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I giochi come servizi stanno atrofizzando la creatività del mercato dei videogiochi?

Come si fa ad appassionarsi a qualcosa che viene venduto come se fosse un rinnovo della patente?

NOTIZIA di Simone Tagliaferri   —   18/07/2018

Oggi, invece di commentare una qualche notizia, vorremmo sfruttare il "Parliamone" per porvi una questione che ci frulla per la tastiera da un po' di tempo: i giochi come servizi, o GaaS che dir si voglia, hanno reso il mercato dei videogiochi meno interessante ed emozionante, in particolare quello dei tripla A?

Chiariamo: le uscite non mancano e, anzi, sono più numerose che in passato, solo che non è difficile percepire un certo astio del pubblico verso titoli destinati a rimanere sul mercato per anni e anni, senza però avere apparentemente nulla da dire.

Riflettendoci non è strano che sia così, perché la logica dei giochi servizi è la stessa dei luna park: si paga un biglietto, si sfruttano le attrazioni, si spendono altri soldi all'interno della struttura (cibarie, foto, gadget, servizi vari) e poi si esce, probabilmente appagati dalla giornata, ma allo stesso coscienti dell'aleatorietà di ciò che si è fatto, che è intrinseca del concetto stesso di luna park .

Allo stesso modo acquistando i giochi come servizi si entra dentro a delle strutture studiate con grande perizia un po' per farci divertire, un po' per farci spendere altri soldi, capaci però soltanto di offrire esperienze controllate ed emotivamente molto deboli, per quanto a tratti emozionanti, che lasciano il tempo che trovano. Magari ci giocheremo per anni, ma faremo comunque sempre le stesse cose, con l'aggiunta di tanto in tanto di qualche nuova attrazione da visitare e la rimozione silenziosa di quelle poco frequentate.

In questa, che è vera e propria ingegnerizzazione del divertimento, lo spazio per l'esperienza ludica, intesa nella sua accezione più elevata, è limitatissimo. Molto spesso i giochi servizi diventano dei veri e propri lavori in cui ci specializziamo in azioni ultra ripetitive, che non ci mandano né avanti, né indietro. Spesso però non riusciamo ad ammettere l'ovvio: questi prodotti non ci intrattengono, ma ci trattengono, in mille modi diversi, ma nessuno legato all'esperienza del videogioco in quanto tale. Insomma, nei giochi servizi non c'è una Aeris che viene uccisa da Sepiroth, un Sarevok che svela la sua vera natura in un momento apicale, un luna park con due fratelli che si ritrovano o delle virtù da seguire. Non c'è mai fine all'avventura perché non c'è vera avventura: tutto deve essere piatto e accessibile per un pubblico virtualmente infinito. Le azioni dei videogiocatori devono fare rumore, ma allo stesso tempo essere sterilizzate e complessivamente insignificanti, così da non rischiare di soddisfarli davvero o alienarli.

In questo modo l'eccitazione viene inevitabilmente meno, perché quando si osserva un gioco, anche appena presentato, si sa già che quando lo si acquisterà non sarà un'esperienza finita, ma solo un pezzetto di qualcosa che potrà espandersi all'infinito senza avere però alcun peso. In effetti basta contare quanti personaggi videoludici sono emersi negli ultimi anni (facciamo nell'ultima generazione) per scoprire che l'industria si è come atrofizzata, continuando a sfruttare proprietà intellettuali ormai molto vecchie da una parte e producendo solo carne in scatola dall'altra. Qualcosa di meglio è nato dalla scena indipendente, ma quanto spazio c'è per le produzioni più piccole in un mondo concentrato ad aprire casse premio alla ricerca di costumini da sfoggiare su Twitch?