Il videogioco al giorno d’oggi è un mass media. Un tempo non era così, un tempo il videogioco era semplicemente un media, un passatempo interattivo alieno a molti. Il paradosso, nonostante l’alta diffusione di alcune tipologie di gioco fosse già una realtà, riguardava il target che coincideva con utenti specifici, appassionati e chiusi in un mondo distante dalla realtà. Lasciamo da parte il PC che, affiancato talvolta dall’Amiga, seguiva una via elitaria avvicinandosi prima a date tematiche ma celandole sotto un alone di mistero e disconoscenza elettronica. All’epoca il primo mezzo di pubblicizzazione del videogioco era la sala giochi, e tutto ciò che usciva in maniera massiccia dall’ambito di milioni di camerette era qui accessibile ai non addetti ai lavori che, spesso sproloquiando, riempivano i giornali di commenti negativi o entusiastici lasciando trasparire ben poco della realtà videoludica e delle sue possibilità intrinseche. Ironicamente i cosiddetti scandali sono stati i primi mezzi di diffusione del videogioco al di fuori della propria sfera specifica, generando discussioni mediatiche di proporzioni planetarie. Mortal Kombat è, probabilmente, il primo vero rappresentante della rivoluzione ludica degli anni novanta, e sebbene non fosse il primo videogioco violento, la sua diffusione e l’umorismo intrinseco del secondo capitolo lo resero una vera e propria arma in grado di portare l’argomento videoludico oltre la proprio territorio d’appartenenza, attraverso i telegiornali, fino a raggiungere il cuore dei dibattiti sull’ostentazione mediatica della violenza esplicita.
Il viaggio di Mortal Kombat
Mortal Kombat è stato probabilmente il vero baluardo della grafica digitalizzata, oltre l’Amiga, oltre le avventure grafiche, all’epoca portentose, giunse a rappresentare la violenza in maniera realistica seppur esagerata, condita da mille femori e da gesti e suoni tipici dei film d’arti marziali di Hong Kong. Mortal Kombat era un mix di costumi casalinghi ricolorati al computer, pugni secchi, calci potenti, roboanti e trascinanti esaltati da sonori gonfi alternati ad urletti ridicoli e voci abissali e demoniache. La conclusione di un combattimento di Mortal Kombat è oggi, con tutta probabilità, l’elemento più conosciuto di tutta la storia dei videogiochi: la fatality, la mossa conclusiva, l’annichilimento del nemico che concentra tutta la violenza e tutta l’ironia della saga. Il secondo Mortal Kombat non migliorò solo l’aspetto visivo, ma introdusse nella saga una buona dose di tecnica seppur spartana, priva di combo, che avevano ancora da esprimersi in altri titoli, e priva di una differenza concreta tra gli stili di combattimento dei personaggi. Questo ultimo fattore era comunque bilanciato da un discreto numero di mosse particolari in grado di sbilanciare, bloccare, congelare, stordire e sbalzare l’avversario. Mortal Kombat II ha rappresentato, con tutta probabilità, la massima espressione della saga e si è rivelato in grado di carpire ed esaltare lo spirito ironico del primo capitolo, sia grazie alla realizzazione ancor più caricaturata dei combattimenti sia con l’introduzione di decine di mosse finali incluse doppie fatality, fatality di schermo e mosse di scherno, di derisione o semplicemente comiche, senza dimenticare un discreto numero di segreti. Il terzo capitolo invece, contro ogni previsione, perse gran parte del feeling della saga introducendo personaggi scadenti e poco bilanciati, mosse poco ispirate e fatality talmente esagerate da perdere sia il fascino violento sia quello ironico. Da qui Mortal Kombat ha proseguito il suo cammino nelle tre dimensioni con un capitolo povero e snaturato dai limiti delle tre dimensioni e con un quinto titolo interessante, titolo che è comunque riuscito a introdurre un sistema di combattimento valido caratterizzato dall’uso di armi e arricchito dalla presenza di diversi stili di combattimento incarnando così una sorta di fusione grossolana tra le ultime generazioni di picchiaduro tridimensionali.
Deception
Siamo quindi al cospetto di Deception il quale, senza troppa vergogna, ripercorre da vicino le orme del suo predecessore: Deadly Alliance. Ritroviamo quindi le armi, che possono essere rinfoderate a piacimento, e i tre stili di combattimento che garantiscono una certa dose di strategia durante i concitati combattimenti. Fortunatamente, anche se in modo limitato, alcune mosse hanno subito una revisione che diminuisce le pecche di bilanciamento del gioco, ma, prevedibilmente, la rimozione degli affondi e la nuova taratura non bastano a rendere Mortal Kombat un gioco realmente bilanciato. Mortal Kombat Deception resta quindi un picchiaduro a se stante, caratterizzato da combo ultra rapide, da lunghe schermaglie a distanza e da mosse decisive in grado di rendere inerme l’avversario, mosse che variano dai colpi speciali ai fendenti armati e che in molti casi si rivelano davvero troppo potenti. Gli appassionati della saga noteranno, con piacere, il ritorno dell’esagerato e teatrale uppercut che ha rappresentato la vera mossa dominante nei primi due capitoli della saga, ma anche questa aggiunta non è in grado di portare alcuna variazione nel gameplay. In definitiva, escludendo il multiplayer, solo due sono le differenze concrete tra Deception e Deadly Alliance: una è senz’altro il combo breaker, ovvero una mossa in grado di spezzare le combinazioni di colpi dell’avversario, e la seconda è rappresentata dalle death traps ovvero zone da evitare a meno di non desiderare una morte atroce.
In definitiva, escludendo il multiplayer, solo due sono le differenze concrete tra Deception e Deadly Alliance
Non solo Mortal Kombat
A bilanciare le carenze intrinseche nel sistema di gioco, Deception schiera un buon numero di varianti rispetto al classico picchiaduro, due delle quali possono essere giocate anche in multiplayer. Il Chess Combat non è altro che uno spin off degli scacchi dove schiaffi e pugni decideranno il possesso di un riquadro della scacchiera, mentre il Puzzle Combat è una versione di Puzzle Fighter vestita da Mortal Kombat dove gli scontri si decidono battagliando a Tetris. Resta infine la variante single player, ovvero il Konquest dove acquisiremo denaro per acquistare segreti, personaggi ed extra e dove potremo fare pratica di combattimento. Il Konquest non si limita a questo, ma ci reinserisce nell’universo di Mortal Kombat facendoci incontrare personaggi, ambienti e storie della saga. In definitiva la modalità si riduce a qualche quest ripetitiva e all’esplorazione degli universi di Mortal Kombat ma, come in Tobal su PSX, non è da buttar via ed è sicuramente un modo originale per accedere agli extra del gioco.
Tecnica ed atmosfera
Dal punto di vista estetico Deception non fa gridare al miracolo, ma nemmeno fa storcere il naso; in definitiva migliora decisamente rispetto a Deadly Alliance e regala maggior vita sia agli ambienti che ai personaggi. I combattenti sono più curati e più riconoscibili e il primo elemento a trarre vantaggio di questo cambiamento è l’atmosfera. Anche le animazioni sembrano migliorate consentendo una miglior visione dell’azione di gioco e l’insieme torna nuovamente ad avere il profumo dei vecchi film di arti marziali; è cosi che Deception, quasi immutato nel gameplay, si rivela più attraente e stimolante del predecessore. Le arene sono più grandi e decisamente più dettagliate e la possibilità di sfondare pareti ed oggetti incrementa sensibilmente la spettacolarità dei combattimenti. La modalità Konquest invece si presenta maluccio sia nel design, che risulta grossolano e trascurato, sia nella grafica, decisamente povera. Il sonoro è ricco, assurdo e decisamente fedele allo spirito di Mortal Kombat, dove due parole sono molto più importanti di qualsiasi altra stringa di dialogo e queste due parole non possono essere che: FINISH HIM!
in definitiva migliora decisamente rispetto a Deadly Alliance e regala maggior vita sia agli ambienti che ai personaggi
Commento
Deception non è un gioco epocale, probabilmente nemmeno un gran picchiaduro, ma d’altro canto riesce a rievocare, almeno in parte, le atmosfere di Mortal Kombat e si presenta come un titolo ricco anche se non estremamente curato. Il multiplayer è un’aggiunta da non sottovalutare, il net code è valido ed esente da lag e i minigiochi sono incredibilmente più divertenti, se giocati con un avversario umano. Se le fatality vi hanno avvicinato al mondo dei picchiaduro probabilmente gradirete il profumo di questo nuovo capitolo di MK, che invece potrebbe rivelarsi una sonora delusione per un purista del genere.
Pro:
- un po’ più “Mortal Kombat” del predecessore
- decisamente ricco di extra e minigiochi
- il primo picchiaduro 3D con multiplayer dedicato via internet
- prepotentemente rivolto agli appassionati della saga
- il sistema di combattimento è ancora poco rifinito
Multipiattaforma
Recensione GameCube, PS2 e XBox