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Nuovo appuntamento con la rubrica che collega il mondo dei videogiochi a cinema, musica e letteratura

RUBRICA di Davide Spotti   —   06/01/2016

Eccoci di nuovo belli pimpanti per la quinta puntata della nostra consueta rubrica in cui vi consigliamo un libro, un film e un album musicale che potreste apprezzare se avete amato un determinato videogioco, o magari un'intera serie. Dopo esserci dedicati ad Until Dawn, Metal Gear Solid V, Bloodborne e Fallout 4, è giunto il momento di tornare a prendere in considerazione i lavori di Hidetaka Miyazaki. Mancano poco più di tre mesi al lancio di Dark Souls III, pertanto ci è sembrato un buon momento per soffermarci a riflettere sulla saga, nell'intento di suggerirvi alcuni efficaci spunti di riflessione cross mediali. Buona lettura!

Miyazaki ha confermato più volte che Dark Souls trae ispirazione anche dal Ciclo Bretone

Il libro: L’ombra Del Torturatore

L'Ombra del Torturatore è il primo volume della saga chiamata Il Libro del Nuovo Sole, composta nel suo complesso da quattro differenti opere. Ciò che rende il romanzo di Gene Wolfe particolarmente in linea con l'approccio scelto da Miyazaki per Dark Souls è il linguaggio allusivo, ricco di elementi che devono essere compresi più a fondo, grazie soprattutto ad un utilizzo molto attento del linguaggio. Il setting de L'Ombra del Torturatore è futuristico ma di evidente derivazione fantasy, basti pensare che buona parte degli eventi si svolge in un'oscura città dai contorni medievali nota semplicemente come la Cittadella, tra gli ultimi baluardi di un mondo vacillante e sull'orlo di un precipizio senza ritorno.

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Il protagonista di questa oscura avventura che accomuna mitologia classica e influenze sci-fi è Severian, membro della gilda dei Ricercatori della Verità e della Penitenza. Severian nasce come semplice artigiano ma una volta entrato nell'ordine si trasforma in un implacabile e cinico torturatore. Insieme ai suoi compagni apprendisti studia per raggiungere il rango di Maestro Torturatore, giurando di seviziare e infine uccidere tutti i nemici dell'Autarca. Sarà una donna a farlo vacillare e a condurlo sulla strada dell'esilio. Rimasto solo con la propria fidata spada Terminus Est, Severian intraprenderà un viaggio verso la lontana città di Thrax, detta anche Città delle Stanze Senza Finestre, in cerca di una gemma dai poteri eccezionali. Nella sua opera Wolfe preferisce non spendersi in lunghe descrizioni della mitologia che avvolge la Cittadella e il suo universo in rovina, preferendo invece concentrarsi soprattutto sui dialoghi tra i personaggi e instaurando un meccanismo intuitivo deduttivo che punta a stimolare l'attenzione del fruitore e a mantenerlo il più possibile concentrato a quanto sta accadendo nelle pieghe dell'intreccio narrativo. Il senso di straniamento sublima nello stile della scrittura, organizzata come se si trattasse di un diario personale nel quale il protagonista ha sintetizzato le proprie esperienze e le memorie degli eventi che si sono avvicendati nel corso della vita. Sviluppandosi come un diario di memorie viene anche giustificata la tecnica del "narratore inaffidabile", per mezzo della quale il racconto presenta apparenti incongruenze o elementi mancanti che il lettore ha il compito di filtrare, interpretare e comprendere. L'importanza dei dialoghi rispetto alle spiegazioni appare allora più chiara e, come avviene nella mitologia di Dark Souls, colloca l'analisi degli avvenimenti in una prospettiva molto più interna e di portata circoscritta.

Il film: Excalibur

Identificare un film di impostazione dark fantasy che possa calzare alla perfezione rispetto alle tematiche di Dark Souls non è semplice, ecco perché abbiamo deciso di propendere per una delle dichiarate fonti di ispirazione che lo stesso Miyazaki ha affermato di aver colto durante l'ideazione della sua creatura: il ciclo Bretone. Excalibur esordì nelle sale cinematografiche nel 1981, diretto da John Boorman e interpretato da un cast di alto livello, che annoverava Helen Mirren nelle vesti di Morgana, Nigel Terry nel ruolo di Re Artù e Nicol Williamson nei panni di Merlino. Al film presero parte anche un giovane Liam Neeson e l'intramontabile Patrick Stewart, reso celebre dalle saghe di Star Trek e X-Men. Nella pellicola viene percorsa l'intera epopea di Re Artù, dalla tormentata nascita fino alla battaglia che ne decretò la morte. È un'epoca oscura, le terre britanniche sono prive di un re ma due cavalieri si contendono il dominio assoluto.

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Da un lato Uther Pendragon, dall'altro il Duca di Cornovallia. Uther viene sostenuto da Merlino, il quale gli consegna una spada magica nota col nome di Excalibur. L'inganno ordito con l'intercessione della magia permette a Uther di unirsi carnalmente con Igrayne, moglie del suo acerrimo nemico. Viene così alla luce Artù, già promesso alle cure di Merlino, sebbene Uther vacilli di fronte al giuramento reso nella notte del concepimento. Dopo aver inseguito il mago per riprendersi il figlio viene colpito e in punto di morte conficca Excalibur in una roccia. Molti anni più tardi sarà lo stesso Artù a riuscire nell'impresa di estrarre l'arma dalla sua sede e a diventare Re. Al prologo fanno seguito la creazione della mitica Tavola Rotonda, la costruzione di Camelot, il matrimonio con Ginevra, il tradimento da parte del fidato Lancillotto, fino all'epilogo che porta in scena lo scontro con il figlio illegittimo Mordred, nato dalla relazione clandestina di Artù con la sorellastra Morgana. Dando per assodata l'estrema rilevanza del Ciclo Bretone nell'ambito della mitologia medievale, la valenza del collegamento con Dark Souls si evidenzia in particolare per la caratterizzazione oscura con la quale vengono descritte la Britannia e le vicende che scandiscono il mito di Re Artù. Siamo distanti anni luce dalla simpatica rappresentazione destinata ai più piccoli ideata dalla Disney con La Spada Nella Roccia o dai drammi romanzati andati in scena in epoche successive, basti pensare a Il Primo Cavaliere e al più recente King Arthur. Nell'opera di Boorman si percepiscono molto bene la durezza del mondo medievale, la lotta per il potere, il sesso e le prevaricazioni, gli intrighi di corte. E il sangue. La pellicola venne girata quasi interamente in territorio irlandese e ci fu una notevole attenzione per la realizzazione di costumi e armature. Degna di nota anche la colonna sonora, affidata al compositore cinematografico Trevor Jones e impreziosita da capolavori della musica classica come Il Crepuscolo degli Dei di Richard Wagner e i Carmina Burana di Carl Orff.

L’album: Panopticon

Pensando all'oscurità di Dark Souls, ai suoi ritmi cadenzati e circolari, viene spontaneo instaurare parallelismi con le opere firmate dagli Isis, band post metal americana passata fin troppo sotto silenzio a cavallo del millennio, ma capace di regalare alcune gemme di raro valore. Tra le opere della formazione di Boston spicca Panopticon, album pubblicato nell'ormai lontano 2004. Niente a che vedere con escalation terroristiche e fanatismo, anche se non sembra affatto un caso che la band abbia deciso di sciogliersi nel 2010, evitando di dover convivere con un nome divenuto sinonimo di pericolo. Panopticon è l'apice creativo della compagine statunitense, affine a Dark Souls per la sua densità di significato racchiusa da un'aura complessa ed ermetica. Il tema è proprio il panopticon, teorizzazione del controllo carcerario propugnata in epoca illuminista dal filosofo Jeremy Bentham e poi sviluppata in pieno novecento dal pensatore francese Michel Foucault. Nel panopticon le risorse utilizzate sono ridotte ai minimi termini mentre le forme di controllo sono spinte alle estreme conseguenze, fino a derive che potrebbero definirsi orwelliane.

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Il detenuto è controllato senza soluzione di continuità da un soggetto centrale che non si fa mai vedere ma è onnipresente. Costui si stringe come una morsa invisibile sul colpevole, accrescendone il senso di responsabilità e abituandolo al controllo. Ma la metafora carceraria serve come cartina di tornasole per qualcosa di più ampio, non è infatti un caso che l'album rechi in copertina una panoramica ripresa durante la ricognizione aerea di un drone spia. Gli Isis sono portatori di tendenze psichedeliche influenzate dai Pink Floyd, mescolate a sonorità dark ambient e industrial. Lo stile introspettivo delle composizioni ha favorito l'analisi di temi dalle chiare implicazioni filosofiche, sostenuti da una ricerca stilistica che ricorda i lavori dei Tool. Sì, perché in Panopticon vige un costante senso di ciclicità, di ineluttabilità dell'esistenza, ma allo stesso tempo si soppesano anche le frastagliate modalità di percezione dell'essere. L'opera comunica uno spettro di emozioni in più scale di grigio, descrive la voglia di evasione e di scoperta - o per meglio dire di riscoperta - così come la capacità dell'ipotetico protagonista di questo viaggio tormentato di sorprendersi nel guidare il proprio stesso rimorso e avvertire sulla pelle quanto gli errori facciano male, quanto sia sbagliato mentire a sé stessi. Ancora, e ancora. Le poche sequenze cantate lasciano spazio alla voce ruvida del frontman Aaron Turner, graffiante tanto quanto la fredda parete di una cella. All'interno di ogni singola traccia si instaura una chiara sensazione di progressione, il mosaico si amplia senza soluzione di continuità, con un apporto ciclico che viene scandito da ogni canzone. La disperazione lascia trasparire barlumi di speranza, l'odio e il senso di rivalsa combattono con l'esigenza di introspezione, la furia offre spazio a un glaciale scoramento. E come spesso accade in questi casi, ogni ulteriore ascolto serve ad entrare ancora più in profondità per cogliere tutti quei dettagli difficili da sintetizzare a mente lucida fin dal principio. In fondo, Panopticon è anche un album dal sapore cinico, riproduce con sagace realismo la sensazione di trovarsi all'interno di una gabbia dalla quale non è possibile fuggire. Tale metafora scaturisce dall'introspettiva della condizione carceraria ma sembra potersi estendere anche alla vita in senso lato, richiamando velatamente quel mito della caverna reso di nuovo d'attualità da parte dei fratelli Wachowski a cavallo del millennio. Così facendo Panopticon sembra anche riportare allo scoperto i limiti stessi del libero arbitrio, cristallizzando sotto forma di emozioni ciò che ci è obbligatorio accettare e tutto quanto non ci è concesso comprendere o in qualche modo cambiare della nostra stessa natura umana, così affascinante e al contempo contraddittoria. E' brutto ripetersi, ma Miyazaki apprezzerebbe.