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Ma voi la capite ancora l’industria dei videogiochi?

I nuovi modelli economici sembrano aver creato una cortina fumogena tra i videogiocatori e l'industria, con i primi che faticano sempre di più a capire la seconda.

NOTIZIA di Simone Tagliaferri   —   15/02/2019

Le ultime settimane sono state davvero da mal di testa per chiunque segua l'industria dei videogiochi da più di qualche anno e per motivi non certo positivi. Nintendo Switch fa numeri da record, ma il titolo di Nintendo cala vistosamente e il presidente Furukawa è costretto a chiedere scusa agli azionisti, Bobby Kotick di Activision Blizzard annuncia con fierezza che il 2018 è stato l'anno migliore della storia della compagnia in termini di ricavi e festeggia staccandosi un assegno da dieci milioni di dollari e licenziando ottocento persone. Sony dopo anni di successi eclatanti con i suoi giochi esclusivi annuncia che per la prossima generazione ne produrrà meno per dedicarsi anche ai giochi come servizi. Da tutte queste storie e da altre che vedremo più in là, emerge una sola, banale, verità: sono gli azionisti a comandare... sempre più.

Pensateci bene: si tratta di situazioni apparentemente senza senso, ma che un senso ce l'hanno eccome, solo che è difficile da cogliere. Prendiamo il caso Blizzard, che nel 2018 ha lanciato un prodotto di immenso successo, la nuova espansione di World of Warcraft, e ha gestito bene Overwatch, nonostante tutto, che purtroppo è stato schiacciato dalla moda dei battle royale. Parliamoci chiaro: Blizzard è sempre stato lo studio dei primi della classe, quello che non ha mai mancato un colpo. Vederlo smembrato, anche solo in alcune sue parti, fa un effetto terribile. Per uno che videogioca da almeno trentacinque anni come chi scrive, fa semplicemente male. Eppure gli azionisti vanno accontentati. Sono affamati di teste, quindi i dirigenti teste gli danno. Abbiamo fatto risultati record, ma eccovi anche un po' di carne fresca da sbranare perché non abbiamo raggiunto gli obiettivi dichiarati. I casi Nintendo e Sony sono altrettanto emblematici. Vedere Furukawa cospargersi il capo di cenere e arrivare a paventare l'ipotesi che Nintendo esca dal mercato delle console casalinghe per concentrarsi sul settore mobile, nel momento in cui ha sul mercato una console d'enorme successo che, pur avendo meno di due anni di vita, può vantare una moltitudine di giochi che hanno venduto più di dieci milioni di copie, significa che qualcosa non funziona, ossia che una grossa fetta del mercato spinge ormai inesorabilmente in una certa direzione e non si accontenta più nemmeno di risultati eccellenti, quando vengono fatti seguendo il modello tradizionale. Se vogliamo vale lo stesso per Sony, per la quale sarebbe obiettivamente difficile fare meglio di quanto sta facendo, eppure è stata costretta a prospettare ai suoi investitori un maggiore impegno sui nuovi mercati, evidentemente per non scontentarli più di tanto. Il successo in sé sembra non contare davvero più nulla. Non sei bravo se azzecchi un prodotto che viene comprato in massa, ma se riesci a lanciarne uno che ti consenta di produrre ricavi per mesi, anni, fosse anche più simile a una slot machine che a un videogioco tradizionale. Devi ragionare come un parassita: attaccati al corpo e succhia risorse più che puoi, ma senza uccidere l'ospite.

Le vendite contano molto meno di un tempo, come dimostra il caso Red Dead Redemption 2, che ha venduto più di quanto stimato, ha incassato tre miliardi di dollari ma, non essendo riuscito a catturare i giocatori con l'online come fatto da GTA V ha prodotto un crollo delle azioni del publisher Take-Two. Se vogliamo in questo senso è emblematico anche il caso Electronic Arts, che dopo una serie di lanci disastrosi è tornata tra i 'buoni' grazie al lancio di Apex Legends, con gli azionisti le hanno rinnovato la fiducia perché sanno che il successo del gioco gli consentirà di vendere fuffa virtuale per mesi e anni ai ragazzini. Ecco, forse il problema è che in giro c'è un po' troppa fuffa o, meglio, che la fuffa è diventata il mercato stesso.