso richiamano la grandiosità e l’alienità delle grandezze cosmiche, anche se lasciano intelligentemente il posto a sequenze più ritmate quando l’azione entra nel vivo. Notevoli anche gli effetti sonori, se non per la loro qualità, per la precisione con la quale si adattano per intensità e direzione alla posizione dell’osservatore.
I modelli delle varie astronavi sono realizzati con una notevole cura, soprattutto considerando che molto spesso si tratta di semplici unità, pur mantenendo una discreta leggerezza in termini di numero di poligoni, che consente di visualizzare un buon numero di unità senza troppo sforzo (su di un sistema di fascia media il motore inizia a dare segni di fatica quando le unità complessive superano il centinaio).

Project Earth: Starmageddon
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Sfruttare il potenziale

Sulla carta, dunque, un potenziale best-seller, soprattutto in virtù della sua semplicità e spettacolarità. Come si sa, però, il mondo è costellato di ottimi potenziali che poi non maturano e, purtroppo, Starmageddon rischia di appartenere a questa categoria. Il motivo risiede, probabilmente, proprio nella volontà di mantenere il gioco alla portata di tutti.
La prima considerazione da fare è sull’ambiente di gioco: pur essendo completamente tridimensionale (tanto che nessuno vi impedisce di ribaltare il vostro Bahamuth se volete) , le battaglie, specialmente quelle fra due fazioni, tendono forzosamente ad avere uno sviluppo planare, banalmente perchè le linee rette sono più veloci da percorrere. Qualche variazione a questo tema si ha in merito alla gestione delle risorse: la difesa degli harvester (o l’eliminazione di quelli avversari) può portarvi a qualche spostamento dall’asse principale, ma molto spesso è sufficiente costruire una flottiglia, metterla in zona settata alla massima aggressività e dimenticarsene.
Altro aspetto determinante del gioco è la scarsità di risorse: molto spesso il gioco tende a diventare una corsa all’oro, tanto che una delle strategie più efficaci è quella di investire tutti i propri fondi iniziali nella creazione di harvester, “somatizzare” un po’ in prima battuta e rifarsi quando il divario diventa insostenibile per l’avversario (tecnica che funziona soprattutto in singleplayer, meno in multiplayer dove tutti i giocatori tendono ad attuare questa strategia).

Project Earth: Starmageddon
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Conclusioni

Tutto questo potrebbe anche rientrare nella sfera delle peculiarità del gioco. Dove Starmageddon mostra però decisamente il fianco è nell’intelligenza artificiale. Principalmente i problemi sono legati agli aspetti di cui sopra: vero che il nemico tende a posizionare le sue difese tridimensionalmente intorno alla sua area, ma molto spesso un attacco da direzioni poco convenzionali (alto, basso, o comunque su piani ortogonali) paga moltissimo, soprattutto avendo l’accortezza di dirigere la flotta nel modo giusto.
Poi viene la nota realmente dolente: l’intelligenza artificiale non è in grado di fare fronte a un avversario umano. Il comportamento di base è praticamente invariato per ogni situazione e per ciascuna razza: “costruisco tanti harvester quanti posso e una o due navi d’attacco con quello che avanza, le mando a disturbare gli harvester o la nave madre dell’avversario.
Ricevo le prime risorse, tengo un po’ di riserva e costrusco difese, poi navi più grosse e mando una prima ondata. Altre risorse, più difese e navi ancore più grosse, altra ondata” e via così. Questo in modo praticamente indipendente da quanto avviene sul campo di gioco. Così l’avversario umano gestirà oculatamente le risorse (spartendole saggiamente fra i campi di battaglia), punterà alla difesa e alla raccolta selvaggia, e quando le risorse saranno in esaurimento costruirà una flotta degna di questo nome e la manderà a sferrare il suo attacco. Che il più delle volte si rivelerà fatale. Vittoria.

PRO

  • Grafica fluida e spettacolare
  • Sistema di gioco semplice e intuitivo
  • Missioni ben integrate da una trama interessante
CONTRO
  • Intelligenza artificiale non all'altezza
  • Risorse quasi sempre troppo scarse
  • Meccaniche di gioco ripetitive

Project Earth: Starmageddon
Project Earth: Starmageddon

Spazio allo Spazio

Cominciare una recensione su di un gioco ambientato nello spazio è sempre problematico. La paura di ricadere in un qualche luogo comune si affaccia praticamente ad ogni passo. La battaglia interiore contro il luogo comune è una cosa sulla quale si potrebbero scrivere libri interi. Iniziare con perle tipo “spazio, ultima frontiera” o gettarsi sul minimal – controcorrentista con amenità del tipo “anno 3027, come ogni mattina mi sveglio e guardo la Terra dalla mia finestra?”.
C’è una terza strada, più sporca e, volendo, vigliacca: è quella del flusso di pensieri. Si parte da un piccolo episodio e si racconta di come si scrive, rendendo partecipe chi legge delle proprie difficoltà e sperando nell’immedesimazione del lettore. Che, in questo caso, cerca ispirazione guardando fuori dal vetro spesso cinque centimetri della sua unità abitativa situata sul ponte n° 25.