Non è facile comprendere il successo di un franchise come Dragon Quest, in certi sensi così lontano dai gusti e le tradizioni occidentali. Eppure, Dragon Quest nasce proprio come risposta giapponese ai prodotti che imperversavano negli anni '80 come Ultima e Wizardry, ai quali si ispirò palesemente il suo creatore Yuji Horii, mescolando uno stile squisitamente nipponico con una profondità ludica tutta occidentale che era rara da trovare in un mercato tutto basato sull'azione arcade. E proprio così nacque quello che noi oggi identifichiamo come genere Japanese Role Playing Game, ormai rappresentato sopratutto da Final Fantasy che, paradossalmente, era nato proprio come clone di Dragon Quest. Ma se nel 1986 il primo episodio di Dragon Quest ebbe un successo stratosferico in Giappone, la versione americana (reintitolata Dragon Warrior per un conflitto di diritti sul nome DragonQuest, titolo di un gioco di ruolo cartaceo prodotto da Simulations Publications) pubblicata da Nintendo tre anni dopo fu accolta con molta indifferenza, un risultato del tutto diverso da quello ottenuto da The Legend of Zelda qualche anno prima. I successivi episodi, fino al quarto, furono pubblicati in America da Enix stessa, in un periodo in cui dovettero confrontarsi con il mercato emergente delle console a 16 bit come Sega Mega Drive, TurboGrafx 16 e Super Nintendo: l'impostazione obsoleta e il comparto grafico davvero essenziale decretarono in occidente la fine della serie fino al 2000, quando Enix rilasciò Dragon Warrior VII per PlayStation One, saltando le versioni occidentali di Dragon Quest V e Dragon Quest VI. Ma il genere JRPG era sotto i riflettori dal 1997 con Final Fantasy VII, diventato un modello per le produzioni successive: il vetusto Dragon Quest VII, acclamato in Giappone, fu accolto glacialmente dal pubblico americano. Fu forse questa reazione che convinse Enix a ripensare il suo franchise più famoso, in un mercato che guardava con sospetto e disprezzo i titoli tecnicamente low budget; gli anni successivi non furono facili per Enix: per ironia della sorte la sotware house si fuse nel 2003 alla sua più grande rivale, Squaresoft, nel tentativo di risolvere la crisi economica che affliggeva entrambe le società. Dragon Quest tornò in auge solo nel 2005, con l'ottavo episodio, proposto su PlayStation 2 in una veste completamente nuova che sfruttava ampiamente le potenzialità della macchina Sony grazie al talento dello sviluppatore Level 5. Il successo in Giappone fu clamoroso e in America (dove tornò a chiamarsi Dragon Quest) la risposta di pubblico e critica superò ampiamente quella dei precedenti episodi, ma era chiaro che il franchise era entrato in un nuovo mercato, strano e cangiante, che comportava scelte coraggiose e metamorfosi drastiche. La produzione di Dragon Quest IX: Le Sentinelle del Cielo e vari remake (a opera di Arte Piazza) per il portatile Nintendo dimostrava chiaramente che qualcosa era definitivamente cambiato.
DRAGON QUEST
Famicom / MSX (1986, 1989)
Super Famicom (1993)
Game Boy Color (1999)
Il primissimo Dragon Quest inaugurò un'alleanza che ancora oggi è alla base di ogni nuovo episodio del franchise. Yuji Horii unì le forze con Koichi Sugiyama, un musicista distintosi per alcune pubblicità televisive, e Akira Toriyama, fumettista autore del famosissimo Dragon Ball.
In realtà il NES non offriva nel 1986 i mezzi per esprimere al meglio la capacità dei due artisti e Dragon Quest fece leva per anni sulla fantasia dei giocatori. Anche la trama era assolutamente essenziale: il giocatore interpreta un eroe solitario incaricato di sconfiggere un perfido drago, salvare la principessa rapita e ritrovare un tesoro perduto. L'assenza di un party si ripercuoteva ovviamente sulle meccaniche: un solo personaggio, l'eroe, combatte un nemico alla volta, con l'ausilio di una manciata di magie. La struttura del gioco non proponeva alcun enigma o ostacolo che richiedesse l'uso del cervello, la maggior parte del gameplay ruota attorno a un ripetitivo level-grind e l'esplorazione dei pochi dungeon è minata senza dubbio dall'impostazione profondamente limitata: basti pensare che la totale oscurità costringe a utilizzare una torcia o un'apposita magia per illuminare l'ambiente, in mancanza delle quali bisogna letteralmente muoversi alla cieca. Il primo Dragon Quest presenta anche quella che diventerà la tipica interfaccia della serie, anche se ancora piuttosto primitiva e macchinosa più del necessario.
La versione americana di Dragon Quest, intitolata Dragon Warrior, mostrava alcune differenze rispetto all'edizione originale del 1986, non solo a livello grafico: oltre a scelte di adattamento più raffinate (l'inglese utilizzato per i testi era arcaico e alcuni nomi erano stati profondamente cambiati, per esempio Loto divenne Erdrick) si optò per una soluzione alternativa al sistema di password, incarnata dal salvataggio su cartuccia; inoltre, pensando che il pubblico americano avrebbe trovato il gioco troppo difficile, Nintendo distribuì una guida cartacea insieme alla cartuccia, sostituendo alla copertina disegnata da Toriyama, ancora sconosciuto in occidente, un artwork piuttosto banale. Tuttavia l'accoglienza occidentale fu a dir poco glaciale e, in tutta onestà, non era difficile biasimarli. Dragon Quest fu riproposto su MSX e poi su Super NES, ovviamente soltanto in Giappone: la seconda versione sfruttava l'engine di Dragon Quest V e apportava alla struttura originale svariati cambiamenti per renderla più accessibile e user-friendly. La stessa versione fu poi portata su Game Boy Color in un bundle assieme a Dragon Quest II, in un'edizione ridotta alle limitate capacità del handheld ma tuttavia definitivamente migliore dell'originale lanciata nel 1986.
DRAGON QUEST II
Famicom / MSX (1987, 1990)
Super Famicom (1993)
Game Boy Color (1999)
Un anno nel mondo reale equivalse a cento anni in quello di Dragon Quest quando il primo sequel fu lanciato sul mercato giapponese nel 1987: rispetto al primo episodio, Dragon Quest II (sottotitolato Akuryu ni Kamigami, traducibile come "Gli Dei Malefici") proponeva delle novità che divennero praticamente un paradigma nel genere JRPG che sarebbe esploso da lì a qualche anno. Questa volta il giocatore non è un eroe solitario, di fatti il principe di Lorasia, protagonista dell'avventura, è accompagnato da due comprimari, il principe di Samaltria e la principessa di Moonbrooke, con i quali forma il primo party nella storia di questo genere videoludico.
Il viaggio del terzetto, mirato a distruggere un perfido stregone, presenta delle notevoli evoluzioni rispetto al prequel, a cominciare ovviamente dei combattimenti che adesso impegnano il giocatore contro più nemici contemporaneamente su sfondi completamente neri. Qui cominciamo infatti a notare le caratteristiche che diventeranno un marchio di fabbrica della serie ancora nella loro forma più primitiva.
Ad esempio, già in Dragon Quest II i membri del party sconfitti in battaglia dovranno essere resuscitati nelle chiese, inoltre a un certo punto della storia i tre eroi disporranno di una nave con la quale esplorare il mondo in lungo e in largo, una feature che sarà riadattata in mille modi diversi da dozzine di JRPG, a cominciare da Final Fantasy. Sfortunatamente, l'evoluzione sfiorò soltanto il gameplay ma non la realizzazione tecnica, del tutto identica al prequel, pur con maggiore varietà cromatica. Anche stavolta l'espansione del mondo di Dragon Quest impose l'aggiunta di molteplici punti di salvataggio nella versione americana, personificati nei reggenti dei vari castelli, mentre l'edizione giapponese continuava a basarsi sulle password, ormai obsolete per la lunghezza e il tipo di esperienza. Eppure, nell'adattamento per l'occidente Dragon Quest II si imbatté in uno dei primi casi di censura nel mercato videoludico, dal momento che i membri del party deceduti in America diventavano fantasmi piuttosto che bare. Come il prequel, Dragon Quest II fu portato su MSX e poi su Super NES e Game Boy Color, sfruttando nel primo caso l'engine di Dragon Quest V e i miglioramenti apportati anche al primo episodio. La versione per Game Boy Color presentava anche un adattamento più fedele all'originale e una sequenza narrativa inedita che consentiva al giocatore una scelta sul destino di uno dei personaggi.
DRAGON QUEST III
Famicom (1988, 1992)
Super Famicom (1996)
Game Boy Color (2000)
Con il sottotitolo Soshite Densetsu e... (ovvero, Nella Leggenda...) Enix propose al mercato giapponese il terzo episodio della serie a un anno di distanza da Dragon Quest II. L'incipit del gioco non solo fece la storia del genere ma fu addirittura talmente citato da diventare praticamente un cliché, quello del protagonista che dorme e viene svegliato da un personaggio (in questo caso, la madre) e introdotto con un semplice espediente a cominciare l'avventura. Dragon Quest III getta praticamente subito la maschera, rivelandosi come la fonte d'ispirazione del recente Dragon Quest IX, in realtà però fu il primo caso in cui Enix copiò le idee di Squaresoft: fin dall'inizio del gioco è infatti possibile creare un party da zero, scegliendo la classe di ogni membro del gruppo proprio come in Final Fantasy, sugli scaffali giapponesi appena un anno prima. E come in Final Fantasy, anche in Dragon Quest III il gruppo è composto da quattro eroi, uno in più rispetto a Dragon Quest II. Le classi stesse somigliano parecchio a quelle proposte da Squaresoft nel primo episodio del suo longevo franchise: a parte il protagonista, Eroe per forza in tutti i sensi, gli altri personaggi possono essere guerrieri, soldati, pellegrini, stregoni, mercanti, buffoni, saggi e ladri.
Ogni classe presenta chiaramente vantaggi e svantaggi sia in termini di abilità che di caratteristiche fisiche, dunque viene implementata per la prima volta una vera e propria forma di strategia, culminante nella possibilità di cambiare classe ad ogni personaggio una volta raggiunto il ventesimo livello: in quel caso il personaggio tornerà a livello 1 ma manterrà le abilità e le statistiche della classe precedente, un passo avanti epocale rispetto alla semplicità del gameplay nei due episodi precedenti. Dragon Quest III implementa ulteriori elementi che diventeranno tradizionali nella serie, come la banca in cui depositare il denaro per evitare di perderlo quando si viene sconfitti o il passaggio dal giorno alla notte, che implica una variazione nei nemici da affrontare e nelle attività degli NPC, senza contare la presenza di un'arena di mostri su cui scommettere, un concetto che diventerà la base dello spin-off Dragon Quest Monsters anni dopo.
Anche la trama si rivela più complessa ed elaborata, con il protagonista impegnato a vagare per il mondo sulle orme del padre prematuramente scomparso per sconfiggere il demone Baramos, tuttavia quando l'avventura sembra ormai alla conclusione fa la sua comparsa il vero cattivone, Zoma, che dovremo inseguire in una dimensione parallela che si rivelerà essere il regno del primo Dragon Quest: il terzo episodio è infatti un prequel e il giocatore si ritroverà ad esplorare ambienti già noti e a usare artefatti proposti differentemente nei primi due episodi. Ancora una volta, Enix era effettivamente un passo avanti alla concorrenza, e l'idea dei prequel, che oggi appare addirittura abusata, fu allora un vero colpo di genio che rese la serie ancora più popolare nonostante il successo della rivale Final Fantasy e l'aspetto visivo decisamente obsoleto anche per il NES: Dragon Quest III ispirò anche la produzione di un manga, pubblicato anni fa in Italia come L'Emblema di Roto, e di una serie animata, ed è tuttora uno degli episodi più amati e importanti della saga. La versione per Super NES proposta nel 1996 sfruttò l'engine di Dragon Quest VI per un comparto tecnico decisamente più moderno e una serie di accorgimenti mirati a rendere l'esperienza più godibile, come borse per gli oggetti più capienti e perfino un'evoluzione dei personaggi basata sulla loro "personalità", peraltro determinata nel caso del protagonista da una sorta di test preliminare piuttosto originale, fatto di domande e prove. La versione Game Boy Color presenta tutti gli elementi inediti dell'edizione Super NES, compreso un dungeon extra e scene narrative inedite, ma anche ulteriori quest e feature (le Medaglie che diventeranno poi un elemento ricorrente nella serie) al prezzo della resa grafica e sonora.
DRAGON QUEST IV
Famicom (1990, 1992)
PlayStation (2001)
DS (2007)
Correva l'anno 1990, Squaresoft stava per proporre Final Fantasy III e Enix controbatteva con Dragon Quest IV, sottotitolato "Le Cronache dei Prescelti" nella più recente edizione Nintendo DS. La base narrativa è davvero una di quelle più originali nella storia dei JRPG: il giocatore infatti comincia l'avventura scegliendo il nome dell'eroe ma nei primi quattro capitoli della storia di questo personaggio non vi è traccia. Nel primo, infatti, il protagonista è un cavaliere di nome Ragnar che sarà accompagnato da un mostro in una missione di estrema importanza, per la prima - e non ultima! - volta nella serie.
Il secondo capitolo ruota attorno all'avventurosa principessa Alena e alle sue guardie del corpo. Il terzo capitolo introduce un personaggio che sarà ripreso perfino in uno spin-off, il mercante Torneko. Il suo obbiettivo? Guadagnare più soldi possibile nei modi più disparati. Maya e Meena sono le protagoniste del quarto capitolo, intenzionate a vendicare la morte del padre. Tutti questi personaggi finiranno per riunirsi sotto la guida del vero protagonista, l'Eroe, nell'ultimo capitolo, quando tutti i nodi verranno al pettine e sarà rivelato il vero nemico. Aldilà della storia, intelligente e imprevedibile secondo uno schema che sarà poi vagamente ripreso da Squaresoft in Final Fantasy VI, Dragon Quest IV propone anche delle innovazioni a livello strutturale che però non riscossero particolare successo, in particolar modo l'automatismo dei membri del party, che rende sopratutto l'ultimo capitolo piuttosto alienante, quando è possibile creare il gruppo selezionando quattro degli otto eroi disponibili. Dragon Quest IV proponeva anche alcune evoluzioni di idee già proposte nei prequel, come il casinò o le Mini Medaglie. Si dovette aspettare tuttavia ben 11 anni per godere di una versione riveduta e corretta del gioco nella forma di un vero e proprio remake, proposto per PlayStation.
Non solo una resa grafica del tutto nuova, che miscelava sprite bidimensionali animati con ambientazioni 3D, ma anche una tonnellata di aggiunte tra le quali un breve prologo e un inedito capitolo conclusivo che ruota attorno alla nemesi, Necrosaro, che si unirà addirittura al party. La caratteristica più importante di questa versione è senza dubbio la possibilità di disabilitare il controllo dell'IA per il resto del gruppo, ripresa naturalmente nella terza edizione del gioco, per Nintendo DS, impreziosita da ulteriori aggiunte rispetto alla versione PlayStation, fra le quali vale la pena menzionare un maggior numero di animazioni per i nemici, gli artwork di Toriyama nella schermata di selezione delle azioni in combattimento, una maggior velocità generale del gioco e un semplice supporto per le capacità wireless della console Nintendo. Nel corso degli anni Dragon Quest IV ha acquisito la fama di primo capitolo di una trilogia a sé stante all'interno del franchise, che prosegue in Dragon Quest V e si conclude con il sesto episodio.
DRAGON QUEST V
Super Famicom (1992)
PlayStation 2 (2004)
DS (2008)
Generalmente si dice che Dragon Quest, come serie, non brilla per trama quanto per gameplay, ma per quanto condivisibile non è certamente il caso del quinto episodio, sottotitolato "La Sposa del Destino" nella sua più recente edizione per Nintendo DS, considerato generalmente come il miglior episodio della serie, narrativamente parlando, nonché uno dei migliori JRPG di sempre. La particolarità della storia di Dragon Quest V risiede infatti nel legame emotivo che essa riesce a instaurare con il giocatore attraverso la storia di un bambino che comincerà la sua avventura con il padre, per trovarsi ben presto da solo in un mondo ostile e con una missione da compiere.
Nel corso dell'avventura il ragazzo si fa uomo, incontra l'amore e genera dei figli, poi resta vittima di un sortilegio e il giocatore assume il ruolo della sua progenie per salvarlo, quindi l'intera famiglia affronta il resto dell'avventura che tra viaggi nel tempo e dimensioni diaboliche si conclude con un finale strappalacrime.
L'idea di far girare l'avventura attorno a un nucleo familiare e le relative diramazioni è semplice ma geniale, stranamente ben poco imitata negli anni successivi a parte alcuni casi come Breath of Fire III o Phantasy Star III, e il giocatore si sente presto parte integrante di questa genealogia tramite la decisiva scelta della sposa, che paradossalmente cambia ben poco a livello narrativo. Anche dal punto di vista ludico, Enix continua a sperimentare o a evolvere le idee proposte nei precedenti episodi, aggiungendo per esempio la possibilità di reclutare i mostri affrontati e aggiungerli al party con le loro peculiari abilità. La prima edizione di Dragon Quest V per Super NES non brillava per le sue qualità estetiche ma il passo avanti fatto rispetto ai prequel a 8-bit è senz'altro notevole, sopratutto sul versante sonoro, arricchito dalle capacità della console. La prima riedizione fu quella PlayStation 2, limitata al Giappone e completamente poligonale, benché decisamente essenziale e ben lontana dai fasti dei Final Fantasy contemporanei. Più importante comunque era l'operazione di svecchiamento effettuata dagli sviluppatori Arte Piazza e Matrix Software, che cominciava dalla colonna sonora completamente riarrangiata ad elementi puramente ludici come l'introduzione di un quarto personaggio nelle battaglie e un maggior numero di mostri da poter reclutare. Paradossalmente, i giocatori occidentali hanno dovuto aspettare altri 4 anni per poter godersi pienamente il quinto Dragon Quest: l'edizione per Nintendo DS ripropone infatti un mix di ambientazioni 3D e sprite bidimensionali già visti nel remake di Dragon Quest IV, ma anche tutte le feature integrate nella versione PlayStation 2, compreso il museo e svariate sequenze narrative aggiuntive che approfondiscono le possibili spose del protagonista, rendendo l'esperienza ancora più coinvolgente.
DRAGON QUEST VI
Super Famicom (1995)
DS (2010)
Al giorno d'oggi, Dragon Quest VI è effettivamente l'unico episodio della serie a non godere di un adattamento occidentale. Ancora per poco, comunque: il remake per Nintendo DS raggiungerà i nostri scaffali probabilmente durante il 2011, con un sottotitolo ancora ignoto ma che probabilmente sarà un adattamento dell'inglese Realms of Reverie, un riferimento all'idea centrale dell'intera avventura, ispirata probabilmente da giochi di enorme successo nel '95 come The Legend of Zelda: A Link to the Past e Chrono Trigger.
Questa volta infatti il giocatore sarà alle prese con l'ennesima forza diabolica, ma il territorio dello scontro diventerà duplice quando si scoprirà un modo per viaggiare in una dimensione onirica generata dai sogni degli abitanti del mondo reale. Dopo aver incontrato vari compagni di avventura, l'Eroe protagonista dovrà viaggiare da un mondo all'altro in una serie di colpi di scena che riveleranno anche la connessione tra questo episodio e i due precedenti: Dragon Quest VI infatti è un prequel e il protagonista non è altri che il famoso Eroe leggendario che tutti citano in Dragon Quest IV e Dragon Quest V. La complicata struttura di gioco a cavallo tra due dimensioni e situazioni drasticamente differenti sarà l'ispirazione di una moltitudine di produzioni successive, rendendo questo sesto episodio a tutti gli effetti uno dei più importanti passi compiuti dal genere JRPG, ed è un peccato che Enix avesse abbandonato ormai il mercato occidentale, in quel periodo, relegando questo titolo al solo Giappone per quasi sedici anni. Anche perché, effettivamente, Dragon Quest VI si difendeva benone anche dal punto di vista tecnico, grazie ad animazioni molto più elaborate, sprite di maggiori dimensioni, scelte cromatiche azzeccate e menu decisamente più al passo coi tempi, il tutto coadiuvato da una colonna sonora tra le migliori nel franchise. Il gioco, d'altra parte, racchiudeva in sé il meglio dei primi cinque episodi, basandosi principalmente sulle idee di Dragon Quest III, condite con un pizzico di Final Fantasy V. Tornano infatti le classi ed è possibile cambiarle in qualsiasi momento visto che il livello di una classe è separato da quello del personaggio vero e proprio. In più, il gioco propone anche delle classi avanzate accessibili raggiungendo alcune combinazioni di livelli con le classi base: nonostante sia richiesto un certo livello di pazienza e pianificazione, il sistema di classi in Dragon Quest VI permette un'elevata personalizzazione del party grazie a una miriade di diverse abilità. In Dragon Quest VI fanno il loro ingresso alcuni elementi che la serie non si scrollerà più di dosso come un contenitore illimitato di oggetti, una mappa consultabile dell'intero mondo e un valore estetico basato sull'equipaggiamento.
DRAGON QUEST VII
PlayStation (2000, 2001)
Il settimo episodio della serie, il primo a essere prodotto appositamente per PlayStation e a godere di un adattamento occidentale dopo l'occasione mancata di Dragon Quest VI, è quello effettivamente meno amato dai fan della serie. Il motivo principale è probabilmente una progressione narrativa eccessivamente lenta: superare le prime ore di gioco richiede davvero parecchio pazienza, sopratutto perché lo scopo del protagonista, un comunissimo pescatore, e dei suoi bizzarri compagni di avventura (tra i quali spiccano un principe donnaiolo e una danzatrice mistica) non viene rivelato prima di svariate ore di gioco.
A quel punto si scopre che sul pianeta è rimasta soltanto l'isola del protagonista mentre tutti gli altri continenti sono stati intrappolati nel passato: tramite un misterioso artefatto il party dovrà viaggiare avanti e indietro nel tempo per salvare capra e cavoli da un potentissimo demone. In realtà la storia si complica per via delle micro-trame che riguardano le varie terre da salvare (idea poi riproposta in Dragon Quest IX) e una serie di colpi di scena nella seconda metà dell'avventura che conducono al disperato scontro finale, tuttavia la struttura ripetitiva dell'avventura rende la trama, seppur buona e impreziosita da un cast davvero gradevole, decisamente pesante: sopratutto durante le battute finali si avverte la sensazione che il giocatore debba correre in lungo e in largo solo per allungare il brodo, inoltre la trama pende eccessivamente sull'elemento sovrannaturale e divino, da sempre presente nel franchise ma in questo caso esasperato, forse sulla scia del successo di produzioni come Xenogears.
A causa anche della sua realizzazione tecnica, Dragon Quest VII ebbe un'accoglienza piuttosto gelida in America e anche il suo successo in Giappone fu abbastanza contenuto: anche per gli standard del 2001, la grafica un po' 2D e un po' 3D appariva obsoleta e grezza, a tratti peggiore di quella proposta pochi anni prima su SNES con Dragon Quest VI, nonostante addirittura i due CD in cui era diviso il gioco. Il gameplay, tuttavia, non tradisce la fama della serie: il sistema di classi proposto è una versione rielaborata di quello presente in Dragon Quest VI. I vari personaggi possono infatti cambiare classe a piacimento tra le numerose possibili; l'elemento inedito è rappresentato da abilità ibride che si ottengono aumentando il livello di determinate classi e da professioni avanzate, complesse da ottenere ma incredibilmente soddisfacenti in termini di abilità e potenza. Dragon Quest VII è forse l'episodio meno originale della serie anche a livello ludico, come dimostra la città che è possibile edificare da zero convincendo alcuni NPC a traslocare, esattamente come nella serie Suikoden di Konami che nel 2001 godeva già di enorme successo tra i possessori di PlayStation. Con questo episodio qualcuno dava per morto il franchise, ormai surclassato a livello di fama dalla nuova generazione di JRPG capeggiata da Final Fantasy, la stessa serie che era nata sulla scia di Dragon Quest e che aveva finito per ispirare Dragon Quest stessa.
DRAGON QUEST VIII
PlayStation 2 (2004, 2005)
E' quasi ironico pensare che il ritorno di Dragon Quest sia stato possibile grazie alla fusione di Enix con Squaresoft: eppure è sotto il marchio Square Enix che l'ottavo episodio emerge timidamente tra i sequel dei JRPG nati e cresciuti tra SNES e PSOne. Dragon Quest VIII, sottotitolato The Journey of the Cursed King, che riassume in Occidente il titolo originale dopo la bancarotta di Simulations Publications e l'acquisizione dei diritti sul nome Dragon Quest da parte Square Enix nel 2003, conquista subito il pubblico grazie all'operato di Level 5: un incredibile cartone animato in movimento, reso possibile dalla tecnica del cel-shading che sembra essere nata per dare vita agli artwork di Akira Toriyama.
Level 5 spazza via la convenzionale inquadratura a volo d'uccello o isometrica per posizionare la telecamera alle spalle del nostro personaggio, immerso in un mondo immenso e vagamente free-roaming, composto da foreste, spiagge, montagne, città e castelli. Uno spettacolo davvero incredibile, esteso anche al sistema di combattimento, che finalmente inquadra il party durante l'azione, e a una colonna sonora strepitosa. Purtroppo, l'eccellente aspetto tecnico è controbilanciato da una trama abbastanza semplice e priva delle particolarità che caratterizzavano i precedenti episodi: l'Eroe è l'unico abitante del regno di Trodain che non è stato trasformato in pietra dalla maledizione dello stregone Dhoulmagus. Insieme al re, trasformato in un mostriciattolo, e alla principessa, diventata un cavallo, il protagonista viaggia in lungo e in largo in cerca di una cura. A lui si uniscono il grezzo Yangus, la seducente Jessica e il valoroso Angelo: un cast memorabile e caratterizzato che lascia perdonare i pochi e prevedibili colpi di scena della storia.
Dragon Quest VIII si propone al pubblico con una struttura piuttosto semplice: accantonato il sistema delle classi, l'idea è quella di guadagnare punti abilità da spendere per migliorare le capacità dei personaggi nell'utilizzo delle armi, apprendendo nuovi attacchi e bonus. Un'idea semplice, forse non complessa e profonda come in Dragon Quest VI e Dragon Quest VIII, ma sicuramente meno confusionaria. L'elemento strategico, inoltre, è costituito dalla possibilità di spendere un turno a potenziare il prossimo attacco. Non è più possibile aggiungere i mostri al proprio party: semmai, è possibile catturarli per farli combattere in una particolare arena accessibile verso metà gioco. Inoltre, Dragon Quest VIII si adegua alla moda introducendo l'alchimia, tramite la quale è possibile consumare degli oggetti per crearne altri, idea poi ripresa in Dragon Quest IX. Nonostante alcune pecche, Dragon Quest VIII è sicuramente uno dei migliori JRPG ancora disponibili sul mercato ed è stato la miglior introduzione possibile del franchise nel mercato europeo: abbandonata la numerazione per non scoraggiare i giocatori a digiuno di storia videoludica, il titolo riscosse un enorme successo (grazie anche alla demo di Final Fantasy XII inclusa nella confezione in effetti), tale da incoraggiare Square Enix a portare nel nostro territorio anche i tre remake per Nintendo DS e alcuni spin-off che, anni fa, sarebbero rimasti prerogativa del Sol Levante.
I DUNGEON MISTERIOSI
Lo straordinario successo del franchise in Giappone diede a Enix l'idea di realizzare una serie di giochi scollegati dalla serie principale, esplorando magari generi e approcci diversi. Tutto ebbe inizio nel 1993, quando la softco si rese conto tramite vari sondaggi che il personaggio più amato di Dragon Quest IV era proprio il mercante Torneko, il quale divenne automaticamente protagonista di una serie derivata, sviluppata da Chunsoft, e intitolata Torneko no Daibouken: Fushigi no Dungeon (ovvero, La Grande Avventura di Torneko: Il dungeon dei misteri, in America conosciuto come Mysterious Dungeon), ispirata a un titolo di successo nel mercato PC, Rogue.
Lo spin-off ebbe su SNES un ottimo successo e Enix continuò la serie con un secondo e terzo capitolo, rispettivamente per PlayStation e PlayStation 2, poi riproposti su Game Boy Advance.
Neanche a dirlo, il secondo episodio, distribuito in America con il titolo Torneko: The Last Hope, fu demolito dalla critica occidentale. Se a questo punto vi è suonato un campanellino, non siete impazziti: anche in questo caso le idee di Enix furono letteralmente depredate dai concorrenti, che realizzarono le loro personalissime versioni di questo spin-off, tanto che il titolo Mysterious Dungeon ormai contraddistingue una vera e propria tipologia di videogiochi sviluppata sopratutto da Chunsoft stessa, che aveva sviluppato i primi cinque Dragon Quest. Per fare un esempio, Chunsoft sviluppò i vari Chocobo's Mysterious Dungeon per Square Enix, l'ultimo dei quali prodotto per Wii, e per Nintendo realizzò svariati spin-off di Pokémon basati sullo stesso concept. L'ultimo Mysterious Dungeon legato a Dragon Quest, comunque, risale al 2006: Shounen Yangus Fushing no Dungeon, mai rilasciato in occidente, con protagonista proprio lo stesso Yangus di Dragon Quest VIII.
MOSTRI E SPADE
Finora abbiamo reso l'idea di come le intuizioni di Enix abbiano ispirato nel corso degli anni numerose software house, in certi casi sfiorando il plagio. Non bisogna comunque pensare alla mamma di Dragon Quest come a una vittima, come dimostra la serie Dragon Quest Monsters. Nintendo stava mungendo la mucca dei Pokémon con risultati straordinari, Enix tentò di bissarne il successo: il risultato non superò le sue aspettative ma diede vita comunque a un franchise dignitoso e generalmente abbastanza amato.
Il primo episodio di Dragon Quest Monsters fu rilasciato per Game Boy Color nel 1998: il gioco permetteva di catturare i mostri della serie e assemblare veri e propri party di creature, compresi i boss più famosi e temuti. Il franchise cercava comunque di mantenere dei legami narrativi con la serie madre, nel primo episodio ad esempio proponeva alcuni personaggi di Dragon Quest VI e il terzo Dragon Quest Monsters, sottotitolato Caravan Hearts, aveva per protagonista uno dei personaggi di Dragon Quest VII.
Il secondo episodio della serie, diviso in due parti, fu adattato per il mercato occidentale da Eidos, e insieme al primo fu rilasciato in una versione tecnicamente aggiornata per PSOne, ma solo in Giappone, così come il terzo episodio. Cavalcando il successo di Dragon Quest VIII, Square Enix decise di distribuire internazionalmente anche il più recente episodio della serie, Dragon Quest Monsters: Joker, prodotto per Nintendo DS nel 2007 sfruttando un engine completamente tridimensionale e il peculiare cel-shading dell'ottavo episodio. Un nuovo Dragon Quest Monsters è in arrivo entro la fine dell'anno per Nintendo DS, le probabilità che raggiunga l'occidente a questo punto sono abbastanza elevate. D'altra parte, se c'è un vero punto di contatto tra ogni edizione del franchise, spin-off o serie madre, non può che essere il mostro più caratteristico, tipico, folle e adorabile mai partorito dalla mente di Akira Toriyama: lo Slime. Il design essenziale e spassoso rese questa creatura un vero e proprio tormentone e non si contano i gadget di ogni genere ad essa ispirati. Immancabile, dunque, uno spin-off videoludico con protagonista proprio lo Slime, battezzato in Giappone come Slime Mori Mori.
Il primo episodio, prodotto per Game Boy Advance, non raggiunse mai le coste occidentali: intitolato Slime Mori Mori Dragon Quest: Shougeki no Shippudan, era essenzialmente un clone di The Legend of Zelda in cui il giocatore assumeva il ruolo di uno Slime impegnato a salvare il suo villaggio da una banda di mostri. Il secondo episodio, Daisensha to Shippodan, incredibilmente fu adattato per il mercato occidentale con il titolo Dragon Quest Heroes: Rocket Slime. Dal punto di vista tecnico si trattava praticamente dello stesso gioco con una trama diversa e l'aggiunta di una feature che permetteva di collezionare i pezzi per costruire dei carri armati e combattere i nemici di turno tra un dungeon e l'altro. Infine, meritano di essere menzionati i coin-op ispirati alla serie, cioè Dragon Quest: Monster Battle Road e Kenshin Dragon Quest: Yomigaerishi Densetus no Ken. Il primo è un arcade, basato sulla tecnologia Taito Type X, giocabile tramite speciali carte reali con stampati sopra i dati di alcuni mostri che è possibile far combattere in una specie di arena; proprio il genere di bizzarria nipponica che è riuscita a far guadagnare un vero e proprio pozzo di soldi a Square Enix, con un sequel in dirittura d'arrivo. Il secondo è probabilmente lo spin-off più strambo in assoluto: prodotto nel 2003, si trattava di una sorta di giocattolone da collegare alla TV per poi imbracciare una spada e uno scudo con i quali affettare l'aria davanti al giocatore, colpendo contemporaneamente i nemici sullo schermo. L'idea, per quanto bizzarra, riscosse ovviamente un buon successo in Giappone, tanto da convincere Square Enix a produrne un'apposita versione per Wii: sviluppato da Eighting il gioco raggiunse anche il mercato occidentale con il titolo Dragon Quest Swords: The Masked Queen and the Tower of Mirrors. La console scelta non poteva che essere quella Nintendo per il sistema di controllo tramite Wiimote, che diventava ovviamente la spada con la quale sconfiggere i nemici su quello che era una sorta di spadatutto - perdonateci il gioco di parole - su binari.
IL FUTURO DI DRAGON QUEST
In questo speciale abbiamo velocemente ripassato la vita del franchise, dai suoi albori agli sviluppi più recenti. E' una storia di luci e ombre, essenzialmente potremmo dire che Enix ha dato vita a uno dei generi più amati del mercato videoludico ma non ha potuto fare a meno di copiare a sua volta quando si è reso necessario, nei periodi più critici probabilmente, quando il successo del genere aveva dato vita a dozzine di titoli tutti un po' simili tra loro.
Tuttavia, con i suoi punti deboli Dragon Quest resta comunque un pilastro della storia del videogioco, con il quale oggigiorno ogni nuovo JRPG tende a confrontarsi e, immancabilmente, a portarne il DNA che l'ha concepito. Dopo un periodo difficile, la serie sembra tornata in auge con l'eccellente Dragon Quest IX: Le Sentinelle del Cielo, recentemente rilasciato anche in Europa per Nintendo DS, quello che potremmo considerare una summa di tutte le migliori caratteristiche del franchise, venti anni di storia e idee condensate in una sola cartuccia. Nel futuro ci attendono nuovi spin-off e anche il misterioso Dragon Quest X, del quale sappiamo solo che è in sviluppo per Wii. L'avventura continua, dunque.