Rob Pardo è una leggenda nell'ambiente dei videogiochi. Uno di quelli che puoi trovare sulla copertina del Time, tra le persone più influenti del settore. In effetti è successo, nel 2006, quando il noto magazine americano lo inserì tra le 100 personalità dell'anno. Capita, quando sei il lead designer del team che ha inventato uno dei videogiochi di maggior successo della storia: World of Warcraft. Pardo si è costruito una lunga carriera dentro Blizzard. Ha iniziato nel 1997, passando attraverso numerosi progetti prima di arrivare al famoso MMORPG. Una figura controversa, la sua, la cui gestione non è sempre stata incensata. Anzi: ha ricevuto numerose critiche per scelte non proprio lungimiranti, come quella di voler inserire a tutti i costi una casa d'aste dentro Diablo III. Dopo aver lasciato Blizzard nel 2014, Pardo si è preso un lungo periodo sabbatico. Per riprendersi dal burnout, ci dice, in un incontro che abbiamo avuto a porte chiuse. L'occasione è la presentazione del suo nuovo team, Bonfire Studio, e del loro primo videogioco: Arkheron.
Pardo spende molto tempo a parlarci del suo studio, ed è visibilmente emozionato quando racconta di aver scelto un piccolo gruppo di persone appassionate, disposte a mettere in discussione le proprie idee. Il nome del team nasce proprio da quell'immagine: un bivacco attorno a cui sedere insieme. Ci spiega che lui e il suo team seguono diversi precetti a cui tengono fede: "gameplay comes first" è il primo, autoesplicativo; l'altro è "i grandi team fanno grandi videogiochi". Chiamandosi Bonfire, non è un caso che il loro primo titolo avesse un nome in codice che richiama il fuoco: Project Torch.
Le intenzioni iniziali erano creare una progressione dei dungeon alla Diablo (e d'altronde, come potrebbe Pardo buttare via quasi vent'anni di esperienza in quella direzione?), ma con la profondità di un Dark Souls e una forte componente PvP. Il videogioco preso come riferimento all'inizio dello sviluppo, però, è stato PlayerUnknown's Battlegrounds. Qualcosa, però, ancora non li convinceva: mancava un'idea forte, che hanno trovato in seguito, guardando anche a un altro genere, quello dei MOBA. Pardo e il suo team hanno unito tutte queste influenze e hanno creato ciò che definiscono un Ascension Royal. Lo hanno chiamato Arkheron.
Vivi e morti, insieme
Il titolo ci suggerisce già qualcosa: un contesto mitologico che richiama l'Acheronte, il fiume dell'oltretomba nella mitologia greca, che rappresentava il confine per accedere al regno dei morti. In effetti, vita e morte sono due ingredienti fondamentali dell'amalgama fantasy alla base di Arkheron: una torre abitata dagli spiriti dei morti e dai loro ricordi residui. Se nell'aspetto sembra più un reperto alieno, la dimensione interna è invece molto umana, dal momento che è creata a partire dalle memorie dei defunti che vi finiscono dentro. La sua geografia è mutevole, onirica, mai definitiva.
Ad abitarla sono gli echo, ovvero spiriti con dei conti in sospeso con il mondo dei vivi. Gli echo sono pieni di dolore e amarezza, cercano una risposta al motivo per cui non sono potuti andare oltre, fino all'eterno riposo che meritavano. Dentro di loro alberga una sola certezza: che la risposta alla loro domanda, il loro scopo finale, si trovi in cima alla torre. Ed è per questo motivo che sono disposti a tutto pur di raggiungerla. Anche ad affiancarsi ad altre due anime in pena e a sfidare gli altri morti in scontri senza esclusione di colpi. Solo una squadra riuscirà ad ascendere all'ultimo piano e troverà le risposte ai suoi perché.
Questa è la motivazione dei personaggi di Arkheron. Il come raggiungere la cima della torre, però, è assai complesso. Arkheron è un battle royale a squadre, nel quale 15 team composti da 3 giocatori ciascuno si sfidano in partite che durano fino a 25 minuti e che, a ogni piano della torre, vedono dimezzarsi il numero di team in gioco. La partita inizia come di consueto per i battle royale, scegliendo una zona della mappa in cui iniziare, e da quel momento le squadre devono vedersela prima con i mostri controllati dalla CPU, di guardia a ceste che custodiscono equipaggiamento migliore rispetto a quello iniziale, e poi con le altre triplette, per conquistare l'accesso ai piani successivi della torre.
"Immaginatela come un'enorme partita al gioco delle sedie musicali", dice Pardo, riferendosi al modo in cui procede il ritmo del videogioco: all'inizio la musica va avanti per tutti, e i team sono divisi, ognuno per fatti suoi, a potenziare i personaggi e a raccogliere equipaggiamento. Poi, a un certo punto, sulla mappa compaiono dei portali nei quali solo un numero limitato di team può entrare. È come se la musica si spegnesse all'improvviso: tutte le squadre convergono verso gli stessi punti, e inevitabilmente si scontrano.
Metà MOBA, metà hack ‘n’ slash
Pardo ci mostra a questo punto cosa succede quando il tempo stringe e i portali cominciano ad apparire sulla mappa. Poiché i posti per ascendere sono limitati, i giocatori cominciano ad affrontarsi con ferocia. Fino a questo momento, Arkheron ci ha inevitabilmente ricordato Diablo, ma nel momento in cui vediamo i giocatori collidere e cominciamo a osservare i tempi e le tattiche dello scontro, ci vengono in mente gli arena brawler più famosi. In effetti, Pardo ci dice che si sono ispirati molto a Battlerite. "Il nostro videogioco non è un hack 'n' slash puro, e non è nemmeno propriamente un MOBA. È qualcosa di unico", ci spiega.
Mentre i giocatori mettono in scena la danza di complessi movimenti per fare baiting, provocare gli avversari e poi ritirarsi in un preciso equilibrio di colpi e fughe, Pardo ci spiega come funziona l'originale sistema di equipaggiamento del gioco. Ogni personaggio dispone di quattro slot: due per le armi e due per gli accessori. "Come avete visto, il nostro gioco non è basato sugli eroi". In effetti, gli echo che vediamo non sembrano per niente caratterizzati come i protagonisti dei MOBA o degli hero shooter alla Overwatch (altro titolo Blizzard che ha un certo legame con Pardo, visto che è nato dalle ceneri del suo progetto Titan). "I nostri eroi sono gli equipaggiamenti", dice Pardo con un sorriso. Ogni oggetto fa parte di un set da quattro. Indossando due oggetti provenienti dallo stesso set, il nostro personaggio riceve dei bonus speciali alle statistiche, ma è solo quando indossa tutti e quattro gli elementi del set che viene fuori una delle principali idee di Arkheron: l'echo si trasforma in uno degli eterni, ovvero gli eroi del gioco. Nella presentazione abbiamo visto uno dei giocatori diventare Irenna, una guerriera di ghiaccio dall'aspetto minaccioso. "Irenna era la guardia del corpo di due principesse, ma ha fallito nel suo compito, e adesso ha un conto in sospeso. Quindi vuole raggiungere la cima della Torre", dice Pardo, spiegandoci che nel gioco finale saranno presenti ben dieci set.
Mentre vediamo un team avere la meglio sull'altro e ascendere al piano successivo, Pardo ci spiega che, occasionalmente, sulla mappa appaiono delle quest: mostri speciali da cacciare che danno ricompense a qualsiasi team riesca a eliminarli per primo. Chiaramente, anche in queste occasioni, le squadre convergono sullo stesso obiettivo e finiscono per affrontarsi. "Abbiamo anche un mostro immortale che interviene se i giocatori si intrattengono troppo a lungo in un piano": si chiama The Fury, ed è un essere enorme che sembra una sfinge, e dà la caccia senza pietà agli echo, eliminandoli in fretta. In una sequenza di gioco, abbiamo visto due squadre cercare di eliminarsi a vicenda, mentre la furia voleva indistintamente sbarazzarsi di tutti i giocatori.
Sconfitto l'altro team, la squadra può proseguire al piano successivo della torre. "Il fatto che i piani comunichino tra loro dà la possibilità di sfruttare i portali a proprio vantaggio. Specialmente se si arriva prima degli altri", ci mostra Pardo. "Si possono razziare tutti i tesori a disposizione, oppure si può tendere un'imboscata alla squadra che sta arrivando". Nella clip che segue vediamo concretizzarsi la sua tattica e, quando i giocatori vengono teletrasportati sul piano, vengono bersagliati dagli avversari. È una dinamica interessante, che rende le partite sempre tese. Con 45 giocatori all'inizio di ogni battle royale, siamo sicuri che il campo di battaglia sarà molto affollato, e capace di stuzzicare l'interesse del pubblico che ama questo tipo di esperienze.
Arkheron ci è sembrato pieno di idee e molto ambizioso. La volontà di legare tra loro generi che condividono un apparente filo conduttore, come l'hack 'n' slash, l'arena brawler e il MOBA, dà vita a una commistione interessante. Le possibilità tattiche offerte dai diversi piani della torre si preannunciano intriganti, soprattutto quando alcune tecniche entreranno a far parte del modo di ragionare dei giocatori più esperti. A preoccuparci, semmai, è la reale possibilità che ci sia ancora spazio per nuovi MOBA e battle royale da affiancare ai big del settore.
CERTEZZE
- La struttura è interessante e sfrutta alcune idee molto collaudate
- Sembra offrire molte possibilità strategiche
- Gli eterni legati ai set di equipaggiamento
DUBBI
- C'è davvero spazio per un altro battle royale?
- L'estetica non ci sembra particolarmente originale