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FOVE VR

Mentre tutti guardano Oculus, al CES appare il concorrente FOVE, casco di realtà virtuale dotato di tecnologia eye tracking per farci usare gli occhi come mai prima in un videogioco

PROVATO di Marco Consoli   —   09/01/2015

La fovea è la regione della retina con la massima acuità visiva. Ecco perché per lanciare il suo visore a realtà virtuale, il Chief Technical Officer Lochlainn Wilson ha pensato a FOVE.

FOVE VR

In realtà però, ci spiega nel suo piccolo stand che sta attirando l'attenzione di molti giornalisti al CES, FOVE potrebbe stare anche per "field of view enhanced", cioè campo visivo migliorato, perché in fondo di questo si tratta, un caschetto che ricorda il più noto Oculus Rift, ma che presto potrebbe insidiarlo: non soltanto perché già nella versione da prototipo ha delle linee veramente accattivanti create da un designer che ha lavorato a lungo per la catena giapponese Muji, ma anche perché, pure se sembra incredibile, propone un avanzamento rispetto al più noto concorrente, che consiste nell'utilizzo della tecnologia eye tracking. Senza contare che la socia e CEO della società, appassionata di manga e di tecnologia, è la simpatica Yuka Kojima: nessuna parentela con Hideo, ma il nome promette davvero bene. Il prototipo attualmente funziona per PC, ma l'intenzione è quella di renderlo disponibile anche per console, tanto che Lochlainn ci ha rivelato di essere già stato contattato dai dirigenti di Microsoft, interessati alla sua tecnologia. Il display del visore ha la stessa risoluzione dell'ultima versione dell'Oculus (di cui vi racconteremo dopo la prova di domani), ma all'interno del caschetto oltre alle lenti sono presenti dei sensori ad infrarossi e delle telecamere con cui è possibile in sostanza capire dove stiamo guardando nello schermo di fronte a noi.

Al CES abbiamo provato FOVE, un nuovo visore di realtà virtuale con eye tracking

La prova

Una volta indossato il casco l'impressione è che il campo visivo sia leggermente inferiore rispetto a quanto offriva l'ultima versione di Oculus, ma il livello della grafica è già piuttosto buono: si tratta di un primo prototipo e quindi non c'è molto da lamentarsi.

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Ad un certo punto appare sullo schermo un puntino verde e ci viene chiesto di compiere il classico sistema di calibrazione dell'eyetracking, fissandolo mentre si muove in vari punti ai margini e poi al centro del display. Il primo videogioco che ci viene fatto provare è un classico shoot-em-up che sembra uscito dai bar degli anni '80 e ricorda vagamente le atmosfere di Galaga, anche se lo sfondo non è lo spazio profondo ma presenta architetture fantascientifiche. Senza avere il controller in mano ruotiamo la testa a destra, sinistra, in alto e in basso per vedere le astronavi che, prima singolarmente e poi a gruppetti, appaiono nel nostro campo visivo. La novità è che per distruggerle basta semplicemente fissarle per spararvi contro un raggio laser, che reagisce con un'accuratezza e una velocità davvero impressionanti in accordo al nostro movimento oculare e alla messa a fuoco. Dopo avere insistito un po', Lochlainn ci mostra anche uno sparatutto pieno di bug, in cui ci possiamo muovere all'interno di una stazione spaziale e sparare, sempre con lo stesso principio, a una serie di soldati in stile Robocop. Il gioco in effetti arranca negli spostamenti, che stavolta si eseguono joypad alla mano, ma continua a rispondere perfettamente al puntamento oculare.

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Wilson poi ci fa notare una chicca mica male: quando guardiamo un punto vicino o lontano dell'ambiente virtuale questo viene messo a fuoco, mentre tutto il resto si sfoca, come avviene nella realtà. L'idea, ci spiega, è di creare un software di rendering che funzioni in accordo con l'eye tracking, per concentrare le risorse dell'hardware sulla zona a fuoco (che avrà così una risoluzione più alta) e sottrarle da quelle sfuocate, rendendo possibile l'utilizzo anche su computer con potenza di calcolo e grafica minore. Le idee brillanti non mancano certo a questo australiano con origini irlandesi di cui potremo presto sentire parlare ancora: ad esempio, nei videogiochi il puntamento oculare potrebbe servire a una migliore interazione con i personaggi virtuali, che potrebbero reagire al nostro sguardo diretto. "Provate a pensare a un'intelligenza artificiale emotiva che risponde al nostro sguardo", ci spiega Wilson "come ad esempio potrebbe accadere se, guardando in direzione di un luogo in cui potrebbe essere nascosto un nemico, un suo alleato decidesse di attaccarci all'improvviso per difenderlo". Le potenzialità dell'eye tracking dentro un casco di realtà virtuale ci sembrano già molto interessanti.

CERTEZZE

  • Design elegante
  • Possibilità di interazione con lo sguardo
  • Messa a fuoco che imita la realtà
  • Il prototipo è ancora un po' scomodo da indossare
  • Le potenzialità dell'eye tracking vanno esplorate
  • Il rischio è che aziende già impegnate nella VR rubino l'idea

DUBBI