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FPS dove siete? Indagine sull'evoluzione di un genere stanco

Dallo sparatutto in prima persona al videogioco in prima persona.

SPECIALE di Mattia Armani   —   29/07/2006
FPS dove siete? Indagine sull'evoluzione di un genere stanco
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Chiavi di lettura

L’immersione nel mondo di gioco, partendo dal valido ma non univoco paradigma che definisce la visuale in prima persona come punto di partenza per il coinvolgimento nell’azione, può partire da tre elementi differenti. Il primo dei tre è l’elemento più diretto ed evidente, ovvero la credibilità del mondo di gioco in termini di quantità e qualità degli oggetti e dei modelli che compaiono sullo schermo. In seconda battuta, complementare e quindi non sempre necessario e non sempre possibile, è da considerare il livello di interattività con il mondo che ci circonda. In termini assoluti questo potrebbe essere valutato come l’elemento principale in forza dell’elevata credibilità che è in grado di produrre, ma non possiamo non considerare le limitazioni tecnologiche e la natura visiva del videogioco che rappresentano ancora il patrimonio genetico di questa forma espressiva. Infine arriviamo al cuore invisibile del videogioco, ovvero la giocabilità, fattore sempre presente ma in forme talmente differenti l’una dall’altra da cambiare i rapporti di forza tra i primi due elementi. Un esempio semplice è quello di un gioco di carte che può beneficiare della grafica ma non esserne dipendente e che difficilmente può beneficiare di un’elevata interattività o di un motore fisico onnicomprensivo. Quindi è necessario capire che ci rapportiamo alla visuale in prima persona e che l’elemento visivo coincide con la rotazione dello sguardo che in questo specifico genere è parte integrante della giocabilità.

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Osservazione

Un titolo che promette di coniugare al meglio i tre elementi sotto l’egida della prima persona è senza dubbio Bioshock. Gioco di ruolo in prima persona che conferisce una straordinaria importanza allo sguardo sia come elemento esplorativo sia come parte integrante della giocabilità. La promessa è quella di un gioco d'azione eppure di ragionamento che, a partire da un complesso sistema di upgrade che coinvolge sia il personaggio che l'equipaggiamento, sia in grado di avere una struttura completamente dinamica e dipendente dalle azioni del giocatore.
Nella veste di fotografo e scienziato ci troviamo a guardare un mondo un tempo familiare e abbiamo la necessità di capirlo per poterlo esplorare e soprattutto per sopravvivere trovando elementi, esaminando ambienti e cogliendo i punti deboli e le particolarità delle creature che lo popolano. In quest'ottica la prima persona diventa uno strumento non solo di immedesimazione nel mondo di gioco ma anche un mezzo per legarsi al sistema di gioco. Immersione e osservazione diventano quindi il gioco stesso ed è quindi comprensibile l’interesse che si è creato attorno al titolo anche se non è ancora possibile quantificare realmente l’impatto di queste azioni sugli eventi che dovremo affrontare.

Incremento

Dark Messiah of Might & Magic si propone come gioco di ruolo classico, sempre in prima persona, e con l’obiettivo di ampliare gli spazi di gioco ed incrementare notevolmente gli elementi interattivi del mondo circostante, al contrario di Oblivion che tratta la fisica con troppa timidezza.
Anche in questo caso è evidente lo scopo a cui mirano gli sbalzi spettacolari e gli effetti della telecinesi o delle esplosioni ma non è ancora chiara l’effettiva bontà della realizzazione. Creare un mondo vasto, interattivo, particolareggiato e contraddistinto da un’identità precisa è un impegno che, almeno attualmente, mal si coniuga con la necessità di avere grandi spazi e ampi margini di customizzazione.

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Funzionalità

Brothers in Arms: Hell’s Highway tenta la via della rifinitura tecnologica e incrementa le possibilità di interazione con gli alleati. Aumenta l’azione, migliorano le animazioni, aumentano le azioni di gioco, si moltiplicano gli elementi distruttibili e l’evoluzione tecnologica permette di fare tutto ciò mantenendo la matrice strategica della serie. Il connubio hollywoodiano tra la guerra relativamente autentica e l’atmosfera cinematografica è parte integrante del gioco ed è di primario interesse per gli appassionati del genere. Anche in questo caso la visuale in prima persona è funzionale allo scopo e si lega alla modalità carriera che in Brothers In Arms può rappresentare qualcosa di ben più articolato ed interessante rispetto ad altri titoli del passato.

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Pragmaticità

In questo frangente gli FPS classici appaiono in crisi, assediati da un mondo che ha bisogno della visuale in prima persona per raggiungere obiettivi ben diversi dal puro sfogo alla DooM.
Ma a salvare lo sparatutto arriva Crysis che invece è la bandiera dell’evoluzione più diretta ed evidente. Grafica mozzafiato, ambienti distruttibili, buona fisica e gameplay classico. In Crysis compaiono diversi elementi che hanno fatto parte della storia dell’FPS che si coniugano con mappe vastissime ed effetti di luce sempre più autentici e la sensazione di essere in una vera giungla o bersagliati da una macchina di morte invincibile è a tutti gli effetti considerabile giocabilità, almeno per quanto ci riguarda.

Interattività

Anche nella line-up del Wii, almeno attraverso una specifica chiave di lettura alimentata dalla stessa Nintendo, traspare un chiaro interesse alla visuale in prima persona e alla sua capacità di calarci nell’ambiente di gioco, ovviamente con lo scopo di esaltare le possibilità altamente interattive del controller dell’imminente console Nintendo. Ovviamente faccio riferimento a Red Steel su cui grava la responsabilità di essere il primo FPS interattivo e che ha il compito di mostrare la potenzialità del Wii in questo specifico settore. Purtroppo al momento attuale traspare una certa rigidità dovuta anche a una certa difficoltà nel determinare i parametri di mira utilizzando un controller completamente nuovo. A quanto ci è dato sapere anche l’interattività con l’ambiente è piuttosto limitata e va a creare un gap tra l’elevato controllo dell’azione e lo scarso impatto sul mondo che paradossalmente risulta meno evidente in un titolo più classico e quindi più limitato.

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Conclusioni inconclusive

Quando un oggetto è osservabile da più punti di vista non si può sfuggire dalla relatività e i videogiochi nella loro natura funzionale, ovvero motore logico in grado di produrre effetti ben precisi, non possono assolutamente sfuggire dal paradigma scopo – risultato. Troviamo quindi assai difficile determinare, anche solo come semplice opinione, quale possa essere la reale strada per l’evoluzione. Tralasciamo appositamente le promesse e le premesse dell’intelligenza artificiale che, per funzionare adeguatamente, si deve ancora basare su script ben definiti anche se in numero tale da suggerire dinamismo. Tornando all’evoluzione identificabile consideriamo indubbio che l’interazione diretta sia un’esperienza appagante, anche se di difficile calibrazione, ma è altrettanto indubbio il fascino della vastità che alcuni titoli promettono a gran voce ed è innegabile che fisica e animazioni siano una delle chiavi per spingere il videogioco al di là del mero atto di muovere un controller e ottenere una reazione diretta su schermo. Ma come dicevamo nelle prime battute dell’articolo è ancora impossibile pretendere reazioni a catena credibili e quindi pretendere una fisica ad ampio spettro, oppure pretendere qualcosa di non ancora esistente come un’intelligenza artificiale credibile. Quindi, anche in questo caso, per giudicare è necessario considerare i piccoli passi avanti e i piccoli passi indietro che si celano in ogni gioco di qualità e che dipendono anche dal paradigma scopo – risultato, per lo meno fino a che una Valve, per fare almeno un nome altisonante, non si decida a mettere tutto assieme per darci una nuova unità di misura riconoscibile.

Nel mondo dell’entertainment elettronico la rappresentazione di tessuti, ambienti e materiali e la qualità delle animazioni sono elementi che incarnano una delle facce dell’evoluzione ed il loro impiego può battezzarli come innovazioni importanti oppure relegarli a semplici aggiunte a un gameplay classico e al contrario non innovativo. Si tratta di innovazioni che hanno un rapporto diretto con la tecnologia, ovvero hanno senso se completano uno scenario credibile e realistico e riescono a calarci nella situazione che il gioco ci crea attorno. Ed è infatti l’immersione all’interno dei cosiddetti mondi di gioco una delle strade scelte dagli sviluppatori di videogiochi, accompagnata, a seconda del caso, da ambienti molto vasti, nuovi effetti, maggior dettaglio o maggior interattività con l’ambiente. Ecco perché la visuale in prima persona, di anno in anno, guadagna sempre più spazio all’interno del variopinto mondo del videogioco al pari con le inquadrature sempre più personali e meno teatrali che contraddistinguono un gran numero di produzioni cinematografiche.
Questo processo ha radici lontane, parte dalle dimensioni vettoriali, arriva a Wolfenstein ed Eye Of The Beholder e matura definitivamente con il primo Half-Life il quale mostra quanto coinvolgente può essere un gameplay classico se immerso nei giusti ingredienti e arricchito, per l’appunto, dalle giuste innovazioni tecnologiche introdotte con la giusta dose di lungimiranza e con un pizzico di necessaria passione. Da Half-Life a Deus Ex, nonostante i due concept abbiano poco da spartire, il passo è stato piuttosto breve e la prima persona è tornata a essere una semplice visuale e non più un genere specifico.