Si fa presto a giudicare il lavoro degli altri prendendo in mano un pad, senza tentare di capire le difficoltà e gli intoppi di una produzione sfaccettata. Quando poi sul piatto si trova un esperimento particolare come la Dark Pictures Anthology di Supermassive Games il tutto viene amplificato con volumi spesso esagitati. Il team che ha risvegliato la voglia di teen horror con Until Dawn ha tentato di percorrere una strada difficile, sia dal punto di vista creativo che per le tempistiche di realizzazione, riuscendo comunque a portare a termine la scalata. Se non avete ancora letto la nostra recensione di The Devil in Me, ultimo capitolo della prima stagione uscito proprio nei giorni scorsi, vi invitiamo a recuperarla. Con le idee più chiare su tutto il percorso e con la stagione 2 già ufficialmente annunciata tramite un teaser, è però il momento di tirare le somme e anche qualche orecchio.
Man of Medan: un inizio in punta di piedi
Quando nel corso del torrido agosto del 2019 arrivò sul mercato Man of Medan, la curiosità verso il progetto Dark Pictures Anthology e il nuovo corso di Supermassive son stati capaci di canalizzare l'attenzione di un vasto pubblico. Attori hollywoodiani, una storia particolare e differente dal solito e un progetto così ambizioso patrocinato da Bandai Namco hanno generato aspettative davvero alte sia per il pubblico che per la critica specializzata.
Come sappiamo non tutto ha convinto appieno e il risultato altalenante della narrazione, così come la poca interattività e libertà per il giocatore hanno contribuito a far scemare l'entusiasmo di tanti, convinti ormai di trovarsi di fronte a titoli proposti a prezzo budget, brevi e dalla sostanza dubbia.
L'avventura dei cinque protagonisti tra le acque della Polinesia francese alla ricerca di indizi sul mistero della SS Ourang Medan non parte da presupposti erronei. Al contrario la volontà di giocare con miti e leggende più o meno ripresi nel passato, rappresenta una delle scelte riuscite da parte del team. Quel che purtroppo funzionava meno era proprio l'intreccio. L'approfondimento delle psicologie dei personaggi, la necessità di utilizzare una location così ripetitiva come una nave cargo e alcune lacune in fase di scrittura ha reso Man of Medan un titolo mediocre, incapace di appassionare fino in fondo nonostante la sua breve longevità.
Little Hope: la caccia alle streghe che migliora la formula
Poco più di un anno dopo, sul finire del 2020 è stata la volta di The Dark Pictures Anthology: Little Hope, secondo capitolo dell'antologia e primo ad aggiustare il tiro di una formula forse già stantia ai tempi del suo lancio. Nessuna rivoluzione particolare, solo una migliore consapevolezza del lavoro che si sta svolgendo e il riutilizzo di tanti degli asset che ritroveremo per il resto della stagione hanno aiutato a puntare sugli aspetti più importanti per il pubblico.
L'ambientazione di Little Hope, nome del piccolo villaggio che fa da sfondo alle vicende, rappresenta di per sé una buona percentuale dell'interesse generato nel pubblico. D'altronde la caccia alle streghe che portò al processo di Salem della fine del 1600 è ancor oggi una dei momenti più bui della storia umana, nonché anche un affascinante spunto tanto caro al genere horror.
Little Hope è per molti il migliore capitolo di questa prima stagione, forte della sua ambientazione, di personaggi meglio scritti di Man of Medan e di una storia che - seppur non esente da buchi e incastri narrativi non sempre riusciti - era in grado di far davvero sentire il giocatore padrone del destino dei cinque protagonisti.
House of Ashes: l'azzardo che alza l'asticella
Ancora altre quattro stagioni e gli scaffali digitali hanno visto l'arrivo di The Dark Pictures Anthology: House of Ashes, il più controverso ma forse il più interessante dei capitoli della prima stagione dell'antologia. Il terzo tentativo è anche quello della maturità, del rischio, del tentare di svecchiare qualche meccanica ormai anacronistica e House of Ashes in questo senso ha meritato la sua attenzione.
Le Torri Gemelle sono cadute da un paio d'anni e la guerra in Iraq è più viva che mai. Sullo sfondo del conflitto però si muovono entità ben peggiori delle nostre armi automatiche e un gruppo di soldati di entrambe le fazioni si ritrova a vagare per un antico tempio sumero dove venivano effettuati sacrifici e gesti atroci.
House of Ashes non è solo il più riuscito capitolo da un punto di vista narrativo, così capace di fondarsi su reference cinematografiche forti come The Descent, ma è anche quello che tenta di svecchiare la formula, di dare finalmente libertà al giocatore di muovere i protagonisti in ambienti leggermente più grandi, senza per questo confonderlo nella progressione.
Telecamera libera, ambienti bui da illuminare, passaggi veloci tra un personaggio e l'altro nel corso di momenti concitati e una fase finale artisticamente imponente ne hanno fatto quello che per noi resta di gran lunga il titolo più riuscito dell'antologia, pur continuando a non entusiasmare da un punto di vista ludico. Le fasi action sono infatti davvero di poco conto e non sempre le scelte risultano chiare nella loro progressione, ma si tratta di una viaggio sempre ad alto ritmo fino a ritrovare la luce del giorno.
The Devil in Me
Fresco di uscita e di recensione, The Devil in Me doveva rappresentare il titolo della consacrazione. Annunciato già da tempo come atto conclusivo della prima stagione, non è stato però capace di sorprenderci nonostante le buone premesse narrative e il lavoro fatto con House of Ashes.
Nuovamente uno spunto storico, questa volta quello del primo serial killer americano documentato - H.H. Holmes - che sul finire del 1800 truffò ripetutamente lo stato americano finendo anche per uccidere un numero di persone che qualcuno potrebbe giurare si avvicini alle duecento. Sfruttando il proprio "Castello" in quel di Chicago, Holmes torturata, strangolava, gasava e bruciava quasi chiunque si trovasse nelle sue vicinanze, finendo poi lui stesso per morire sulla forca per soffocamento dopo una lenta agonia.
The Devil in Me è un titolo strano, che mette in gioco una formula simile, ma anche profondamente diversa dal passato e tutt'altro che riuscita. Riprende l'ambientazione claustrofobica di Man of Medan, le atmosfere raccapriccianti di Little Hope e la libertà di movimento e gestione di House of Ashes, ma sceglie anche di uscire dalla linearità del passato, finendo per caracollare su sé stesso. La durata sostanzialmente più lunga è figlia solo ed esclusivamente dell'inserimento di enigmi e ricerche di oggetti che stancano ben presto nel corso dell'avventura e la scrittura dei personaggi, complice la totale ignoranza da parte loro degli eventi che stanno vivendo, finisce per risultare fiacca e relegata a una manciata di dialoghi qua e là. Troppa confusione sulle sotto trame, troppi elementi che vengono svelati e mai approfonditi e una costante sensazione di confusione nel design non hanno aiutato una storia dall'incipit interessante.
Directive 8020: la strada verso la seconda stagione
Se non avete ancora concluso la vostra avventura con The Devil in Me forse non avete ancora avuto modo di vedere il breve trailer che storicamente lancia il seguente titolo della serie. Nel caso specifico Supermassive decide di calare il jolly e annunciare la seconda stagione cambiando totalmente presupposti e spostandoci in un'ambientazione spaziale sempre a tinte horror.
Non sappiamo praticamente nulla del prossimo titolo, se non che qualcosa sta mandando all'aria una missione importante alla ricerca, presumibilmente, di una nuova casa per gli esseri umani lontana dalla Terra. Non è dato sapere se la nuova stagione inizierà già nel 2023 o se il team deciderà di prendersi più tempo, quel che però ci interessa davvero è capire se il cambio di stagione si potrà portare in dote anche un cambio netto nel gameplay e nella struttura dei giochi.
Per quanto interessante possa sembrare l'ambientazione spaziale e, in questo senso, la formula antologica permette di giocare tanto con l'estro, questo momento storico è anche quello nel quale torniamo ad essere bombardati da storie a tinte fantascientifiche e il rischio è di scontrarsi con una bulimia che potrebbe non premiare questo Directive 8020. È chiaro che le aspettative di tutti, lì dove si è deciso di proseguire con questo progetto, siano quelle di avere a che fare con titoli un po' più coraggiosi e meno conservativi e che magari possano iniziare a raccontare delle storie meglio scritte e più originali.
Noi rimaniamo alla porta in attesa di scoprire come Supermassive vorrà caratterizzare questa nuova stagione. Nel frattempo, per chi ancora non avesse avuto modo di gustare i primi quattro capitoli, ora non avete più scuse per immergervi nell'antologia.