È incredibile trovare The King of Fighters XIII sugli scaffali e rendersi improvvisamente conto che le nuove generazioni a stento conoscono SNK. Per molti è soltanto l'ennesimo picchiaduro un po' low-budget in mezzo alla carovana di proposte Capcom, per altri è il ritorno di una gloriosa software house che ha contribuito a rendere il videogioco ciò che è oggi.
Per i più vecchierelli di noi, quelli cresciuti nelle sale giochi, quel The King of Fighters un po' commuove e un po' fa male, ci ricorda magari che dovremmo spolverare il Neo Geo prima che si rovini e che Metal Slug adesso si scarica da Xbox Live per una manciata di euro, ci ricorda che fine ha fatto Samurai Spirits e che Ken dovrebbe smettere di perdere tempo con Paul Phoenix perché il suo vero rivale è Terry Bogard. Ad altri quel The King of Fighters non ricorderà un bel niente, ma per fortuna ci siamo noi che vi raccontiamo cos'era SNK e perché le vogliamo ancora bene.
Nuovi progetti
È il 1978 quando il trentenne Eikichi Kawasaki fonda la società Shin Nihon Kikaku, letteralmente "nuovo progetto giapponese". Ci vorranno altri otto anni prima che l'acronimo SNK diventi il suo nome ufficiale, nel 1986, ma nel frattempo la compagnia di Kawasaki sarà già diventata famosa per i suoi cabinati da sala giochi: è un mercato in espansione che sta riscuotendo un enorme successo e Kawasaki se n'è accorto, così dirige personalmente lo sviluppo quasi contemporaneo di uno sparatutto a scrolling verticale, Ozma Wars, e di una specie di puzzle-game, Safari Wars.
I due titoli entrano in un mercato che diventa sempre più affollato, ma SNK riesce a distinguersi soltanto nel 1981 con Vanguard, uno sparatutto a scorrimento orizzontale che diventerà a tutti gli effetti la fonte d'ispirazione per gli shooter spaziali che verranno dopo, a cominciare dal leggendario Gradius di Konami. Con Vanguard si aprono anche le porte per l'occidente: il gioco viene prima distribuito in America da Centuri, poi l'enorme successo del coin-op convince SNK a fare un grande passo con l'apertura di una divisione a Sunnyvale, in California. È il 1981 e a dirigere la baracca occidentale è John Rowe, attuale presidente di High Moon Studios (Transformers: La Battaglia per Cybertron). In Giappone gli affari per SNK vanno a gonfie vele: nel giro di soli sei anni la società di Kawasaki produce ventitré cabinati tra i quali spiccano Alpha Mission, Athena e, sopratutto, Ikari Warriors. Quest'ultimo sparatutto non solo riscuote un successo enorme, ma è anche la clamorosa occasione per cominciare a sviluppare su console: viene infatti convertito per praticamente ogni macchina da gioco sul mercato, dalle console Atari a Commodore, passando per ZX Spectrum e NES. Il successo è tale che SNK realizza due sequel e si lega particolarmente all'unica società che non sembra essere completamente devastata dalla crisi del mercato videoludico americano del 1983: Nintendo. SNK diventa uno sviluppatore third-party per Nintendo Entertainment System e converte Athena, riscontrando grandi consensi sopratutto in Giappone.
In America invece, è praticamente costretta ad aprire una nuova succursale in California con il nome SNK Home Entertainment, adibita alla gestione dei giochi per console nel territorio americano. John Rowe intanto ha lasciato la compagnia per fondare Tradewest e la direzione delle succursali americane passa a Paul Jacobs. È un periodo fantastico: il successo delle conversioni per NES induce SNK a sviluppare software appositi per la console Nintendo, cominciando con Baseball Stars nel 1989 e God Slayer (Crystalis, in America) nel 1990. Intanto il mercato delle console si sta riprendendo con l'entrata in scena di nuovi agguerriti concorrenti, in particolare SEGA con il suo Mega Drive e il TurboGrafx-16 di NEC e Hudson Soft, ai quali Nintendo risponde lanciando il Super NES. Un ambiente un po' troppo affollato per SNK, che decide quindi di evitare il conflitto delegando la conversione per console dei suoi giochi da sala a società come Takara e Romstar con l'aiuto della divisione americana. SNK infatti deve concentrarsi su un progetto davvero grandioso...
Curiosità
Vale la pena soffermarci un attimo sulla prima apparizione del nome Neo Geo, legato in modo determinante alle sale giochi. Nel 1990 debutta infatti un nuovo cabinato firmato SNK, il Neo-Geo MVS: un acronimo che sta per Multi-Video System. Il successo strepitoso di questa tecnologia è dovuto alla sua praticità: fino a quel momento i coin-op contenevano infatti un solo gioco e per sostituirlo non c'era scelta, bisognava rimuovere l'interno o il cabinato per intero. La nuova macchina di SNK invece conteneva fino a sei giochi che potevano essere sostituiti facilmente mediante una sorta di sistema a cartucce: l'operatore doveva semplicemente rimuoverne una e inserirne un'altra, minimizzando le spese e l'ingombro. Le cartucce singole costavano poco meno di cinquecento dollari, praticamente la metà di un cabinato vero e proprio!
Neo Geo
In effetti la prima console SNK non era altro che un MVS casalingo: l'aveva chiamata Neo Geo AES (Advanced Entertainment System) ed era possibile soltanto noleggiarla in alberghi e specifiche attività commerciali come ristoranti e bar. Non ci volle molto tempo prima che SNK si rendesse conto che i giocatori volevano quella console a casa propria per giocare quanto e come volevano ai loro cabinati preferiti, spaparanzati comodamente in poltrona. Ed erano disposti a spendere davvero un sacco di soldi per farlo: era il 31 gennaio 1990 e al lancio la console costava quasi seicento dollari e nella confezione erano inclusi due joystick e un gioco a scelta tra Baseball Stars e NAM-1975. Il motivo di questo prezzo esorbitante era molto semplice: tecnicamente la console SNK si mangiava a colazione le concorrenti di Nintendo e SEGA ed era in grado di replicare al cento per cento la qualità dei coin-op, una capacità impensabile per le altre console del tempo.
Ci riusciva tramite la combinazione di due processori, un Motorola 68000 16/32 bit a 12 MHz e un Zilog Z80 a 4 MHz: il primo e principale era veloce quasi il doppio rispetto a quello di Super NES e Mega Drive, inoltre la macchina disponeva di appositi chipset audio e video in grado di generare più di quattromila colori e trecentottanta sprite (contro i sessantaquattro colori e ottanta sprite della console SEGA) e riprodurre quindici canali sonori con una qualità da CD. Il confronto con la concorrenza era quindi imbarazzante, ma il prezzo era davvero poco accessibile e nel giro di qualche mese SNK rilasciò un nuovo bundle al prezzo di seicentocinquanta dollari con il gioco Magician Lord, vendendo invece la singola console con un solo joystick a quasi quattrocento dollari e ogni cartuccia a circa duecento dollari e, in qualche caso, anche di più. Può sembrare quindi un po' strano, ma nonostante tutto ci fu uno zoccolo duro di appassionati che non vedeva l'ora di aprire il portafoglio per giocare ai nuovi franchise che furono sfornati nel giro di pochi anni in un curioso binomio tra salotto e sala giochi: fu l'esordio di titoli del calibro di Art of Fighting e Super Sidekicks, dell'indimenticabile Metal Slug e il mitico Fatal Fury, di The King of Fighters e Sengoku. Pian piano Neo Geo cominciò ad ospitare le perfette conversioni di altri cabinati third-party come World Heroes e Waku Waku 7. È uno dei casi più strani e ambivalenti nella storia dei videogiochi: immaginate dunque una console così potente in grado di portarvi a casa la sala giochi, una macchina da sogno, insomma, ma così costosa che la compravano davvero in pochi, tant'è che oggigiorno avere un Neo Geo è quasi chic.
Pensate com'era diversa la situazione: oggi le console costano tutte parecchio, eppure si preferisce spendere di più per avere il top quando a quei tempi l'esatto contrario decretò la fine di SNK. Nel tentativo di restare a galla in una situazione che cominciava a farsi difficile, SNK elaborò svariate evoluzioni della sua macchina, tra le quali spicca ovviamente il Neo Geo CD: come suggerisce il nome, la nuova console si appoggiava ai ben più economici Compact Disc, tuttavia i tempi di caricamento lunghissimi la resero ancora meno desiderabile e i miglioramenti in tal senso proposti dal successore Neo Geo CDZ furono occultati da una progettazione lacunosa che portava la console a bruciarsi per surriscaldamento. Il fallimento dell'Hyper Neo Geo 64 fu il colpo di grazia: la nuova tecnologia arcade basata su un processore RISC 64 bit era stata pensata per competere con la sempre più diffusa grafica 3D, ma ironicamente SNK finì per farsi concorrenza da sola. Gli unici sette giochi sviluppati, tra i quali spiccano Samurai Spirits 64 e Fatal Fury: Wild Ambition, ricevettero un'accoglienza davvero fredda dagli stessi giocatori e critici che preferivano giocare alle normali controparti bidimensionali degli stessi franchise o al più ampio parco di videogiochi poligonali proposti da SEGA e Namco. Nel 1999 SNK aveva smesso di produrre giochi per il suo ultimo sistema arcade, rinunciando definitivamente all'idea di trasformarlo in una versione casalinga per competere con Sony PlayStation e Sega Saturn.
Neo Geo Pocket
Non tutti sanno che SNK aveva provato a sfondare anche sul mercato portatile, facendo un passo più lungo della gamba nel tentativo di fare concorrenza al diffusissimo Game Boy di Nintendo.
Nel 1998 veniva infatti lanciato soltanto in Giappone e Corea il Neo Geo Pocket, un handheld monocromatico a 16 bit su cui vennero proposte delle versioni portatili dei maggiori franchise SNK. Lo scarso successo della macchina condusse alla distribuzione di una nuova versione a colori appena un anno dopo, ma la frittata ormai era fatta: nonostante l'eccellente qualità a tutto tondo di Neo Geo Pocket Color e dei suoi videogiochi, neanche la distribuzione occidentale aiutò SNK a risollevarsi dall'imminente bancarotta. Ed è un vero peccato perché la minuscola console portatile proponeva davvero dei piccoli capolavori, tra i quali spiccava perfino uno dei primi picchiaduro crossover, il bellissimo SNK vs Capcom: Match of the Millennium con i personaggi super deformed.
La fine di SNK?
All'inizio del 2000, SNK navigava già in pessime acque, tant'è che fu acquisita dalla compagnia Aruze, meglio nota in Giappone per i suoi pachinko (il famigerato flipper nipponico). E infatti Aruze utilizzò i famosi franchise SNK per i suoi nuovi pachinko piuttosto che per il sottovalutato mercato videoludico. Il colmo fu l'accordo con Capcom per lo sviluppo di alcuni crossover: lo splendido Capcom vs SNK ebbe un enorme successo ma la maggior parte dei profitti andò a Capcom in quanto sviluppatore vero e proprio del gioco; d'altra parte, gli ottimi SNK vs Capcom: Match of the Millenium e il card-game SNK vs Capcom: Card Fighters Clash per Neo Geo Pocket Color vendettero a malapena cinquantamila copie, al punto che le succursali americane di SNK furono chiuse e smantellate nell'estate del 2000. La situazione era disperata a tal punto che Kawasaki, il quale non era certo uno scemo, si rese conto che era necessaria una manovra drastica: abbandonò dunque la compagnia insieme ad alcuni dirigenti per fondare Playmore nell'agosto del 2001.
Il 22 ottobre successivo, SNK dichiarava bancarotta e metteva all'asta i diritti sulle sue proprietà intellettuali, licenziando la maggior parte dei suoi dipendenti, molti dei quali cercarono scampo fondando assieme l'effimera società Brezzasoft. Franchise come lo strepitoso The King of Fighters finirono nelle mani inesperte della sud-coreana Eolith per almeno due anni, Metal Slug andò a Meta Enterprise (che a onor del vero ne sviluppò un dignitoso sequel) e via dicendo. Ma come dicevamo, Kawasaki non aveva fondato Playmore per puro caso, e infatti questa strategia gli permise di acquisire la maggior parte delle IP di SNK e di riassumere gran parte del personale, comprando Brezzasoft e rinominandola SNK NeoGeo Corp, poi acquistando anche Sun Amusement, un piccolo distributore che garantiva la diffusione dei coin-op sul territorio giapponese. Dopo aver stabilito nuove succursali a Hong Kong e negli Stati Uniti sotto l'egida SNK NeoGeo, Kawasaki portò a termine la sua strategia acquistando anche ADK, un'altra società in bancarotta che aveva lavorato a braccetto con SNK per molti anni, e portando in tribunale Azure nel 2002 per aver infranto i diritti su alcune IP di SNK, utilizzandole senza il consenso di Playmore: nel 2004 la corte di Osaka acconsentiva a un risarcimento di quasi sei miliardi di yen a favore di Playmore, che nel frattempo si era mossa anche contro altre compagnie per l'appropriazione di centinaia di cartucce AES, giungendo a uno strategico compromesso che garantiva ad almeno due di esse il diritto di vendere le cartucce a patto che non venissero modificate. Era il 2003 e finalmente Playmore otteneva i diritti sul logo SNK, diventando dunque SNK Playmore. Lo stesso anno, SNK Playmore chiudeva definitivamente il capitolo AES e cominciava a collaborare allo sviluppo di nuovi cabinati assieme a Sammy per i suoi cabinet Atomiswave, per poi abbandonarla a favore dei Type X2 di Taito nel 2006.
Negli anni successivi, non è stato facile riacquistare la fiducia dei giocatori e adattarsi a tanti cambiamenti, come ha dimostrato la qualità altalenante delle ultime iterazioni dei suoi franchise più famosi, a cominciare proprio da quel The King of Fighters che abbiamo citato in apertura. Oggigiorno la succursale americana di SNK Playmore risiede nel New Jersey, non più in California, e in Europa i giochi SNK Playmore sono stati distribuiti dalla società anglosassone Ignition Entertainment. SNK Playmore ultimamente ha cercato di reintrodursi in un mercato sempre più convulso procedendo a piccoli passi, cominciando a farsi un po' di pubblicità tra le nuove generazioni con numerosi porting dei suoi più grandi classici, disponibili per esempio su Virtual Console e Xbox Live Arcade. Un paio di anni fa, The King of Fighters XII aveva deluso e sconfortato i suoi fan, mostrando gli acciacchi di una società e di una tradizione provata da continue crisi e cambiamenti: nessuno avrebbe creduto che la nostra cara, vecchia SNK sarebbe tornata quella di un tempo ma se la qualità sopra le righe del tredicesimo capitolo della sua saga più conosciuta può significare qualcosa è, forse, che la speranza è l'ultima a morire. E che Terry Bogard pesta ancora come un fabbro.